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sabato 25 febbraio 2012

zolli


Il rabbino David Dalin:
«il più grande amico degli ebrei?
Pio XII ovviamente»
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Non meno di 700.000 ebrei furono salvati daLL’attività caritativa della Chiesa per diretto interessamento di Pio XII. No, non solo sono gli storici occidentali a dirlo, ma uno storico leader ebraico, il rabbino David G. Dalin.
Egli ha dichiarato: «Durante il ventesimo secolo il popolo ebraico ha avuto un grande amico. Pio XII ha salvato più vite di ebrei di chiunque altro, anche più di Oskar Schindler e Raoul Wallenberg». Intervistato da Zenit.es, lo storico ebreo ha spiegato: «Oggi c’è una generazione di giornalisti impegnati a screditare gli sforzi documentati di Pio XII per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Questa generazione si è ispirata all’opera teatrale “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, che però non ha alcun valore storico. Questi critici ignorano anche lo studio illuminate di Pinchas Lapide, che è stato console generale di Israele a Milano, il quale ha scoperto molti ebrei italiani sopravvissuti all’Olocausto. Nei documenti Lapide si dice che Pio XII ha incoraggiato la salvezza di almeno 700.000 ebrei dai nazisti. Ma secondo un’altra stima, questa cifra sale a 860.000».
Si è detto molto circa i presunti “silenzi” di Pio XII, tuttavia «abbiamo un sacco di documentazione che non stette proprio in silenzio, parlò infatti ad alta voce contro Hitler e quasi tutti lo vedevano allora come un oppositore del regime nazista. Durante l’occupazione tedesca di Roma, Pio XII ha segretamente incaricato il clero cattolico di salvare tutte le vite umane possibile con tutti i mezzi possibili. In questo modo vennero salvati migliaia di ebrei italiani dalla deportazione. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono in quegli anni, l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Solo a Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a 5000 ebrei. Almeno 3.000 vennero nascosti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo. Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, molti preti e monaci resero possibile la salvezza di centinaia di vite di ebrei, rischiando la propria stessa vita».
Un’altra accusa fatta a Pio XII è il non aver denunciato pubblicamente le leggi antisemite, ma ovviamente fu costretto ad agire in questo modo: «Il suo silenzio era una strategia efficace per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione. Un’esplicita e dura denuncia contro i nazisti sarebbe servita come invito alla ritorsione, e avrebbe peggiorato le disposizioni sugli ebrei in tutta Europa. Certamente ci si potrebbe chiedere: cosa c’è di peggio che lo sterminio di sei milioni di ebrei? La risposta è semplice e terribilmente onesta: l’assassinio di centinaia di migliaia di altri ebrei. I Vescovi cattolici provenienti dai Paesi occupati hanno consigliato a Pacelli di non protestare pubblicamente contro le atrocità commesse dai nazisti. Abbiamo le prove che, quando il vescovo di Münster avrebbe voluto parlare contro la persecuzione degli ebrei in Germania, il responsabile della comunità ebraiche della sua diocesi lo pregò di non farlo, avrebbe infatti provocato una repressione più dura contro di loro».

Postato da: giacabi a 16:34 | link | commenti
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sabato, 28 febbraio 2009

 Prima dell’alba
La biografia del rabbino capo della comunità ebraica di Roma che si convertì al cristianesimo. Pubblicata nel 1954 negli Usa, ora viene edita anche in Italia
di Giovanni Ricciardi
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Eugenio Zolli, Prima dell’alba. Autobiografia autorizzata, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 283 pp., euro 16,00

     «La conversione è un se­guire un appello di Dio. Uno si converte né pri­ma né dopo, né quando vuole o preferisce, ma solo nell’ora in cui l’appello giunge. Giunto che è, a chi è rivolto non resta che una via sola, ed è obbedire».
     
