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giovedì 28 giugno 2012

Fuori dal buio”, la dolorosa storia di una bambina cresciuta con un padre gay

Fuori dal buio”, la dolorosa storia di una bambina cresciuta con un padre gay

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giugno 27, 2012 Benedetta Frigerio
La canadese Dawn Stefanowicz ha pubblicato la sua biografia: «Anche se avrei potuto stare zitta e non rivelare i nostri segreti familiari. Ma ho deciso di difendere i bambini dalle leggi ingiuste di questo paese».
«La mia speranza è che, leggendo la mia storia, tutti i lettori, e in particolare quelli che occupano posizioni influenti o autorevoli, siano meglio informati e guidati nell’assumere decisioni che possono incidere profondamente sulle nostre famiglie e sui nostri bambini, che sono il futuro e la speranza delle prossime generazioni». A parlare è Dawn Stefanowicz, che ha scelto coraggiosamente di scrivere un libro sulla sua vita di ragazzina cresciuta con un padre omosessuale. Fuori dal Buio, la mia vita con un padre gay (edizioni Ares, 240 pagine, 14 euro) è una storia che condanna l’omosessualità in quanto pratica accettata come normale e che al tempo stesso critica non solo coloro che ne parlano come di una tendenza innocua, ma anche chi la considera solo come una scelta da condannare e non un disagio da alleviare. Per l’autrice questi due atteggiamenti sono entrambi facce della stessa medaglia. Quella di chi non vuole affrontare il problema, accontentandosi di un sentimento superficiale: «Non conosco molti omosessuali o ex omosessuali che sceglierebbero una Chiesa come il luogo più confortevole e accogliente in cui aprirsi», scrive infatti la donna, che ugualmente condanna chi per cercare consensi o «bisogno di fondi è deciso a negoziare sui princìpi fondamentali».
Sfogliando il libro si capisce il perché e si rimane impressionati dal coraggio dell’autrice che ha messo sul piatto una storia di sofferenze indicibili «per difendere i bambini innocenti che non possono difendersi da soli», come scrive nella dedica del volume, e per lottare, come si legge nella prefazione, «contro una nuova, inaudita forma di abusi sui minori, legalizzata e promossa dagli Stati che hanno abbracciato un’ideologia del tutto falsa, per la quale ogni tipo di vissuto e ogni forma di convivenza vengono considerati leciti ed equivalenti». Dawn, infatti, racconta di un’infanzia che le rovinerà per sempre la vita, in cui «senza un attaccamento sicuro a lui (il padre, ndr) non riuscii per anni a relazionarmi a nessun uomo (…), a non ricordare nulla di alcune spiegazioni; mi ritrovai del tutto incapace di gestire la tensione quotidiana, sia a scuola sia a casa».
La ragazza descrive poi un’adolescenza fatta di «doppi sensi in tutte le amicizie. Vivevo una situazione familiare tanto incerta che davo per scontato e insieme temevo che sessualmente avrei dovuto fare esperienze diverse per scoprire quale fosse la mia identità (…). Non riuscii a legare con nessuno, maschio o femmina (…). Con papà, naturalmente, non c’era scampo: se uscivo con le femmine diceva che ero lesbica (…), la promiscuità mi sembrava la cosa più normale». Crescendo la ragazza si accorge di avere «un’autostima bassissima, e avevo cominciato a non mangiare (…) volevo essere libera e indipendente da qualsiasi legame affettivo». Essere in compagnia di papà aumentava i miei conflittuali sensi di curiosità e di colpa in campo sessuale (…), i suoi occhi (del padre, ndr) erano alla continua ricerca di qualcosa in più da possedere e da toccare mentre io cercavo solo il suo amore (…). Ciò che importava era stare insieme a papà, nonostante tutti gli ambienti degradanti nei quali mi portava e verso i quali mi toglieva sensibilità». Perché anche «se ne vede e se ne sente abbastanza di qualsiasi cosa, si finisce per crederci e accettare tutto come parte della convenzione». Ma a peggiorare le cose fu «l’audacia di papà nella sua condotta omosessuale sempre più evidente», dovuta al fatto che «non c’era più nessuno a cui sentiva di dover rendere conto (…) una nuova aria di permissivismo permeava la società».
