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giovedì 23 febbraio 2012

stommaso


La Bellezza rimanda ad Altro
***

Cristo e il lavandino. Educare è partire dalla realtà
Ricordo  sempre con commozione il racconto di san Luigi IX,
re di Francia che invitò san Bonaventura e san Tommaso d'Aquino
a cenare nella sua dimora reale. Intorno al tavolo vi erano
lì loro tre, oltre alla moglie del sovrano. La cena era iniziata e
mangiavano tutti con gusto. L'unico che non toccava cibo era
san Tommaso d'Aquino,che era
come estasiato dalla bellezza
della moglie del re.
I suoi occhi
continuavano a guardare in direzione della donna.
Il re se ne
accorse e, un po' nervoso, chiese spiegazioni
al santo per
quell'atteggiamento. Tommaso d'Aquino
rispose: «Maestà, sono commosso
dalla bellezza
di sua moglie, che mi obbliga a pensare: se ella
è
tanto bella, come sarà il suo Artefice,
il Creatore di tutto?

Padre Aldo Trento

Postato da: giacabi a 21:10 | link | commenti
bellezza, stommaso, padre trento

venerdì, 19 agosto 2011

***
L'uomo capisce sé stesso osservandosi mentre lavora, in opera.
(S.Tommaso)

Postato da: giacabi a 20:48 | link | commenti
stommaso

martedì, 16 agosto 2011

Senza la carità tutto il resto non basta..
***
È chiaro che non tutti possono dedicarsi agli studi; per questo Cristo ci ha dato una legge che per la sua brevità è accessibile a tutti e nessuno ha il diritto di ignorare: tale legge è la legge dell’amore divino... Senza la carità tutto il resto non basta... E se tra i beati vi è qualche differenza, essa non dipende che dal loro grado di amore e non dalle altre virtù. Molti condussero una vita di maggior astinenza rispetto agli apostoli, eppure questi sorpassano chiunque altro nella beatitudine, a causa dell’ardore della loro carità.
da San Tommaso d'Aquino, De decem praeceptis

Postato da: giacabi a 21:14 | link | commenti
stommaso, amore

giovedì, 14 aprile 2011

Cultura | Articolo modificato il 14/04/2011 alle 17.46

Da san Tommaso e don Giussani la più grande lezione sul cuore e la giustizia

***
 

giovedì 14 aprile 2011

 
“Esiste un bene che saremmo lieti di possedere perché ci è caro per sé e non per i vantaggi che ne conseguono?”. La questione insorge in uno dei dialoghi di Platone, La Repubblica. Glaucone riflette sul bene e sul male, interroga il suo maestro Socrate. “Ho una grande voglia di sentire - soggiunge - cosa sia giusto e ingiusto e che potere hanno per sé sull’anima dell’uomo”. Perché sembra che gli uomini facciano le leggi dando “nome di legittimo e giusto a ciò che è stabilito dalla legge”. Sarebbe, dunque, questa “l’origine della giustizia e la sua essenza”?
Ecco come è posta fin dalle origini del pensiero occidentale la domanda sul fondamento della legge umana e sulla sua giustizia. Domanda, questa, quanto mai attuale. Pietro Barcellona, che si è dedicato molto a questo tema e con il quale ho condiviso le riflessioni confluite poi nel volume La lotta tra diritto e giustizia (Marietti 2008), aveva già da tempo messo il dito sulla piaga. “Mai come nella fase attuale, si è sentito da più parti il prepotente bisogno di affermare che ci sono diritti dell’uomo che gli Stati e i poteri costituiti non possono violare né sacrificare, e tuttavia niente consente più di attribuire forma e effettualità a questi diritti. […] La mancanza di ogni fondamento metafisico e di ogni legittimità trascendente rende l’ordine giuridico contingente e artificiale, privo di qualsiasi riferimento a un ordine naturale comunque riconducibile all’armonia del cosmo. Ogni comando è per sua natura arbitrario, senza giustificazione, né misura. Consumata definitivamente l’idea di fare affidamento su una qualche verità eterna e immutabile, su una qualche ragione universale, non resta che affidarsi alla labile contingenza degli accordi contrattuali e dei patti sociali, con i quali i singoli individui decidono di fissare un argine ai loro illimitati desideri” (Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Dedalo 1998).
Un siffatto atteggiamento mentale genera ogni sorta di menzogna, giacché il pensiero non aderisce più alla verità della realtà e le parole sono stravolte, puntellano un progetto sulla società il quale non ha altro punto di riferimento che il proprio potere.
“Una questione fondamentale che si pone per il sistema democratico - ha scritto Benedetto XVI quando era ancora il cardinale Ratzinger - è se la volontà di una maggioranza possa veramente e legittimamente tutto. Può essa rendere legittima qualsiasi cosa, vincolando poi tutti, oppure la ragione si trova al di sopra della maggioranza, così che non può mai diventare realmente un diritto ciò che è contro la ragione?” (Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline 1987).
Nel famoso dialogo che ebbe a Monaco nel 2004 con Jürgen Habermas, lo stesso Ratzinger ha evidenziato l’urgenza di una nuova fondazione dell’etica e del diritto nella società contemporanea: “Il compito di porre il potere sotto il controllo del diritto rimanda, di conseguenza, all’ulteriore questione di come nasce il diritto e di come deve essere il diritto affinché sia strumento della giustizia e non del privilegio di coloro che detengono il potere di legiferare” (Ragione e Fede in dialogo, Marsilio 2005).
Come nasce dunque il diritto? Fra le risposte a questa domanda, non va sottovalutata quella di Tommaso d’Aquino. Nella sua Summa Teologica egli ha posto nella ragione dell’uomo la misura e il criterio della bontà del suo agire: “Il bene umano consiste nell’essere conforme alla ragione, e il male nell’essere contrario alla ragione” (I-II, q. 18, a. 5, c.).
Si può avere l’impressione che un asserto del genere preluda a quella autonomia della ragione che sta alla base della dottrina morale kantiana, ma si tratta, in realtà, di tutt’altra prospettiva. Ha ragione, Kant, quando afferma che il principio della moralità risiede nella ragione. Ma per l’Aquinate la ragione non va intesa come emancipata da ogni legame e quindi come istanza assoluta e indipendente, bensì come facoltà data all’uomo per conoscere ciò che è, e in quanto tale partecipe della luce intellettuale di Dio. È dunque in un senso molto particolare che la ragione umana fonda, in Tommaso, la moralità dell’agire dell’uomo: la fonda in quanto coglie con le proprie risorse naturali quella legge eterna che è l’ordine e la misura che la ragione divina dà a tutte le cose: “La ragione dell’uomo deve il fatto di essere la regola della volontà umana, e quindi la misura della sua bontà, alla legge eterna che è la ragione di Dio. Perciò sta scritto: «Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Quale sigillo è impressa su noi la luce del tuo volto, o Signore». Come per dire: la luce della ragione che è in noi, in tanto può mostrarci il bene, e regolare la nostra volontà, in quanto è luce del tuo volto, cioè derivante dal tuo volto” (I-II, q.19, a.4, c.).
Tutto questo presuppone una fiducia nella ragione umana, come immagine di quella divina. La ragione è l’esigenza profonda e la capacità di verità e di felicità che c’è nel cuore dell’uomo e il criterio con cui misurare i mezzi necessari al suo compimento.
Le leggi umane possono dirsi giuste, dunque, “nella misura in cui si uniformano alla retta ragione” (I-II, q.93, a.3, c.). Quando esse se ne scostano, allora non hanno più la natura della legge, ma piuttosto quella della violenza.