A quest’appello Israel Zolli, allora rabbino capo della comunità ebraica di Roma, obbedì alla fine del 1944. Andò a cercare un sacerdote “sconosciuto” e chiese di essere istruito nella fede cattolica ricevendo il battesimo il 13 febbraio 1945. Un avvenimento che destò scalpore e risentimenti da parte degli ebrei di allora e che apparve quasi come un fulmine a ciel sereno, dopo gli anni delle deportazioni e dei lager nazisti. Ma così non era. La conversione di Zolli, sia pure improvvisamente deliberata, era stata preparata da un cammino di progressivo accostamento al cristianesimo, maturato durante tutta la vita. Ne dà testimonianza l’autobiografia da lui redatta e pubblicata nel 1954 negli Stati Uniti con il titolo Before the Dawn, «Prima dell’alba». Quel testo non era mai stato edito nel nostro Paese, benché l’autore l’avesse originariamente redatto in italiano. Ragioni di opportunità politica, forse. Eugenio Zolli aveva scelto il nome di battesimo di Pio XII, Eugenio Pacelli, per gratitudine verso ciò che il Pontefice aveva fatto per gli ebrei durante la guerra. Ma già negli anni successivi un’altra “vulgata” su papa Pacelli andava a dominare l’editoria italiana e internazionale. Le pagine di Zolli contengono accenti di ammirazione e affetto verso Pio XII, anche se la sua conversione non può essere interpretata come un mero “debito di riconoscenza” nei riguardi del Papa: «La conversione» scrive Zolli «è un atto di Grazia di Dio e allo spirare dello Spirito Santo e della Grazia, si compie ogni conversione onesta. Non posso gloriarmi di nulla, proprio di nulla, e il dire che la mia conversione fu onesta equivale a: non fu disonesta, quindi alcun vanto. Giunta l’ora della Grazia, mi sono convertito».
      A cinquant'anni di distanza da quella prima pubblicazione inglese, le Edizioni San Paolo danno ora alle stampe il testo originale redatto in italiano (Eugenio Zolli, Prima dell’alba. Autobiografia autorizzata), basato sul dattiloscritto recentemente ritrovato, e curato dal nipote Enrico De Bernart. Un libro che assume un po’ lo stile delle Confessioni di Agostino. Più che autobiografia vera e propria, compaiono cenni di memoria, episodi, incontri, ricordi d’infanzia, da cui Zolli prende spunto per meditare sulla propria vita, scoprire, nella trama della sua esistenza, fin da quando muoveva i primi passi nello studio delle Scritture alla scuola di Leopoli, sul finire dell’Ottocento, le tracce del suo cammino verso la fede cristiana. Qua e là fa capolino una non comune conoscenza delle Scritture, in particolare della lingua ebraica, che Zolli insegnò all’Università di Padova negli anni Trenta, nonché della tradizione talmudica: il professore si sofferma spesso a commentare questa o quella espressione della Bibbia, o a richiamare la sapienza ebraica del midrash (una forma di esegesi delle Sacre Scritture) e delle diverse scuole rabbiniche. Dappertutto un periodare lento e riflessivo, una prosa antica, che alterna il racconto alla riflessione spirituale, la meditazione delle Scritture al ricordo dei tragici eventi di cui Zolli fu spettatore e protagonista, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, quando si trovò ad essere – lo era dal 1940 – rabbino capo della Sinagoga romana durante l’occupazione nazista.
Eugenio Zolli