Ma come può l’omosessualità portare a tutte queste conseguenze negative, che hanno segnato profondamente anche i fratelli dell’autrice? Per Dawn la società preferisce «fermarsi all’apparenza». Invece la frustrazione profonda del padre che «cercava di colmare con i rapporti omosessuali», era enorme, «sebbene quella che presentava al mondo fosse un’immagine di sicurezza, intelligenza, efficienza e benessere economico». «Era una persona insicura», perché l’omosessuale, spiega l’autrice raccontando dei tantissimi incontrati con il mondo gay, è come suo padre: «Narcisista, concentrato su se stesso e tanto bisognoso di conferme e di affetto da parte di altri uomini». Infatti, «lui portava dentro una grandissima rabbia irrisolta, che ribolliva e traboccava in scene spaventose». Anche se «riteneva di avere sempre ragione. Il problema era sempre di qualcun altro, non suo». «Di tanto in tanto – scoprirà la Stefanowicz – lottava anche contro la depressione e qualche volta pensava al suicidio (…). Viveva una vita tormentata, il suo modo di affrontare il proprio disagio era seppellirsi negli straordinari di lavoro e poi la sera e nei fine settimana, fuggire verso attività sessuali compulsive».
L’autrice racconta anche dei tanti uomini del padre, «molti dei quali si suicidarono» perché incapaci di colmare «la frustrazione che vivevano quando lui li lasciava» e dello psichiatra del padre che peggiorò le cose spronandolo a continuare per la sua strada di «automedicazione». L’autrice parla di due incontri che le hanno donato speranza. La sua vicina di casa, da cui spesso si rifugiava da piccola e che «mi aiutò a discernere». La donna, infatti a differenza di tutti gli adulti che «in nome dell’ideologia politically correct fingevano di non vedere (…), parlava delle cose così com’erano, non come apparivano», spiegando alla piccola che «il papà fa delle cose che non dovrebbe fare perché sono sbagliate». Il secondo incontro di Dawn è con la famiglia di un altro vicino di casa, che la aiutò durante gli anni della adolescenza in cui viveva stati depressivi importanti: «Conoscendo i suoi genitori ebbi finalmente un’idea di quello che dovesse essere una famiglia», intuendo che l’amore eterosessuale era possibile, non era una chimera.
Oggi se Dawn Stefanowicz è sposata lo deve «alla fede in Dio», che si è palesata nella sua vita in modo affascinante («gli affidai la vita»), grazie anche «all’incontro con mio marito», un pastore protestante. Anni di analisi, invece, l’hanno aiutata a sentirsi finalmente donna e ad avere due figli e, grazie alla fede, Dawn è riuscita anche a perdonare il padre, convertitosi prima di morire di Aids: «L’inferno che vivo è molto reale (…) Gesù è tutto quello di cui ho bisogno. Lui ha spezzato le mie catene e mi ha liberato». Leggendo questo libro non si trova un filo di rancore o di odio (anzi si parla di perdono e di riscatto), ma solo il tentativo di spiegare a «chi governa» che è necessario «fare del bene ad altri bambini che hanno subìto famiglie come la mia». Purtroppo, come è successo ai suoi fratelli, troppo spesso i figli hanno paura di parlare e semplicemente «sopportano per anni la tensione di non dire praticamente niente a nessuno (…). Anche ora mi sento in colpa come se tradissi i miei genitori e i miei fratelli rivelando a tutti i nostri segreti familiari. Ma ho ponderato le conseguenze del mio voler dire la verità, ponendole sul piatto della bilancia di un obiettivo più alto: quello di mostrare a tutti quanto le strutture parentali e familiari possano incidere negativamente sullo sviluppo dei bambini».