Già Agostino, nel IV libro del De civitate Dei, aveva posto un interrogativo inquietante: “Una volta che si è rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli Stati, se non una grossa accozzaglia di malfattori?” (Remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia?). Non è forse vero, del resto, che i malfattori stessi formano dei piccoli Stati? Uomini comandati da un capo e tenuti assieme da un patto comune, si spartiscono un bottino secondo una legge tacita. Se questo male si allarga a un numero più grande di scellerati, se dilaga in un’intera regione, conquista città e soggioga popoli, allora assume più apertamente il nome di regno: non certo per la rinuncia alla cupidigia, semmai per la tranquilla impunità. Questa la franca risposta che un pirata aveva dato ad Alessandro Magno. Gli sembrava giusto, aveva chiesto il Macedone, infestare i mari? Per quale motivo continuava a nuocere? E quello, con spregiudicata fierezza: «Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con una barca insignificante, mi chiamano malfattore, e poiché tu lo fai con una potente flotta, ti chiamano imperatore»”.
La legge umana è pertanto opus rationis: merita di essere riconosciuta e osservata se esprime un’approssimazione progressiva della ragione del legislatore a quell’ordine naturale che ha il suo fondamento ultimo nella ragione divina. È questo cammino di approssimazione che spiega la diversità di opinioni fra gli uomini circa tutto ciò che non è “giusto” - cioè iuxta rationem - con immediata evidenza.
Don Luigi Giussani ha avuto l’arguzia di dirlo con parole esistenzialmente più comprensibili ed efficaci. Ne Il senso religioso (Rizzoli 1997) conduce il lettore attraverso un’appassionante analisi introspettiva, che egli chiama “esperienza originale” o “esperienza elementare”, a scoprire cos’è il “cuore”. Esso risulta come “un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste”. Queste esigenze che emergono come evidenti alla coscienza dell’uomo, quando egli incomincia ad affrontare la realtà e conseguentemente a riflettere su se stesso, sono riconducibili alla ratio tomistica. Infatti la ragione per Tommaso d’Aquino - come abbiamo visto - è l’esigenza e la capacità di vero e di buono che c’è dentro il cuore di ogni uomo.
La modernità dell’approccio di Giussani, che affida tutto ad una evidenza interiore, mentre mira a trovare credito nel suo interlocutore, non gli impedisce di sottolineare che alla nostra esperienza elementare risulta altrettanto evidente che questo “criterio originale”, pur essendo “immanente a noi”, non ce lo diamo da noi, ma ci viene “dato” con la nostra natura: una madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese, danno alla luce esseri umani che tutti sono riconoscibili come tali, sia come connotazioni esteriori che come “impronta interiore”. Questo criterio originale si rivela, dunque, squisitamente personale e nello stesso tempo universale.
La sistematica negazione di questo fondamento universale del vero e del giusto espone l’uomo al totalitarismo nelle sue varie forme giuridiche o politiche. Ha scritto Hannah Arendt: “il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più” (Le origini del totalitarismo, Einaudi 2004). Ma l’accettazione di un fondamento metagiuridico del diritto positivo è legata a quella capacità propria della ragione umana di cogliere il vero e il buono delle cose. Pochi, oggi, sembrano disposti a sottoscriverlo. Ancora una volta, è compito dei cristiani ricordare all’uomo la sua grandezza.