     «Da mio padre imparai la grande arte di pregare piangendo» ricorda Zolli: «Durante la persecuzione nazista io ho vissuto nel cuore di Roma in una piccola stanza in mezzo al freddo, alla fame e al buio. E pregavo piangendo: “Oh Tu guardia di Israele, proteggi l’avanzo di Israele, fa’ sì che non perisca l’avanzo di Israele che tre volte al giorno dice: Ascolta Israele”. Sul mio capo pendeva una taglia di 300.000 lire, allora una cifra notevole; la Gestapo mi cercava per terra e per mare e io non sono mai riuscito a pregare per me. Ripetevo sempre di nuovo guardando da un angolo oscuro, attraverso le lacrime, il cielo stellato: “Oh Tu guardia di Israele…”».
     All’indomani dell’arrivo dei tedeschi, Zolli, che negli anni in cui era stato rabbino a Trieste aveva avuto informazioni di prima mano sulla situazione degli ebrei sotto il nazismo, tentò invano di convincere il presidente della Comunità ebraica di Roma, Ugo Foà, a chiudere la sinagoga e gli uffici della comunità, a distruggere tutti gli elenchi e i documenti relativi agli ebrei romani e ad aiutare quante più persone possibile a emigrare all’estero o a rifugiarsi fuori da Roma. Ma Zolli ebbe a scontrarsi contro un incredibile muro di incomprensione. Foà e altri autorevoli membri della comunità erano convinti che il rabbino coltivasse allarmismi pericolosi e ingiustificati, tanta era la disinformazione che illudeva gli ebrei romani sulle vere intenzioni dei tedeschi: «Lei dovrebbe infondere coraggio» fu la risposta di Foà «anziché scoraggiare».
     E quando, svanite le illusioni, Kappler chiese cinquanta chili d’oro agli ebrei romani come riscatto per evitare la deportazione, fu Zolli a presentarsi in Vaticano e a ottenere da Pio XII i 15 chili mancanti, in quelle terribili 24 ore di tempo concesse dal comando tedesco per consegnare la somma. Com’è noto, i nazisti non mantennero la parola e nell’ottobre del 1943 la Gestapo deportava più di mille ebrei verso una fine che purtroppo conosciamo. Il professore annota nel suo scritto documenti relativi a quegli anni, che potranno essere di sicuro interesse per gli storici. Ma in tutto il suo percorso dà conto pure di quei segni che fin dai primi anni della sua vita avevano fatto sorgere in lui una curiosità verso Cristo. Già nel 1938 aveva pubblicato un saggio interamente dedicato alla figura di Gesù dal titolo Il Nazareno. Nell’autobiografia Zolli ricorda le occasioni grazie alle quali  si era accostato al cristianesimo: ad esempio, gli amici cristiani della sua infanzia, come Stanislao, uno dei più cari compagni di scuola e di giochi, dal quale si recava a studiare una volta alla settimana. Il crocifisso «in legno semplice, con vicino un ramoscello d’ulivo», appeso nella stanza dell’amico, e la bontà premurosa di quella famiglia avevano lasciato in lui una traccia indelebile. Più tardi il giovane Israel si era accostato ai Vangeli con commozione, entrando in familiarità con la persona di Gesù: «Un dopopranzo» – siamo nel 1917 – «ero in casa solo soletto e scrivevo uno dei soliti articoli per la solita Lehrerstimme. Credevo di essere tanto lontano da me stesso. A un tratto misi la penna sul tavolo senza rendermi conto del perché di questa interruzione del lavoro e, come rapito, cominciai a invocare il nome di Gesù… Gesù era entrato nella mia vita interiore come un dolce ospite, invocato e bene accolto.  L’amore per Gesù non doveva significare rinnegare l’ebraismo né abbracciare il cristianesimo. Né negazione, né affermazione a carattere ufficiale. La Comunità  israelitica e la Chiesa rappresentavano per me vita religiosa, ciascuna per conto suo, organizzata, mentre io mi sentivo ebreo, perché naturaliter ebreo, e amavo naturaliter Gesù Cristo. In questo mio amore per Gesù non dovevano entrare per nulla né l’ebraismo, né il cristianesimo. Io al cospetto di Gesù e Gesù in me».
     Questo accostamento a Gesù non significava allora e non significò mai per Zolli, tantomeno dopo la conversione, un rinnegare le proprie radici ebraiche: «Nel monoteismo di Israele trova la sua espressione l’anelito di generazioni intere; sono lunghi periodi di nostalgia, di sete di Dio, di un protendersi appassionato verso l’eterno mistero, che poi si riassumono rapidamente nell’anima di un singolo, di un uomo di Dio. […] Iddio chiama colui che da gran tempo lo cerca, lo invoca e l’uomo risponde: “Eccomi!”».
Sopra, ebrei rifugiati nel salone dei ricevimenti della residenza pontificia di Castel Gandolfo. Il rabbino Israel Zolli nella sinagoga di Roma, il 31 luglio 1944

     Del suo personale cammino alla ricerca di Dio Zolli darà più avanti quest’immagine: «Io sono mendico alle porte di Dio. All’infuori della mia povertà non ho nulla. Io sono proprio uno di quelli di cui sant’Agostino dice: “Che cosa può l’uomo offrire a Dio che non sia di Dio? Tutto dell’uomo è di Dio, solo i peccati sono dell’uomo”. E allora? E allora io dicevo a me stesso: Tu perché attendi? Che cosa attendi?».
     La risposta per Zolli arrivò alla fine del 1944, quando, celebrando il “Giorno dell’espiazione” in quella sinagoga in cui, dopo la liberazione, era stato reintegrato come rabbino dall’amministrazione provvisoria americana, sentì la spinta decisiva ad aprirsi alla fede cattolica.
     Zolli non trasse vantaggi materiali dalla sua conversione. La comunità ebraica di Roma lo bandì come apostata, e fu costretto a lasciare la sua casa del Ghetto. Dovette anche resistere alle lusinghe di quegli ebrei americani che gli offrirono molto denaro in cambio di un ritorno alla religione dei suoi padri. Ebbe ospitalità e alloggio per qualche tempo, grazie all’allora rettore padre Dezza, all’Università Gregoriana, finché non trovò un piccolo appartamento per sé e per la famiglia. Scelse di farsi terziario francescano e, come Francesco, visse in povertà, fino alla morte, avvenuta nel 1956: «Gli ebrei che oggi si convertono» scrive «come ai tempi di san Paolo, hanno di solito, sotto tanti aspetti, molto o tutto da perdere e poco o nulla da guadagnare». Ma questo giudizio non fu per lui motivo di risentimento o di rimpianto. E la sua autobiografia è, da cima a fondo, anche un atto d’amore appassionato a Israele: «Io non ho rinunciato all’ebraismo. L’ebraismo è una promessa e il cristianesimo è il compimento».
     