“Io, Chiara e il nostro amore speciale”

“Io, Chiara e il nostro amore speciale” 

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Chiara Corbella
Chiara Corbella

Radio Vaticana intervista Enrico Petrillo, il marito di Chiara Corbella, morta dopo aver rinviato le cure anti-tumore per far nascere sano il figlio

mauro pianta roma


La sua storia sta facendo il giro del mondo. Chiara Corbella, una bella ragazza romana di 28 anni, è morta il 13 giugno scorso. E’ morta dopo aver rinviato le cure per un tumore scoperto al quinto mese di gravidanza. La sua scelta ha consentito al figlio Francesco di venire al mondo sano. La sua, però, non era la prima gravidanza: Maria e Davide erano scomparsi poco dopo il parto essendo nati entrambi con gravi malformazioni.

Prima di morire Chiara aveva scritto in una lettera al figlio Francesco: «Vado in cielo ad occuparmi di Maria e Davide, e tu rimani con il papà. Io da lì prego per voi».

Enrico Petrillo, il marito di Chiara, ha letto quella lettera al funerale della ragazza. Una cerimonia alla quale hanno partecipato più di mille persone.  Enrico nei giorni scorsi ha rilasciato un’intervista a Radio Vaticana.

In un filmato su Youtube, Chiara ha pronunciato questa frase: “Il Signore mette la verità in ognuno di noi; non c’è possibilità di fraintendere”. Alla luce di quanto accaduto (i dolori, le incertezze, le scelte fatte ) qual è, è stato chiesto ad Enrico, la verità che hai scoperto?


«Quella frase – ha risposto il giovane- si riferisce al fatto che il mondo di oggi, secondo noi, ti propone delle scelte sbagliate di fronte all’aborto, di fronte a un bimbo malato, di fronte a un anziano terminale, magari con l’eutanasia… Il Signore risponde con questa nostra storia che un po’ si è scritta da sola: noi siamo stati un po’ spettatori di noi stessi, in questi anni. Risponde a tante domande che sono di una profondità incredibile. Il Signore, però, risponde sempre molto chiaramente: siamo noi che amiamo filosofeggiare sulla vita, su chi l’ha creata e quindi, alla fine, ci confondiamo da soli volendo diventare un po’ padroni della vita e cercando di sfuggire dalla Croce che il Signore ci dona. In realtà, questa Croce – se la vivi con Cristo – non è brutta come sembra. Se ti fidi di lui, scopri che in questo fuoco, in questa Croce non bruci e che nel dolore c’è la pace e nella morte c’è la gioia. Quando vedevo Chiara che stava per morire ero ovviamente molto scosso. Quindi, ho preso coraggio e poche ore prima – era verso le otto del mattino, Chiara è morta a mezzogiorno – gliel’ho chiesto. Le ho detto: “Chiara, amore mio, ma questa Croce è veramente dolce, come dice il Signore?”. Lei mi ha guardato, mi ha sorriso e con un filo di voce mi ha detto: “Sì, Enrico, è molto dolce”. Così, tutta la famiglia, noi non abbiamo visto morire Chiara serena: l’abbiamo vista morire felice, che è tutta un’altra cosa».


Ma cosa racconterà papa Enrico al figlio Francesco quando lui domanderà della mamma?  «Gli racconterò sicuramente – ha risposto ancora Enrico - di come è bello lasciarsi amare da Dio, perché se ti senti amato puoi fare tutto. Questa, secondo me, è l’essenza, la cosa più importante della vita: lasciarsi amare, per poi a nostra volta amare e morire felici. Questo è quello che gli racconterò. E gli racconterò che questo ha fatto mamma Chiara. Lei si è lasciata amare e, in un certo senso, mi sembra che stia amando un po’ tutto il mondo. La sento più viva oggi che prima. E poi, il fatto di averla vista morire felice per me è stata una sconfitta della morte. Oggi, so che c’è una cosa bellissima di là che ci aspetta».


Infastidito dal “profumo di santità” intorno a Chiara? «Sinceramente mi lascia abbastanza indifferente. Nel senso che Chiara e io avevamo fatto altre scelte, per la vita: avremmo desiderato tanto invecchiare insieme. Però, anche in questo momento della nostra storia vedo come Dio ogni giorno mi meravigli... Io sapevo che mia moglie era speciale: credo nella beatitudine, che una persona venga proclamata beata perché beato significa essere felici. Chiara e in parte anch'io abbiamo vissuto tutta questa storia con una grande gioia nel cuore, e questo mi faceva intuire delle cose grandi. Però, oggi sono meravigliato, perché mi sembrano molto più grandi di quello che io potessi pensare». Una meraviglia che fa il giro del mondo.