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Postato da: giacabi a 20:53 | link | commenti
stommaso, ventorino

giovedì, 03 giugno 2010

«Tommaso d’Aquino: tra fede e ragione naturale armonia»
 Benedetto XVI ricorda la figura del santo
***

Benedetto XVI mentre passa tra i fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’udienza generale di ieri (foto Ansa)



l’udienza del mercoledì
 C ari fratelli e sorelle, dopo alcune ca­techesi sul sacerdozio e i miei ultimi viaggi, ritorniamo oggi al nostro tema principale, alla meditazione cioè di alcuni grandi pensatori del Medio Evo. Avevamo visto ultimamente la grande figura di san Bonaventura, francescano, e oggi vorrei par­lare di colui che la Chiesa chiama il Doctor communis: cioè san Tommaso d’Aquino. Il mio venerato predecessore, il papa Giovan­ni Paolo II, nella sua enciclica Fides et ratio
 ha ricordato che san Tommaso «è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fa­re teologia» (n. 43). Non sorprende che, do­po sant’Agostino, tra gli scrittori ecclesiasti­ci menzionati nel Catechismo della Chiesa Cattolica , san Tommaso venga citato più di ogni altro, per ben sessantuno volte! Egli è stato chiamato anche il Doctor Angelicus,
 forse per le sue virtù, in particolare la subli­mità del pensiero e la purezza della vita.
 
T ommaso nacque tra il 1224 e il 1225 nel castello che la sua famiglia, nobi­le e facoltosa, possedeva a Roccasec­ca, nei pressi di Aquino, vicino alla celebre abbazia di Montecassino, dove fu inviato dai genitori per ricevere i primi elementi della sua istruzione. Qualche anno dopo si tra­sferì nella capitale del Regno di Sicilia, Na­poli, dove Federico II aveva fondato una pre­stigiosa Università. In essa veniva insegna­to, senza le limitazioni vigenti altrove, il pen­siero del filosofo greco Aristotele, al quale il giovane Tommaso venne introdotto, e di cui intuì subito il grande valore. Ma soprattut­to, in quegli anni trascorsi a Napoli, nacque la sua vocazione domenicana. Tommaso fu infatti attratto dall’ideale dell’Ordine fon­dato non molti anni prima da san Domeni­co. Tuttavia, quando rivestì l’abito domeni­cano, la sua famiglia si oppose a questa scel­ta, ed egli fu costretto a lasciare il convento e a trascorrere qualche tempo in famiglia.
 
N el 1245, ormai maggiorenne, poté riprendere il suo cammino di ri­sposta alla chiamata di Dio. Fu in­viato a Parigi per studiare teologia sotto la guida di un altro santo, Alberto Magno, sul quale ho parlato recentemente. Alberto e Tommaso strinsero una vera e profonda a­micizia e impararono a stimarsi e a volersi bene, al punto che Alberto volle che il suo discepolo lo seguisse anche a Colonia, do­ve egli era stato inviato dai superiori del­l’Ordine a fondare uno studio teologico. Tommaso prese allora contatto con tutte le opere di Aristotele e dei suoi commentato­ri arabi, che Alberto illustrava e spiegava.
  In quel periodo, la cultura del mondo lati­no era stata profondamente stimolata dal­l’incontro con le opere di Aristotele, che e­rano rimaste ignote per molto tempo. Si trat­tava di scritti sulla natura della conoscenza, sulle scienze naturali, sulla metafisica, sul­l’anima e sull’etica, ricchi di informazioni e
di intuizioni che apparivano valide e con­vincenti. Era tutta una visione completa del mondo sviluppata senza e prima di Cristo, con la pura ragione, e sembrava imporsi al­la ragione come «la» visione stessa; era, quindi, un incredibile fascino per i giovani vedere e conoscere questa filosofia. Molti accolsero con entusiasmo, anzi con entu­siasmo acritico, questo enorme bagaglio del sapere antico, che sembrava poter rinnova­re vantaggiosamente la cultura, aprire to­talmente nuovi orizzonti. Altri, però, teme­vano che il pensiero pagano di Aristotele fosse in opposizione alla fede cristiana, e si rifiutavano di studiarlo. Si incontrarono due culture: la cultura pre-cristiana di Aristote­le, con la sua radicale razionalità, e la clas­sica cultura cristia­na. Certi ambienti erano condotti al ri­fiuto di Aristotele anche dalla presen­tazione che di tale filosofo era stata fat­ta dai commentato­ri arabi Avicenna e Averroè. Infatti, fu­rono essi ad aver trasmesso al mondo latino la filosofia a­ristotelica. Per e­sempio, questi
 Nella sua catechesi il Papa ha ricordato che l’autore della «Summa» teologica «svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e della teologia» in un’epoca di forte scontro tra culture
 commentatori avevano insegnato che gli uomini non dispongono di un’intelligenza personale, ma che vi è un unico intelletto u­niversale, una sostanza spirituale comune a tutti, che opera in tutti come «unica»: quin­di una depersonalizzazione dell’uomo. Un altro punto discutibile veicolato dai com­mentatori arabi era quello secondo il quale il mondo è eterno come Dio. Si scatenaro­no comprensibilmente dispute a non finire nel mondo universitario e in quello eccle­siastico. La filosofia aristotelica si andava diffondendo addirittura tra la gente sem­plice.
 