Un compimento che non cessa però di essere attesa. Così, nel congedo, alla fine dell’autobiografia, due anni prima di morire, Zolli conclude:
«Quando io sento il peso del vivere mio, quando sento la nostalgia immane di lacrime non piante, di beltà sfiorite e morte, in me morte, io piango il Cristo da me, in me, crocefisso. E il mio io vero non è l’io che in sé ha crocefisso il Cristo, ma l’io che Lo piange e Lo rimpiange: che in sé Lo chiama e a sé Lo richiama;  che Lo vuole vicino, che con Lui vuol essere tutt’uno. E giunto alla fine di questo libro, di queste pagine di strazio, io mi sento simile a chi è giunto all’ora della morte, sento in me la coscienza di chi sta  morendo senza aver vissuto… Vive male chi non vive il Cristo in pieno. Noi non possiamo che confidare nella pietà del Signore, nella pietà del Cristo, ché l’umanità non sa che uccidere, perché non Lo sa vivere. Non possiamo confidare che nell’intercessione di colei che ebbe il cuore trafitto dalla stessa spada che trafisse il Figlio… Ma per Gesù Cristo né si soffre né si ama mai abbastanza. Io ancora attendo Cristo. Lo attendo, ora e nell’ora della mia morte. Gesù, Signore, vieni. Ti attendo…».

Postato da: giacabi a 16:42 | link | commenti
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Pio XII e la persecuzione nazista
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Su questo argomento molto è stato scritto e tuttora se ne fa oggetto di discussioni e polemiche. Ritengo necessario parlarne un po' diffusamente, proprio perché i giudizi critici della stampa italiana ed estera a proposito del Documento vaticano Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah del 16 marzo 1998, rilevano "limiti" e "silenzi" proprio sull'operato di Pio XII negli anni della persecuzione nazista.
1. Attestati a favore di Pio XII alla fine della guerra
Il documento vaticano, in una Nota ( 1), riporta, con precisi riferimenti ad articoli dell'Osservatore Romano, attestati di riconoscenza. Il 7 settembre 1945 Giuseppe Nathan, commissario dell'Unione delle comunità israelitiche, il sommo pontefice, i religiosi e le religiose che, "attuando le direttive del santo Padre, non hanno veduto nei perseguitati che dei fratelli, e con slancio e abnegazione hanno prestato la loro opera intelligente e fattiva per soccorrerci, noncuranti dei gravissimi pericoli ai quali si esponevano" (Osservatore Romano, 8-10-1945).
Pio XII