Il Big Bang domanda a gran voce una spiegazione divina


Il Big Bang domanda a gran voce una spiegazione divina
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«Per la tradizione di fede secondo cui Dio ha creato l'universo dal nulla, questo [il big bang] è un risultato elettrizzante. A un evento così sbalorditivo si addice la definizione di miracolo? La sensazione di meraviglia generata dal Big Bang ha indotto parecchi scienziati agnostici ad esprimersi in termini nettamente teologici. L'astrofisico Robert Jastrow, per esempio, conclude così il suo God and astronomy: "Sulla teologia, la teoria del Big Bang ha conseguenze profonde. Per lo scienziato che ha vissuto alla luce della fede nel potere della ragione, la storia finisce come un brutto sogno. Ha scalato le montagne dell'ignoranza; è sul punto di conquistare la vetta più alta ed ecco che, arrampicatosi sull'ultima roccia, viene accolto da un gruppo di teologi seduti lì da secoli.. ." Ora vediamo come l'evidenza astronomica conduce ad una visione biblica dell'origine del mondo. I dettagli differiscono, ma gli elementi essenziali sono gli stessi, e il resoconto astronomico e biblico della genesi sono identici; la catena di eventi che porta all'uomo, cominciò in modo brusco e repentino, con un lampo di luce ed energia, in un preciso momento del tempo»…… «Il Big Bang domanda a gran voce una spiegazione divina. ..non riesco a capire come la natura avrebbe potuto crearsi da sé. Solo una forza soprannaturale al di fuori del tempo e dello spazio avrebbe potuto fare una cosa simile»!!.
Francis Collins, direttore del Progetto Genoma umano Il linguaggio di Dio

martedì 26 giugno 2012

 L'universo è nato da
 "un'origine inafferrabile"
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<<Con il Big Bang abbiamo scoperto che il tempo, lo spazio e la materia ebbero origine in quell'istante, circa 15 miliardi di anni fa"non c'è un <> del Big Bang perché prima non esistevano tempo, spazio e materia". Dunque tutto è nato in un preciso istante, da una origine inafferrabile fuori dal tempo e dallo spazio,dalla materia e dalle leggi fisiche che regolano questo universo>>
 Arno Penzias, premio Nobel per la fisica per aver scoperto la radiazione cosmica di fondo, (cioè l'eco del Big Bang)
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 Fu infatti Dio che creò i tempi
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 Ma anche se credessimo che Dio creò il cielo e la terra all'inizio del tempo, dobbiamo in ogni modo capire che prima dell'inizio del tempo il tempo non esisteva. Fu infatti Dio che creò i tempi e perciò, prima che creasse i tempi, i tempi non esistevano. Non possiamo dunque affermare che esistesse alcun tempo quando Dio non aveva creato ancor nulla. In qual modo infatti poteva esserci un tempo che Dio non aveva creato, dal momento che è lui l'artefice di tutti i tempi? Se inoltre il tempo cominciò ad esistere insieme col cielo e con la terra, non si può trovare un tempo in cui Dio non aveva ancora creato il cielo e la terra.
S. Agostino

Blogger atea si converte:

Blogger atea si converte: 

«Il cattolicesimo è più razionale di ogni filosofia»