T ommaso d’Aquino, alla scuola di Al­berto Magno, svolse un’operazione di fondamentale importanza per la sto­ria della filosofia e della teologia, direi per la storia della cultura: studiò a fondo Aristote­le e i suoi interpreti, procurandosi nuove tra­duzioni latine dei testi originali in greco. Co­sì non si appoggiava più solo ai com­mentatori arabi, ma poteva leggere per­sonalmente i testi o­riginali, e com­mentò gran parte delle opere aristote­liche, distinguendo­vi ciò che era valido da ciò che era dub­bio o da rifiutare del tutto, mostrando la consonanza con i dati della Rivelazio­ne cristiana e utilizzando largamente e a­cutamente il pensiero aristotelico nell’e­sposizione degli scritti teologici che com­pose. In definitiva, Tommaso d’Aquino mo­strò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di Tommaso, che in quel mo­mento di scontro tra due culture - quel mo­mento nel quale sembrava che la fede do­vesse arrendersi davanti alla ragione - ha mostrato che esse vanno insieme, che quan­to appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla ve­ra razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti.
 P er le sue eccellenti doti intellettuali, Tommaso fu richiamato a Parigi come professore di teologia sulla cattedra domenicana. Qui iniziò anche la sua pro­duzione letteraria, che proseguì fino alla morte, e che ha del prodigioso: commenti alla Sacra Scrittura, perché il professore di teologia era soprattutto interprete della Scrittura, commenti agli scritti di Aristote­le, opere sistematiche poderose, tra cui ec­celle la
Summa Theologiae , trattati e discorsi su vari argomenti. Per la composizione dei suoi scritti, era coadiuvato da alcuni segre­tari, tra i quali il confratello Reginaldo di Pi­perno, che lo seguì fedelmente e al quale fu legato da fraterna e sincera amicizia, carat­terizzata da una grande confidenza e fidu­cia. È questa una caratteristica dei santi: col­tivano l’amicizia, perché essa è una delle manifestazioni più nobili del cuore umano e ha in sé qualche cosa di divino, come Tom­maso stesso ha spiegato in alcune quae­stiones della Summa Theologiae, in cui scri­ve: «La carità è l’amicizia dell’uomo con Dio principalmente, e con gli esseri che a Lui appartengono» (II, q. 23, a.1).
 
N on rimase a lungo e stabilmente a Parigi. Nel 1259 partecipò al Capi­tolo generale dei Domenicani a Va­lenciennes dove fu membro di una com­missione che stabilì il programma di studi nell’Ordine. Dal 1261 al 1265, poi, Tomma­so era ad Orvieto. Il pontefice Urbano IV, che nutriva per lui una grande stima, gli com­missionò la composizione dei testi liturgici per la festa del Corpus Domini, che cele­briamo domani, istituita in seguito al mira­colo eucaristico di Bolsena. Tommaso ebbe un’anima squisitamente eucaristica. I bel­lissimi inni che la liturgia della Chiesa can­ta per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nel­l’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e al­la sua sapienza teologica. Dal 1265 fino al 1268 Tommaso risiedette a Roma, dove, pro­babilmente, dirigeva uno Studium, cioè u­na Casa di studi dell’Ordine, e dove iniziò a scrivere la sua Summa Theologiae (cfr Jean­Pierre Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, Casale Monf., 1994, pp. 118-184).
 N el 1269 fu richiamato a Parigi per un secondo ciclo di insegnamento. Gli studenti - si può capire - erano en­tusiasti delle sue lezioni. Un suo ex-allievo dichiarò che una grandissima moltitudine di studenti seguiva i corsi di Tommaso, tan­to che le aule riuscivano a stento a contenerli e aggiungeva, con un’annotazione perso­nale, che «ascoltarlo era per lui una felicità profonda». L’interpretazione di Aristotele data da Tommaso non era accettata da tut­ti, ma persino i suoi avversari in campo ac­cademico, come Goffredo di Fontaines, ad esempio, ammettevano che la dottrina di frate Tommaso era superiore ad altre per u­tilità e valore e serviva da correttivo a quel­le di tutti gli altri dottori. Forse anche per sottrarlo alle vivaci discussioni in atto, i su­periori lo inviarono ancora una volta a Na­poli, per essere a disposizione del re Carlo I, che intendeva riorganizzare gli studi uni­versitari.
 