Il 21 settembre 1945 Pio XII ricevette il Dott. A. Leo Kubowitski, segretario del Congresso Mondiale Ebraico, per presentare i più sentiti ringraziamenti per l'opera svolta dalla Chiesa cattolica in tutta l'Europa a favore della popolazione ebraica (Osservatore Romano, 23-09-1945).
Il 29 novembre 1945 il Papa ricevette circa 80 delegati di profughi ebrei, provenienti dai campi di concentramento in Germania, "sommamente onorati di poter ringraziare personalmente il santo Padre per la sua generosità dimostrata verso di loro durante il terribile periodo del nazifascismo" (Osservatore Romano, 30-11-1945).
Ancora, in occasione della morte di Pio XII (9 ottobre 1958), dopo più di 10 anni dalla fine della guerra e dopo il famoso processo di Norimberga, che diede il più ampio spazio alle inchieste sugli artefici, sulle cause, sulle trame e sulle alleanze dirette e indirette con il nazismo, la fama di Papa Pacelli è rimasta intatta.
Le più alte cariche politiche di Israele, e rappresentanti di organismi ebraici mondiali e nazionali, condividono "il lutto dell'umanità per la morte di Sua Santità Pio XII". Così in un cablogramma Golda Meir, che prosegue: "Quando venne il tremendo martirio del nostro popolo, nel decennio del terrore nazista, la voce del Papa si elevò per le vittime [...] Piangiamo un grande servitore della pace" ( 2).
2. Attestato del Gran Rabbino di Roma, Israele Zolli.
Un silenzio impenetrabile e inspiegabile è calato sulla figura e sulla vicenda del personaggio Zolli, che per tutto il periodo della guerra fu a Roma Gran Rabbino della comunità israelitica, a capo, cioè, di una delle più antiche e autorevoli comunità della diaspora, e Direttore del Collegio Rabbinico italiano. In nessun documento, neppure da parte cattolica, si cita quanto egli, a parole e con i fatti, testimoniò a favore di Papa Pacelli.
In una intervista data a Stefano Zurlo e pubblicata sul Giornale, 31 marzo 1998, la figlia Myriam (che vive e abita a Trastevere) racconta: "Quando i nazisti chiesero 50 chili d'oro per risparmiare la vita agli abitanti del Portico d'Ottavia, mio padre disperato corse in Vaticano... Il Santo Padre gli fece sapere che il Vaticano avrebbe messo a disposizione i 15 chili mancanti. Da allora Israele Zolli stabilì un rapporto di simpatia umana, quasi di identificazione con Pacelli".
Purtroppo il tesoro non servì a placare l'ira dei nazisti. Fra il 15 e il 16 ottobre 1943 i tedeschi rastrellarono il ghetto. "Mio padre - aggiunge Myriam - aveva capito anche questo: come sarebbe andata a finire. Lui non si fidava delle SS, e in precedenza aveva suggerito ai leader della comunità di bruciare i registri e di far fuggire la gente. Gli diedero del visionario. Anche perché avevano avuto notizie rassicuranti dall'allora capo della polizia Carmine Senise."
Sempre a proposito del rastrellamento del ghetto, in un simposio su "Cristiani ed ebrei durante la persecuzione nazista a Roma", svoltosi nella capitale il 23 marzo 1999, alla domanda fatta da Emanuele Pacifici, presidente dell'Associazione "Amici di Yad Veshem": "Ma dov'era Pio XII in quel 16 ottobre?", il P.Gumpel, gesuita e relatore nel processo per la beatificazione di Pio XII, senza citare Zolli e l'offerta dei chili d'oro, ricorda che Papa Pacelli non era stato a guardare. Aveva incaricato P.Pancrazio Pfeiffer di recarsi dal comandante dell'esercito, il generale Stahel, perché fermasse l'operazione. Il generale mandò un telegramma a Himmler spiegando che l'operazione sarebbe stata controproducente perché avrebbe potuto provocare una reazione violenta. Ottenne solo un ritardo di qualche giorno (Cf. Avvenire, 24 marzo 1999, p.22).
Uno dei treni che arrivavano ad Auschwitz con gli Ebrei deportati