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giugno 25, 2012 Benedetta Frigerio
L’intellettuale di Yale, Leah Libresco, blogger dell’Huffington post, spiega ai lettori: «Il periodo migliore in cui vivere è quando ti accorgi che quasi tutto ciò che pensavi vero, in realtà è falso».
«Non potevo più nascondere che il cristianesimo dimostrasse meglio di ogni altra filosofia quello che riconoscevo già come vero: una morale dentro di me che però il mio ateismo non riusciva a spiegare»: sono le parole che hanno scioccato milioni di atei. Scritte il 18 giugno scorso sul portale Patheos Atheist da Leah Libresco, filosofa laureata a Yale e collaboratrice dell’Huffington Post, e postate su Facebook 18 mila volte, hanno portato alla sua pagina web ben 150 mila contatti. Secondo il direttore del portale, Dan Welch, i contatti sulla pagina della donna sono aumentati di 20-30 volte.
Il post in cui annuncia la conversione al cattolicesimo ha ricevuto migliaia di commenti. Molti di questi sono carichi di sgomento, altri riportano le congratulazioni di credenti che, al pari di tanti atei, seguivano il blog. Alcuni hanno persino pregato per lei: «Sono così felice per te Leah! Ho pregato per te e ora lo farò ancora di più. L’avventura è appena cominciata». La blogger ha confessato di aver ancora molto da capire e studiare di quello che sostiene la Chiesa sulla morale. «Ad esempio – ha detto – sono ancora confusa sull’omosessualità, ma non è un problema». Libresco non ha paura perché tutto ciò di cui si è convinta «è ragionevole», ha scritto sul suo blog.
La donna ha spiegato così la sua conversione: «Per anni ho tentato di argomentare da dove derivasse la legge morale universale che riconoscevo presente in me, oggettiva come lo è la matematica e le leggi fisiche. Cercavo risposte, ad esempio nella psicologia evolutiva che parla delle disposizioni morali dentro di noi che avrebbero vinto sull’egoismo». Ma tutto ciò non è sufficiente a rendere ragione della sua posizione. Finché la blogger non partecipa a un dibattito con gli alunni di Yale «proprio il giorno della domenica delle Palme», sottolinea scherzando sulla sua «sintonia con la liturgia». Mentre cerca di spiegare da dove derivi la legge morale, viene interpellata da un ragazzo: «Cercava di farmi ragionare – ricorda la donna – chiedendomi non di portare le spiegazioni di altri, ma di dire cosa ne pensassi io. “Non lo so”, rispondevo, “non ho un’idea certa”. “La tua migliore ipotesi?”, continuava lui. “Non ne ho una” risposi. “Avrai pur qualche idea” disse. “Non lo so… non ho idea… insomma penso che la morale sia innamorata di me o qualcosa del genere”. Lui mi disse cosa pensava. “Ok, ok – risposi – ho sentito quello che hai detto. Dammi un secondo e fammi pensare se è così anche per me”. Mi accorsi che, come lui, credevo che la morale fosse oggettiva, un dato indipendente dalla volontà umana». La blogger si rese così conto che credeva in un ordine, che implica qualcuno che lo abbia pensato: «Intuivo – spiega ancora – che la legge morale come la verità potesse essere una persona. E la religione cattolica mi offriva la strada più ragionevole e semplice per vedere se la mia intuizione fosse vera. Perché dice che la Verità è vivente, che si è fatta uomo. Ho chiesto a quel ragazzo che cosa mi suggeriva di fare. Ho iniziato a pregare con lui la compieta nel Libro dei salmi e ho continuato a farlo sempre, anche da sola». Intervistata dalla Cnn, Libresco ha poi spiegato che «la morale non è una cosa che costruiamo noi al pari dell’architettura. È una cosa che scopriamo come l’archeologia», solo che da atea non riusciva a dimostrarlo.
Dopo la conversione la ragazza ha cercato anche una comunità di cattolici, scandalizzando «i miei amici. Ma se mi chiedono come sto oggi rispondo che sono felice, (…) questa porta si era aperta cinque o sei volte. Il periodo migliore in cui vivere è quando ti accorgi che quasi tutto ciò che pensavi vero, in realtà è falso», spiega ancora la blogger sul suo ultimo post da atea. Ora che ha preso sul serio l’ipotesi cristiana la donna sta riscoprendo molte cose, come se fosse nata una seconda volta. Ha raccontato sempre alla Cnn: «È bellissimo partecipare alla Messa e sapere che lì c’è Dio fatto carne». Un fatto che, continua, spiega tante cose altrimenti inspiegabili.
Libresco ha poi raccontato sul suo blog di voler discutere con gli atei convinti, come faceva prima con i cattolici. Perché «se uno è leale, non ha paura di mettersi in discussione. Io ho ricevuto una risposta a quello che cercavo perché ho accettato di mettermi in discussione davvero. La cosa interessante di molti atei è che fanno critiche e chiedono le prove. Una cosa utilissima alla Chiesa, di cui non deve aver paura perché sta dalla parte dei fatti e della ragione». Infine, scrive la donna salutando i suoi lettori atei e annunciando di cambiare titolo al suo blog: «Qualunque sia il tuo credo religioso (…) fermarsi e pensare a quello in cui si crede è una buona idea (…) e se così capisci che c’è qualcosa che ti costringe a cambiare idea, non spaventarti e ricordati che la tua decisione può solo migliorare la tua visione delle cose».