O ltre che allo studio e all’insegna­mento, Tommaso si dedicò pure al­la predicazione al popolo. E anche il popolo volentieri andava ad ascoltarlo. Di­rei che è veramente una grande grazia quan­do i teologi sanno parlare con semplicità e fervore ai fedeli. Il ministero della predica­zione, d’altra parte, aiuta gli stessi studiosi di teologia a un sano realismo pastorale, e arricchisce di vivaci stimoli la loro ricerca.
  G li ultimi mesi della vita terrena di Tommaso restano circondati da un’atmosfera particolare, misteriosa direi. Nel dicembre del 1273 chiamò il suo amico e segretario Reginaldo per comuni­cargli la decisione di interrompere ogni la­voro, perché, durante la celebrazione della Messa, aveva compreso, in seguito a una ri­velazione soprannaturale, che quanto ave­va scritto fino ad allora era solo «un mucchio di paglia». È un episodio misterioso, che ci aiuta a comprendere non solo l’umiltà per­sonale di Tommaso, ma anche il fatto che tutto ciò che riusciamo a pensare e a dire sulla fede, per quanto elevato e puro, è infi­nitamente superato dalla grandezza e dalla bellezza di Dio, che ci sarà rivelata in pie­nezza nel Paradiso. Qualche mese dopo, sempre più assorto in una pensosa medita­zione, Tommaso morì mentre era in viaggio verso Lione, dove si stava recando per pren­dere parte al Concilio ecumenico indetto dal Papa Gregorio X. Si spense nell’Abbazia cistercense di Fossanova, dopo aver ricevu­to il Viatico con sentimenti di grande pietà. L a vita e l’insegnamento di san Tom­maso d’Aquino si potrebbero riassu­mere in un episodio tramandato dagli antichi biografi. Mentre il Santo, come suo solito, era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella cappella di San Ni­cola, a Napoli, Domenico da Caserta, il sa­crestano della chiesa, sentì svolgersi un dia­logo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: «Tu hai parlato bene di me, Tommaso. Qua­le sarà la tua ricompensa?». E la risposta che Tommaso diede è quella che anche noi, a­mici e discepoli di Gesù, vorremmo sempre dirgli: «Nient’altro che Te, Signore!» ( Ibid. , p.
 320).
 


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benedettoxvi, stommaso

domenica, 03 gennaio 2010

Le prediche
***


Le prediche brevi sono le più gradite: se buone, si ascoltano con gusto; se non buone, annoiano per poco tempo.

S. Tommaso d'Aquino



Postato da: giacabi a 11:36 | link | commenti
stommaso

martedì, 15 dicembre 2009

Preghiera di S.Tommaso d’Aquino
***
Rendimi, Signore mio Dio,
obbediente senza ripugnanza,
povero senza rammarico, casto senza presunzione,
paziente senza mormorazione, umile senza finzione,
giocondo senza dissipazione, austero senza tristezza,
prudente senza fastidio, pronto senza vanità,
timoroso senza sfiducia, veritiero senza doppiezza,
benefico senza arroganza,
così che io senza superbia corregga i miei fratelli
e senza simulazione li edifichi con la parola e con l'esempio.
Donami, o Signore, un cuore vigile
che nessun pensiero facile allontani da te,
un cuore nobile che nessun attaccamento ambiguo degradi,
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare,
un cuore fermo che resista ad ogni avversità,
un cuore libero che nessuna violenza possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio Dio,
un'intelligenza che ti conosca,
una volontà che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia,
una fiducia che, alla fine, ti possegga.
San Tommaso d'Aquino

Postato da: giacabi a 15:45 | link | commenti
preghiere, stommaso

martedì, 07 aprile 2009

Preghiera di San Thomas More scritta in carcere

***
Dammi la tua grazia, buon Signore,
per stimare un nulla il mondo.
Per aggrapparmi a te con la mente
e non dipendere dal fiato della bocca degli uomini.
Per essere contento di vivere solitario.
Per non desiderare la compagnia del mondo.
Per liberarmi completamente a poco a poco dal mondo e per sganciare la mia mente dai suoi affari.
Per non desiderare di ascoltare le cose del mondo.
Ma che l’udire le fantasie mondane mi dispiaccia.
Per pensare volentieri a Dio.
Per invocare pietosamente il suo aiuto.
Per appoggiarmi al conforto di Dio.
Per sforzarmi continuamente d’amarlo.
Per riconoscere la mia viltà e la mia miseria.
Per umiliarmi ed abbassarmi sotto la potente mano di Dio.
Per piangere i peccati commessi.
Per sopportare pazientemente le avversità onde purificarmene.
Per soffrire volentieri quaggiù il mio purgatorio.
Per essere lieto delle tribolazioni.
Per camminare nella via stretta che conduce alla vita.
Per portare la croce con Cristo.
Per ricordare le ultime cose.
Per avere sempre davanti agli occhi la mia morte, che è sempre vicina.
Per non fare della morte un’estranea.
Per aver dinanzi e considerare l’eterno fuoco dell’inferno.
Per pregare il perdono dal giudice futuro.
Per avere continuamente in mente la passione che Cristo soffrì per me.
Per rendergli incessanti grazie dei suoi benefici.
Per riguadagnare il tempo perduto.
Per astenermi da vane confabulazioni.
Per schivare l’allegria e la letizia leggera e sciocca.
Per romperla con le ricreazioni non necessarie.
Per stimare un nulla la perdita della ricchezza del mondo, degli amici, della libertà, della vita, onde possedere Cristo.
Per ritenere miei migliori amici i miei più grandi nemici.
Che i fratelli di Giuseppe non avrebbero potuto fargli tanto bene con il loro amore e il loro favore, quanto gliene fecero con la loro malizia e il loro odio. Questi pensieri devono essere desiderati da ognuno più di tutti i tesori di tutti i principi e re cristiani e pagani, fossero essi raccolti e radunati tutti insieme in un mucchio solo.