Ritornando al rabbino Zolli, ci domandiamo: che cosa ha provocato la sua scomparsa dalla Storia? Non c'è altra ragione se non il fatto che egli, profondo studioso dei testi biblici dell'Antico e del Nuovo Testamento, nonché profondo conoscitore delle tradizioni talmudiche, dopo anni di solitaria ricerca, sulle orme del "Servo sofferente di Isaia", partecipando intimamente alle sofferenze del suo popolo e fra molte lacrime, aveva riconosciuto nel Cristo crocifisso il Volto del Servo.
Agli inizi del 1945 Israele Zolli chiese e ottenne il battesimo, prendendo il nome di Eugenio, come segno di ringraziamento al Papa Eugenio Pacelli per quanto aveva fatto in aiuto degli ebrei. Questa conversione suscitò un grande scandalo.
Il cardinale Paolo Dezza, recentemente scomparso, ha testimoniato: "Gli fu fatto il vuoto intorno... Il nome di Zolli fu addirittura cancellato dall'elenco dei rabbini di Roma, il settimanale ebraico uscì listato a lutto. Gli Zolli che vivevano ancora a due passi dalla sinagoga, ricevettero telefonate piene di insulti e dovettero cercarsi una nuova abitazione. Nell'attesa lo ospitai all'Università Gregoriana di cui ero rettore, mentre la moglie e la figlia trovarono ricovero in un convento di suore" (Il Giornale, ib. p. 9).
Qui è in ballo la condizione previa a ogni dialogo: il rispetto della persona umana e della libertà religiosa. Per noi cattolici sono state acquisizioni di altissimo valore. E per i fratelli ebrei? Il gran Rabbino di Roma, in piena libertà (nelle sue meditazioni autobiografiche) scrive: "Mai nessuno ha tentato di convertirmi... forse la mia anima si sarebbe esacerbata." Rinuncia a tutte le cariche per imboccare una strada irta di difficoltà per sé e per i suoi: "Sono povero, i nazisti mi hanno portato via tutto, non importa, vivrò povero, morirò povero, ho fiducia nella Provvidenza."
A un giornalista ebreo che gli aveva dato del "serpente scaldato nella comunità", risponde: "Lei non sa immaginare quante lacrime ho versato e quante ne verso anche in questi giorni nelle mie preghiere per gli israeliti perseguitati e barbaramente trucidati. Il tuo popolo è il mio popolo, il ceppo è comune."
"A chi, per incomprensione, mi domandò come avessi potuto 'rinnegare' me stesso, risposi: Non ho rinnegato, ho la coscienza chiara e sicura di aver soltanto affermato me stesso senza rinnegare nulla". Ecco come l'ebreo fatto cristiano sente di non aver ripudiato l'ebraismo: "Non ho mai altercato con me stesso... Tutto, pur trasformandosi, si armonizzava. L'anima andava saturandosi di valori spirituali nuovi senza espellere... i vecchi, ma trasformandoli sino al giorno in cui l'otre vecchio era pieno e riboccante del vino nuovo" ( 3). Siamo nel 1945, e, ancora oggi, per noi quelle parole sembrano una acquisizione audace!
Mi rendo conto che qui tocchiamo un nervo scoperto nei rapporti fra ebraismo e cristianesimo. Nessuno pretende che la scelta fatta dal rabbino Zolli sia condivisa dai suoi correligionari. Così dice la figlia Myriam in questa intervista: "Meglio non parlare di Zolli, nemmeno 40 anni dopo la sua morte (2 marzo 1956). E’ meglio non accostarlo a Pio XII. Troppi luoghi comuni scricchiolerebbero" (Il Giornale, stessa intervista).
A un uomo di tale levatura intellettuale e morale, di estremo disinteresse e di impegno in prima persona per le sorti del suo popolo perseguitato (già negli anni 30, a Trieste, dove era Gran Rabbino, si era adoperato a favorire l'espatrio di molti ebrei tedeschi), giustizia vuole che si rispetti la sua scelta, e si riconosca l'importanza della sua testimonianza a favore di Pio XII, forse, più efficace di tutte le altre.
3. Cambiamento di scena: cominciano gli attacchi.4. Per facilitare una seria ricerca storica su Pio XII
Era stato profeta Eugenio Zolli. Dice la figlia Myriam: "Subito dopo la guerra papà mi diceva spesso: Vedrai, faranno di Pio XII il capro espiatorio del silenzio che tutto il mondo ha mantenuto dinanzi ai crimini nazisti" (Il Giornale, inizio dell'intervista citata).
Il primo ad attaccare pubblicamente Pio XII fu Rolf Hochhuth con un testo teatrale: Der Stellvertreler (Il Vicario), pubblicato nel 1963. La sua tesi era che Pio XII non aveva fatto quel che poteva e doveva fare in difesa degli ebrei. A parte il chiasso nell'opinione pubblica, il contenuto della prova era semplicemente dilettantesco, e diversi ebrei ben informati criticarono fortemente l'autore.
Nel 1968 fu tradotto in italiano un libro scritto a New York: "Morte a Roma". Quando ne fu tratto un film, l'autore, Robert Katz, fu condannato dalla Corte di Cassazione per diffamazione.
Bisogna segnalare due libri di storici ebrei: La Chiesa cattolica e la Germania nazista, di Gunther Lewy, e Pio XII e il Terzo Reich, di Saul Friedlander, apparsi pure negli anni '60. Ma per ambedue troviamo un giudizio fortemente negativo di uno storico di fama internazionale, il gesuita P.Robert Graham, e di un'autorità incontestabile, Robert Kempner, sfuggito al regime nazista e poi avvocato dell'accusa al processo di Norimberga: "Nessuno dei due offre ragioni per cambiare questa opinione" (di energica difesa di Pio XII).
Vista la poca serietà scientifica delle pubblicazioni storiche sull'operato di Pio XII, Paolo VI nel 1964 ordinò che tutti i documenti vaticani riguardanti la seconda guerra mondiale fossero resi pubblici. Un gruppo altamente qualificato di storici produsse l'opera monumentale: Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale: 12 volumi contenenti 5.100 documenti editi secondo rigorosi criteri scientifici.
Pio XII
dopo la liberazione di Roma