Il positivismo

 Il positivismo non pecca solo nel metodo…
esso non tiene conto della più importante delle nozioni positive, quella dell'infinito
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 "Il positivismo, non offrendomi nessuna idea nuova, mi lascia diffidente e riservato. La fede di Littrè nel positivismo gli venne dall'appagamento che vi trovava per quanto riguarda le grandi questioni metafisiche. La negazione e il dubbio lo ossessionavano. Comte lo ha tirato fuori dall'una e dall'altro con un dogmatismo che sopprimeva ogni metafisica. Di fronte a questa dottrina Littrè diceva: non ti devi preoccupare né dell'origine né della fine delle cose, né di Dio né dell'anima, né di teologia, né di metafisica…fuggi l'assolto, non amare che il relativo….Quanto a me, ritenendo sinonimi le parole progresso ed invenzione, mi chiedo in nome di quale nuova scoperta, filosofica o scientifica, si possano estirpare dall'animo umano queste grandi preoccupazioni. Mi sembrano di essenza eterna, perché il mistero che avvolge l'Universo e di cui esse sono emanazione è esso stesso eterno per natura. Si narra che l'illustre fisico inglese Farday, nelle lezioni che faceva all'Istituzione reale di Londra, non pronunciasse mai il nome di Dio, sebbene fosse profondamente religioso. Un giorno, eccezionalmente, questo nome gli sfuggì e improvvisamente si manifestò un movimento di simpatica approvazione. Accorgendosene Farady interruppe la lezione con queste parole: 'Vi ho sorpreso pronunciando il nome di Dio. Se ciò non mi è ancora accaduto dipende dal fatto che io sono, mentre tengo queste lezioni, un rappresentante della scienza sperimentale. Ma la nozione e il rispetto di Dio arrivano al mio spirito attraverso vie tanto sicure quanto quelle che conducono alla verità dell'ordine fisico'".
"Littrè e August Comte, prosegue Pasteur, credevano e fecero credere agli spiriti superficiali che il loro sistema si basava sugli stessi principi del metodo scientifico di cui Archimede, Galileo, Pascal, Newton, Lavoisier (nessuno dei quali ateo, ndr), sono i veri fondatori. Da ciò è nata l'illusione degli spiriti, favorita anche da tutto ciò che la scienza e la buona fede di Littrè garantivano".
E ancora: "Il positivismo non pecca solo nel metodo….esso non tiene conto della più importante delle nozioni positive, quella dell'infinito. Al di là di questa volta stellata che cosa c'è? Nuovi cieli stellati. Sia pure! E al di là ancora? Lo spirito umano, spinto da una forza irresistibile, non smetterà mai di chiedersi: che cosa c'è al di là? Vuole esso fermarsi, sia nel tempo, sia nello spazio? Poiché il punto dove esso si ferma è solo una grandezza finita, soltanto più grande di tutte quelle che l'hanno preceduta, non appena egli comincia ad esaminarlo ritorna la domanda implacabile senza che egli possa far tacere il grido della sua curiosità. Non serve nulla rispondere: al di là ci sono degli spazi, dei tempi o delle grandezze senza limiti. Nessuno comprende queste parole. Colui che proclama l'esistenza dell'infinito, e nessuno può sfuggirvi, accumula in questa affermazione più sovrannaturale di quanto non ce ne sia in tutti i miracoli di tutte le religioni…Io vedo ovunque l'inevitabile espressione della nozione dell'infinito nel mondo. Attraverso essa, il soprannaturale è in fondo a tutti i cuori. L'idea di Dio è una forma dell'idea di infinito… La metafisica non fa che tradurre dentro di noi la nozione dominatrice dell'infinito…Dove sono le fonti genuine della dignità umana, della libertà e della democrazia, se non nella nozione di infinito di fronte alla quale gli uomini sono tutti uguali?". Pasteur, che aveva negato con i suoi esperimenti la generazione spontanea, principio fondante di ogni panteismo e ateismo, dichiara senza ambagi: "ancora più incompatibile con la ragione umana è il credere alla potenza della ragione sui problemi dell'origine e della fine delle cose…"; gli "insegnamenti della sua fede, aggiunge parlando del credente, sono in armonia con gli slanci del cuore, mentre la credenza del materialista impone alla natura umana ripugnanze invincibili. Che forse il buon senso, il senso intimo di ciascuno non reclama la responsabilità individuale? Al capezzale dell'essere amato colpito dalla morte non sentite in voi qualche cosa che vi grida che l'anima è immortale? E' un insultare il cuore dell'uomo dire con il materialismo: la morte è il nulla!" (quest'ultima parte del discorso viene ripetuta quasi uguale da Pasteur in varie occasioni).
 Infine, parlando l'8 agosto 1874 in occasione della distribuzione dei premi del collegio di Arbois, Pasteur afferma: "L'educazione liberale che avete ricevuto senza trarne alcun merito non avrebbe altro risultato che abbandonarvi ad un folle orgoglio e al capriccio di questi spiriti frondisti che su tutti gli argomenti hanno affermazioni superficiali….Si dice che nella nostra città sono esistiti dei geni incompresi e io so che il moto di 'libero pensatore' è scritto da qualche parte nella cinta delle nostre mura come una sfida e un oltraggio. Sapete voi ciò che reclama la maggior parte dei liberi pensatori? Alcuni reclamano la libertà di non pensare affatto e di essere asserviti all'ignoranza; altri, la libertà di pensare male; altri ancora, la libertà di essere dominati dalle suggestioni dell'istinto e di disprezzare ogni autorità e ogni tradizione. Il libero pensiero nel senso cartesiano, la libertà nello sforzo, la libertà nella ricerca, il diritto di concludere sul vero accessibile all'evidenza e conformarvi la propria condotta, oh! di questa libertà bisogna avere un culto…ma il libero pensiero che reclama di concludere su ciò che sfugge ad una conoscenza precisa, la libertà che significa materialismo o ateismo, questa ripudiamola con energia".
Pasteur concludeva il suo discorso sottolineando l'impossibilità per l'uomo di afferrare il "principio e la fine di tutte le cose": "Credetemi, di fronte a questi grandi problemi, eterni soggetti di meditazioni solitarie degli uomini, non vi sono che due stati dello spirito: quello fornito dalla fede, la credenza a una soluzione data da una rivelazione divina, e quello del tormento dell'anima tesa alla ricerca di soluzioni impossibili e che questo tormento esprime con un silenzio assoluto (non con le false certezze dei "sistemi nichilisti" del positivismo, ndr) o, ciò che è lo stesso, con la confessione dell'impotenza di nulla comprendere e di nulla conoscere di questi misteri". (L. Pasteur, "Opere", Utet).