Postato da: giacabi a 07:37 | link | commenti
preghiere, stommaso

domenica, 22 marzo 2009

Oggetto della speranza
***
“Oggetto della speranza è un bene futuro arduo ma possibile a raggiungersi”.
Tommaso d’Aquino   da: Summa Theologiae

Postato da: giacabi a 08:38 | link | commenti
speranza, stommaso

domenica, 15 marzo 2009


L’ Alternativa dell’uomo
 ***
 Colui che era Dio si è fatto uomo, facendo dèi coloro che erano uomini
Sant’Agostino Serm.192,1

« Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio »
Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1: SC 211, 374 (PG 7, 939).

. « Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio »
Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192).

 « Unigenitus [...] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L'unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei »
S.Tommaso d’Aquino Officium de festo corporis Christi, Ad Matutinas, In primo Nocturno, Lectio 1: Opera omnia, v. 29 (Parigi 1876) p. 336.

Postato da: giacabi a 08:35 | link | commenti
agostino, stommaso, sireneo

giovedì, 18 dicembre 2008

Preghiera di San Tommaso
***
Concedimi, o Dio misericordioso, di desiderare con ardore ciò che tu approvi, di cercarlo con prudenza, di riconoscerlo secondo verità, di compierlo in modo perfetto, a lode e gloria del tuo nome.
Metti ordine nella mia vita, fammi conoscere ciò che vuoi che io faccia, concedimi di compierlo come si deve e come è utile alla salvezza della mia anima.
Che io cammini verso di te, Signore, seguendo una strada sicura, diritta, praticabile e capace di condurre alla meta, una strada che non si smarrisca tra il benessere o tra le difficoltà.
Che io ti renda grazie quando le cose vanno bene, e nelle avversità conservi la pazienza, senza esaltarmi nella prosperità e senza abbattermi nei momenti più duri.
Che io mi stanchi di ogni gioia in cui tu non sei presente, che non desideri nulla all’infuori di te.
Ogni lavoro da compiere per te mi sia gradito, Signore, e insopportabile senza di te ogni riposo.
Donami di rivolgere spesso il mio cuore a te, e quando cedo alla debolezza, fa’ che riconosca la mia colpa con dolore e con fermo proposito di correggermi.
Signore, mio Dio, donami un cuore vigile, che nessun pensiero curioso trascini lontano da te; un cuore nobile che nessun indegno attaccamento degradi; un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare; un cuore fermo che resista ad ogni avversità; un cuore libero che nessuna passione violenta possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio Dio, un’intelligenza che ti conosca, uno zelo che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia, e una fiducia che alla fine arrivi a possederti.
(S. Tommaso d’Aquino).

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preghiere, stommaso

martedì, 23 settembre 2008

La verità esiste
 ***
"E' di per sé evidente che esiste la verità; perché chi nega esistere la verità ammette che esiste una verità; infatti se la verità non esiste sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualcosa di vero, bisogna che esista la verità."

San Tommaso d'Aquino, Summa theologica I, q. 2, a. 1



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verità, stommaso

sabato, 02 agosto 2008

PREGHIERA DELLO STUDENTE
***
Creatore ineffabile
sorgente di luce e di speranza
degnati di riporre sulla mia intelligenza
un raggio del tuo splendore;
scaccia da me le tenebre del peccato e dell'ignoranza.

Donami la penetrazione per comprendere,
la capacità di trattenere,
il metodo e la facilità di apprendere,
l'abilità di parlare

Avvia l'inizio, conduci i progressi,
corona la fine,
Tu che, vero Dio e vero uomo,
vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen

                                                                San Tommaso d'Aquino



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domenica, 02 marzo 2008

 La fede è ragionevole

***

"I doni della grazia si aggiungono alla natura in modo da non toglierla di mezzo, ma da perfezionarla: perciò anche il lume della fede che ci fu infuso per grazia non distrugge il lume della conoscenza naturale che in noi è naturalmente presente. Sebbene il lume naturale della mente umana sia insufficiente alla manifestazione di quelle cose che attraverso la fede si manifestano, è tuttavia impossibile che le cose che ci sono attraverso la fede tramandate divinamente siano contrarie a quelle che ci sono date per natura. In questo caso occorrerebbe che o le une o le altre fossero false; e poiché sia le une sia le altre ci vengono da Dio, Dio sarebbe per noi autore della falsità: il che è impossibile.”

 San Tommaso d'Aquino (Commento al de Tinitate 

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fede, ragione, stommaso

sabato, 29 settembre 2007

La santità
***


La santità non consiste nel sapere molto o meditare molto; il grande segreto della santità consiste nell’amare molto.
Tommaso d’Aquino
.


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santi, stommaso

giovedì, 20 settembre 2007

Preghiera
 ***
O Dio Onnipotente,
 allontana da me ogni proposito di vanagloria,
ogni appetito di lusinga per me stesso,
 ogni invidia, ogni cupidigia, ogni ingordigia.
ogni accidia e lascivia, ogni accesso d’ira,
ogni sete di vendetta,
ogni auspicio o godimento del male altrui,
ogni diletto nel provocare l’ira e la rabbia altrui,
ogni compiacimento nel biasimare o denigrare chiunque sia preda di afflizione o di calamità.
 E donami, o Signore, un animo umile, leale, quieto, mite, paziente, caritatevole, gentile, affabile e pietoso, che in ogni gesto e in ogni parola e in ogni mio pensiero, assapori lo Spirito Santo benedetto.
S.Tommaso Moro
 