Avrebbe dovuto bastare per impostare seriamente uno studio su Pio XII. Ma ecco che in questi ultimi anni lo scrittore americano John Cornwell col suo libro Il Papa di Hitler, accusa Pio XII addirittura di essere fautore del nazismo, e pretende di aver documentato la sua tesi con ricerche fatte nell'archivio della Segreteria di Stato, primo ed unico a consultare tali archivi.
Gli risponde proprio uno storico ebreo, Michael Marrus: "Il libro di Cornwell? Superficiale e scandalistico... Sul piano accademico, l'opera di Cornwell non ha valore: si basa su pochi documenti già noti da anni e sostiene la sua tesi in modo superficiale" (Cf. Avvenire, 25 novembre 1999).
Stando così le cose, e in adesione a diverse richieste anche da parte cattolica (per es., il Cardinale americano O'Connor) la Santa Sede ha costituito una Commissione mista, formata da tre cattolici (Eva Fleischner, il gesuita Gerald Fogarty, Don John Morley) e tre ebrei (Michael Marrus, Bernard Suchecky, Robert Wistrich), evidentemente tutti studiosi di chiara fama.
Lo scopo è di fare insieme una analisi accademica sulla figura di Pio XII, non solo sulla base di 12 volumi già pubblicati, ma di qualunque altra fonte documentaria eventualmente non ancora pubblicata. Estrema prova di buona volontà della Santa Sede che ha sempre dichiarato di non aver nulla da temere dalla verità. Il lavoro di questa commissione mista è del tutto indipendente dal processo di beatificazione di Pio XII, e potrà consolidare il dialogo tra ebrei e cattolici.
5. La vera materia del contendere su Pio XII
Che Papa Pacelli conoscesse bene l'ideologia anticristiana e antireligiosa dei nazisti non si può dubitare, essendo egli stato Nunzio Apostolico in Germania proprio negli anni in cui si andava affermando il partito di Hitler.
Questo spiega, per esempio, un certo sostegno offerto ai generali tedeschi che nel 1940 avevano messo a punto un complotto per liberarsi di Hitler. E spiega anche l'incoraggiamento dato ai cattolici americani, tramite il Delegato Apostolico, che non temessero di fare alleanza con la Russia di Stalin, pur di respingere l'invasione nazista.
Che la linea di prudenza adottata da Pio XII durante la guerra abbia consentito alla Chiesa cattolica (mobilitata proprio per volontà del Pontefice) di salvare almeno 800.000 ebrei, è fuori discussione. La ricercatrice americana Margherita Marchione, nel libro Pio XII e la questione ebraica, sostiene addirittura che Pio XII, "rischiò personalmente la deportazione e il lager per aver aiutato i perseguitati dal regime nazista" (Avvenire, 17 marzo 1998).
Si poteva, si doveva fare di più, per evitare la "soluzione finale" dell'Olocausto? Una premessa riguarda due fatti. Il primo fatto era stato già preannunziato da Eugenio Zolli: "Faranno di Pio XII il capro espiatorio del silenzio che tutto il mondo ha mantenuto dinanzi ai crimini nazisti" (Il Giornale, inizio dell'intervista alla figlia Myriam). E’ storicamente accertato che né il governo degli Stati Uniti, né della Gran Bretagna, né della Russia di Stalin, né De Gaulle, né Organismi Internazionali come la Croce Rossa e lo stesso Consiglio Mondiale Ebraico, che pure erano informati dell'esistenza dei campi di sterminio, elevarono proteste pubbliche e specifiche.
Solo a partire dagli anni '50 cominciò a diffondersi in tutta Europa una nuova sensibilità nella valutazione delle responsabilità circa la Shoah.
In questa linea abbiamo avuto, da parte cattolica, molte dichiarazioni di Episcopati nazionali, fino all'ultimo documento vaticano: "Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah ". Ma non è contraddittorio il tentativo di scaricare la principale responsabilità della Shoah sulle spalle di Pio XII, che pochi anni prima si elogiava per le sue benemerenze a difesa degli ebrei perseguitati?
Edith Stein, vittima dell'Olocausto ad Auschwitz.