giovedì 21 giugno 2012

La via alla conoscenza
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"Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti... Ma che amo, quando amo te? Non una bellezza corporea, né una grazia temporale, non lo splendore della luce, così caro a questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene di ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo, quando amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, ove splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov’è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla sazietà. Ciò amo, quando amo il mio Dio.
Che è ciò? Interrogai la terra e mi rispose: «Non sono io»; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovavano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive, e mi risposero: «Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi». Interrogai i soffi dell’aria e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: «Erra Anassimene [filosofo di Mileto, vissuto nel VI secolo a.C., che indicò nell’aria il principio di tutte le cose], io non sono Dio». Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: «Neppure noi siamo il Dio che cerchi», rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: «Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui»; ed essi esclamarono a gran voce: «È lui che ci fece». Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza. Allora mi rivolsi a me stesso e mi chiesi: «Tu, chi sei?»; e risposi: «Un uomo». Dunque, eccomi fornito di un corpo e di un’anima, l’uno esteriore, l’altra interiore. A quali dei due chiedere del mio Dio, già cercato col corpo dalla terra fino al cielo, fino a dove potei inviare messaggeri, i raggi dei miei occhi? Più prezioso è l’elemento interiore. A lui tutti i messaggeri riferivano, come a chi governi e giudichi, le risposte del cielo e della terra e di tutte le cose là esistenti, concordi nel dire: «Non siamo noi Dio», e: «È lui che ci fece». L’uomo interiore apprese queste cose con l’ausilio dell’esteriore, io, l’interiore, le ho apprese, io, io, lo spirito per mezzo dei sensi del mio corpo. Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: «Non sono io, ma è lui che mi fece».
S.AGOSTINO :Le Confessioni

Francesco Lana de Terzi

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(Reindirizzamento da Francesco Lana)
Francesco Lana de Terzi
Francesco Lana de Terzi (Brescia, 13 dicembre 1631Brescia, 22 febbraio 1687) è stato un gesuita, matematico e naturalista italiano, considerato il fondatore della scienza aeronautica.