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giovedì, 16 agosto 2007

La verità su Dio
                     ***
"La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per un piccolo numero soltanto, e dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori. D'altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la salvezza dell'essere umano, poiché questa salvezza è in Dio. Per rendere questa salvezza più universale e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione".
 S. Tommaso: Summa Theologiae
 

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dio, verità, stommaso

venerdì, 03 agosto 2007

La tristezza
***
“desiderio di un bene assente”
 S. Tommaso Summa Theologiae
***
"..Aveva saputo toccare nel cuore del suo amico le corde più profonde e provocare in lui la prima sensazione, ancora indefinita, di quella eterna santa tristezza che qualche anima eletta, una volta che l'abbia assaporata e conosciuta, non scambierà poi mai più con una soddisfazione a buon mercato (vi sono anche certi amatori così fatti che questa tristezza hanno più cara della soddisfazione più radicale, ammesso che una simile soddisfazione sia possibile)".
(F. Dostoevskij ) da:I demoni
 

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tristezza, dostoevskij, stommaso

sabato, 14 luglio 2007

LA VERA SODDISFAZIONE
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S. Tommaso
La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”.
 

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stommaso

venerdì, 20 aprile 2007

Il Dio nascosto
                   ***

"La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per un piccolo numero soltanto, e dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori. D'altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la salvezza dell'essere umano, poiché questa salvezza è in Dio. Per rendere questa salvezza più universale e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione".
S. Tommaso d'Aquino:Summa theologiae

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giovedì, 04 gennaio 2007

La realtà è segno di Dio 
sta a  noi aprire il cuore  per ammirarla
***
  “Un giorno il viandante chiuse la porta dietro di sé e pianse. Poi disse :’Questo ardente desiderio del vero, del reale, del non apparente, del certo, come lo odio...(Nietzsche).
***
La Bellezza
è lo splendore del Vero
San Tommaso d’Aquino
lago gusana +sardegna

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bellezza, nietzsche, stommaso

lunedì, 01 gennaio 2007

Preghiera di San Tomaso d'Aquino
Mio Dio, non dimenticarti di me,
quando io mi dimentico di te.
Non abbandonarmi, Signore
,
quando io ti abbandono.
Non allontanarti da me,
quando io mi allontano da te.
Chiamami
se ti fuggo,
attirami
se ti resisto,
rialzami
se cado.
Donami, Signore, Dio mio
,
un
cuore vigile

che nessun vano pensiero porti lontano da te,
un
cuore retto
che nessuna intenzione perversa possa sviare,
un
cuore fermo
che resista con coraggio ad ogni avversità,
un
cuore libero
che nessuna torbida passione possa vincere.
Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi,
una
sapienza
che ti trovi,
una
vita c
he ti piaccia,
una
perseveranza
che ti attenda con fiducia
e una
fiducia che alla fine giunga a possederti.

San Tommaso d'Aquino


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martedì, 07 novembre 2006


PERSONA
Tratto da www.carimo.it

«Come spiega lo stesso S. Tommaso il termine proviene da personare, che significa "far ri­sonare", "proclamare ad alta voce": (il nome persona è stato tratto da personare perché nelle tragedie e nelle commedie gli attori si mettevano una maschera per rap­presentare colui del quale, cantando, narra­vano le gesta . Storicamente la parola persona segna la linea di demarcazione tra la cultura pagana e la cultura cristiana. Fino all’avvento del cristia­nesimo non esisteva né in greco né in latino una parola per esprimere il concetto di persona e fu una verità carica di un "potere sovversivo" come poche altre nella storia: man mano che essa riuscì a farsi strada e a penetrare nella cultura pagana, la trasformò profondamen­te, sostanzialmente, dando origine a una nuova cultura e a una nuova società: la cul­tura e la società che prenderanno forma nel­la respublica christiana del medioevo.

Come s’è detto, il concetto di persona, in quanto pone l’accento sul singolo, sull’indi­viduo, sul concreto, è estraneo a! pensiero greco, il quale annette importanza e ricono­sce valore soltanto all’universale, all’ideale, all’astratto e considera l’individuo solo come momentanea fenomenizzazione della spe­cie, dell’universale, oppure un attimo transi­torio del grande ciclo onnicomprensivo della storia.
Nel cristianesimo il concetto di persona non è stato tramandato come un semplice dato di fede, ma è diventato argomento di profonda meditazione filosofica e teologica Il primo esame approfondito di tale concetto fu compiuto da Agostino nel De Trinitate. L’obiettivo che egli perse­gue è quello di reperire un termine che si possa applicare distintamente al Padre, al Figlio e allo Spirito, senza incorrere da una parte nel pericolo di far di loro tre divinità e, dall’al­tra, nel pericolo di dissolvere la loro indivi­dualità. Agostino fa vedere che i termini "essenza e "sostanza" non possiedono que­sta duplice virtù, in quanto si riferiscono ad aspetti comuni a tutt’e tre I membri della Trinità. Essa compete invece al termine greco “hypostasis” e al suo equivalente latino "persona", il quale non significa una spe­cie, ma qualcosa di singolare e di individua­le (De Trinitate VII, q. 6, a. 11). Analogi­camente, oltre che a Dio, questo termine si applica anche all’uomo. Pertanto, per Agostino persona significa il singolo, l’individuo. Ciò attesta che nel se­colo IV d. C. la parola persona aveva già acquisito un significato profondamente diverso da quello che aveva avuto nella latinità classica: non designa più una maschera ma un uomo, un individuo della specie umana.