Il secondo fatto è il cosiddetto "silenzio" di Pio XII, che è poi l'accusa principale. Su questo silenzio bisogna bene intendersi. Scrive il P.Gumpel: "La verità è che Pio XII condannò ripetutamente e pubblicamente la persecuzione di gente innocente "solo a causa della loro razza". "A quei tempi, chiunque capiva a chi si stesse riferendo". E a conferma cita vari testi dei massimi vertici nazisti che manifestano ostilità per il Papa "portavoce dei guerrafondai ebrei".
E’ vero però che Pio XII nelle sue proteste pubbliche non ha mai usato il termine "ebreo", né ha fatto dichiarazioni veementi. Possiamo capire un po' di più le ragioni di questo atteggiamento?
Qualche osservatore fa notare quanto sia difficile, con la sensibilità di oggi, in un contesto culturale profondamenmte diverso, poter giudicare le scelte che la coscienza di Pio XII si trovò a prendere. Altri sottolineano la formazione diplomatica ricevuta da Papa Pacelli, e come egli avesse più fiducia nell'azione diplomatica spiegata in tutte le direzioni, piuttosto che nelle pubbliche dichiarazioni. E si attenne a questa impostazione. Ma ascoltiamo il grido del cuore di Pio XII:
"Più volte avevo pensato a fulminare di scomunica il nazismo, a denunciare al mondo civile la bestialità dello sterminio degli ebrei! Abbiamo udito minacce gravissime di ritorsione, non sulla nostra persona, ma sui poveri figli che si trovano sotto il dominio nazista; ci sono giunte vivissime raccomandazioni, per diversi tramiti, perché la Santa Sede non assumesse un atteggiamento drastico.(4 ).
Dopo molte lacrime e molte preghiere, ho giudicato che una mia protesta, non solo non avrebbe giovato a nessuno, ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei... Forse la mia protesta solenne avrebbe procurato a me una lode nel mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile di quella che soffrono"
Questa era la convinzione di Pio XII. E che fosse molto fondata, lo conferma quello che successe alla Chiesa d'Olanda. Domenica 26 luglio 1942 fu letta in tutte le chiese cattoliche una lettera di protesta contro le deportazioni di intere famiglie ebree (più di 10.000 persone).
E quale fu il risultato? Non solo la deportazione degli ebrei di sangue e di religione venne accelerata, ma, come ritorsione diretta contro i Vescovi, autori della protesta, furono deportati innanzi tutto gli ebrei battezzati (tra questi, Edith Stein e sua sorella Rosa), che da questo momento sarebbero stati considerati "i nostri peggiori nemici".
Quando Pio XII fu avvertito di questa tragedia, si recò in cucina e personalmente bruciò due grandi fogli scritti molto fitti, dicendo: "E’ la mia protesta contro la spaventosa persecuzione antiebraica. Stasera sarebbe dovuto comparire sull'Osservatore Romano. Ma se la lettera dei Vescovi olandesi è costata l'uccisione di quarantamila vite umane, la mia protesta ne costerebbe forse duecentomila. Perciò è meglio non parlare in forma ufficiale e agire in silenzio, come ho fatto finora, per tutto ciò che è umanamente possibile per questa gente" ( 5).
Conclusione1. Regno-documenti, 1 aprile 1998, pp. 201.204. La Nota è a p. 204.
2.
Dall’articolo del gesuita Gumpel, apparso sul settimanale cattolico inglese The Tablet del 13 febbraio 1999.
3.
Queste citazioni in corsivo sono prese da alcuni testi autobiografici scritti nei primi mesi del 1945, durante l’ospitalità alla Gregoriana. Furono pubblicati come Appendice al volume Christus, Ed.Ave, Roma 1945.
4.
G.Angelozzi Gariboldi, Pio XII, Hitler e Mussolini. Il Vaticano fra le dittature, Mursia, Milano 1988, p.152. La citazione è presa dall'interessante volume di G.Centore, Il canto di Gabila - Lettura poetica dell'Ebraismo, Napoli, Ed.Scientifiche Italiane 1994, p. 28.
5. Cf. Avvenire, 7 ottobre 1998. Le parole riportate tra virgolette riferiscono la testimonianza di Sr.Pascalina Lenhert, molto nota per essere stata per anni al servizio di Pio XII.
La Chiesa ufficiale, che pure ha molto riflettuto sulle colpe e sulle responsabilità dei cristiani a riguardo delle persecuzioni naziste, non ritiene di dover chiedere scusa per il silenzio di Pio XII. Lo ha detto il Nunzio Apostolico in Israele, in una dichiarazione alla televisione di Stato. Quel silenzio era necessario (Avvenire, 27 febbraio 2000).
Questo però non significa che, sul piano storico-scientifico, sia detta l'ultima parola su Pio XII. Così il Cardinale Cassidy, che presiede la Commissione per i rapporti con l'ebraismo, in una conferenza stampa a Londra, qualche settimana dall'uscita del documento sulla Shoah (Avvenire, 14 maggio 1998).





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zolli

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