Il merito di avere elaborato una defini­zione adeguata del concetto di persona spetta a Severino Boezio . In uno dei suoi opuscoli teologici egli scrive: “La perso­na è una sostanza individuale di natura ra­gionevole (persona est rationalis naturae in­dividua substantia) (Contra Eutichen et Ne­storium, c. 4). Dalla definizione boeziana ri­sulta che persona non dice semplicemente indivi­dualità singola L’individualità singola infatti può appartenere anche all’ac­cidente (tutti gli accidenti concreti sono indi­viduali); per dar luogo alla persona non bastano né la natura né la sostanza, che possono an­che essere elementi generici. Ma neppure l’unione di individualità, natura e sostanza fa ancora la persona; questi elementi appar­tengono anche a un sasso o a un gatto, che non sono persone. Per definire adeguatamente la persona occorre aggiungere ai tre elementi precedenti la differenza spe­cifica che distingue gli uomini dagli animali, la quale consiste nella razionalità.

S. Tommaso ritocca la definizio­ne boeziana come segue: "Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est perso­na” (C. G., IV, c. 35). Ponendo nella defini­zione di persona i nomi rationalis oppure intel­lectualis, S. Tommaso assegna implicitamente alla persona tutte quelle proprietà su cui insisteranno i filosofi moderni e contemporanei quando parlano della persona: l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza, la vocazio­ne ecc., perché tutte queste qualità trovano la loro radice profonda nella ragione oppure nella intelligenza: è la ragione (l’intelligen­za) che possiede l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza, la vocazio­ne, la partecipazione, la solidarietà ecc.

Tommaso definendo sinteticamente la persona co­me subsistens in natura rationali vel intellec­tuali indica tutt’e due gli aspetti essenziali e indispensabili per avere la persona: l’aspetto onto­logico (col subsistens) e l’aspetto psicologico (col rationalis o intellectualis). Una raziona­lità o un’intelligenza, per quanto perfetta, senza la sussistenza non fa ancora persona; tant’è vero che la natura umana di Cristo, non es­sendo sussistente, non fa persona. Né occorre che la razionalità o l’intelligenza siano presenti come operazioni in atto, ma è sufficiente che siano presenti come facoltà: così è persona anche chi dorme, anche chi è in stato comatoso ed è persona anche il feto. la sussistenza, nota essenziale della persona, ci si trova nella sua forma particolare e indivi­duale in modo più speciale e perfetto nelle sostanze razionali, che possiedono il domi­nio del loro agire e non sono solo oggetti passivi, come le altre sostanze, ma agiscono per sé medesime: perché solo gli esseri sin­golari possono agire, e tra tutte le altre so­stanze certi individui hanno un nome specia­le: questo nome è persona perché sono di natura ragionevole” 
Nell’uomo, come totalità dell’essere sin­golo, la persona abbraccia: la materia, la forma sostanziale (l’anima), le forme accidentali e l’atto d’essere (actus essendi). Il costitutivo formale della persona è dato da quest’ultimo ele­mento, perché l’atto dell’essere è la perfe­zione massima ed è ciò che conferisce attua­lità alla sostanza e a tutte le sue determina­zioni. Perciò "la personalità appartiene ne­cessariamente alla dignità e alla perfezione di una realtà, in quanto questa esiste per sé il che è inteso nel nome di persona 
Infatti, “il concetto di persona comporta che si tratti di qualcosa di distinto, sussistente e comprendente tutto ciò che c’è nella cosa; invece il concetto di natura ab­braccia solo gli elementi essenziali. 
Perciò non l’astratta ragione o la natura umana in generale, ma la ragione e la natura possedute da un essere in concretosussisten­te per un actus essendi fa la dignità irriduci­bile della persona umana, che possiede “has car­nes et haec ossa et hanc animam, quae sunt principia individuantia hominem" . Così S. Tommaso può legittimamente conclu­dere affermando che “il modo di esistere che comporta la persona è il più degno di tutti, essendo ciò che esiste per sé . 
L’uomo singolo come "individuo." sta ri­spetto alla totalità dell’universo e dell’uma­nità "sicut pars ad totum" .Nel cosmo l’individuo è un piccolo mo­scerino apparentemente insignificante che può esser spazzato via in qualsiasi istante. Invece come persona gode di una indipen­denza dominatrice. L’uomo come individuo è soggetto agli astri, ma come persona può dominarli. Analogamente, come individuo l’uomo singolo è membro dell’umanità alla quale è finalizzato, ma in quanto persona non è subordinato alla comunità politica, la quale trova invece nella persona la ragione ultima del suo essere: la società si costituisce infatti af­finché l’uomo cresca nella libertà e realizzi pienamente se stesso 

La definizione di persona in chiave ontologica. così come venne elaborata da Boezio e poi ulteriormente perfezionata da S. Tommaso con la sua dottrina dell’actus essendi, fu una con­quista definitiva, ed è un punto di riferimen­to sicuro per tutti coloro che cercano di com­prendere perché sia giusto affermare che l’essere umano è persona sin dal momento del concepimento. e che quindi la dignità della persona non dipende da qualche convenzione so­ciale o da qualche codice di diritto, ma è una qualità originaria, intangibile e perenne. Chi è persona è persona da sempre e per sempre: perché questo fa parte della sua stessa costituzione ontologica.»




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