Indice

Biografia

Nato dalla nobile famiglia Terzi, originaria della vicina Franciacorta, dopo aver frequentato il Collegio dei Nobili di Sant'Antonio, l'11 novembre 1647 entra nella Compagnia di Gesù.
Benché sordomuto e afflitto da varie malattie[1] dimostra di avere grande ingegno, unendo lo studio e la ricerca in svariati campi dello scibile umano a viaggi, che lo portano a visitare molte città d'Italia. A Terni insegna grammatica e retorica, scrivendo nel frattempo una piccola opera dedicata al protettore della città. Insegna poi matematica e fisica a Ferrara, finché la sua salute cagionevole lo costringe a ritornare a Brescia, dove diviene insegnante di filosofia nel convento di Santa Maria delle Grazie. Intraprende lunghi viaggi verso i territori vicini, i laghi di Garda, Iseo e Idro, e le valli, Camonica, Sabbia e Trompia, traendo dalle sue esplorazioni il trattato Storia naturale Bresciana, che rimarrà in forma di manoscritto.

L'aeronave

Francesco Lana de Terzi propone il primo serio tentativo di realizzare un velivolo volante più leggero dell'aria. Nel 1670 pubblica infatti il libro Prodromo, che contiene un capitolo intitolato Saggio di alcune invenzioni nuove premesso all'arte maestra nel quale è riportata la descrizione di una nave volante, un vascello più leggero dell'aria da lui immaginato nel 1663 sviluppando un'idea suggerita dagli esperimenti di Otto von Guericke con gli emisferi di Magdeburgo.
Secondo il progetto, che intendeva "fabricare una nave, che camini sostenata sopra l'aria a remi, & a veli", il velivolo doveva essere sollevato per mezzo di quattro sfere di rame, dalle quali doveva essere estratta tutta l'aria. La chiglia sarebbe stata appesa alle sfere di rame (di circa 7,5 metri di diametro), con un albero a cui era attaccata una vela; secondo i suoi calcoli, quando nelle sfere veniva fatto il vuoto, esse divenivano più leggere dell'aria e offrivano una spinta ascensionale sufficiente a sollevare la barca e sei passeggeri.
Oggi sappiamo che la realizzazione del progetto non è fisicamente possibile, perché la pressione dell'aria farebbe implodere le sfere e perché sfere sufficientemente resistenti avrebbero un peso superiore alla spinta fornita. Ma il grande merito dello scienziato è di aver per primo applicato alla navigazione aerea il principio di Archimede, lo stesso che consente alle navi di galleggiare sull'acqua e che nel 1783 porterà all'aerostato dei fratelli Montgolfier.
Lana non giunse infine a realizzare la sua "nave volante", non per i problemi che il progetto presentava (di cui comunque era ignaro), ma per il timore che la sua invenzione potesse essere usata per scopi militari, come egli stesso ebbe a scrivere nel Prodromo.[2]
Notevole anche il progetto del Magisterium naturæ et artis, opera enciclopedica in nove volumi, di cui però solo i primi due furono completati.

L'alfabeto per ciechi

Sempre nel Prodromo viene presentato un alfabeto per non vedenti di concezione interamente nuova. A differenza dei metodi di lettura e scrittura per ciechi inventati in precedenza, l'alfabeto creato da Lana si basava sull'intuizione fondamentale che esso non dovesse imitare i caratteri "classici" (come avevano proposto ad esempio Girolamo Cardano ed Erasmo da Rotterdam), ma dovesse utilizzare un sistema di segni fatto da una serie di linee percepibili al tatto. Vi fu un solo dettaglio che impedì all'invenzione di Lana di avere successo: il gesuita non comprese che i punti, invece delle linee, sarebbero stati più facilmente riconoscibili con la sensibilità delle dita. Ciò fu invece compreso da Louis Braille, il quale apportò la miglioria definitiva all'alfabeto per ciechi che da lui ha preso il nome. [1]

Bibliografia

Note

  1. ^ a b Francesco Lana, visionario tra velivoli e l'alfabeto dei ciechi, di E. Raggi, Giornale di Brescia, 30 dicembre 2011.
  2. ^ Francesco Lana - Gesuiti.it

    Francesco Lana (1631 - 1687)

    Motivo: Precursore della navigazione aerea

    Francesco Lana nasce a Brescia il 13 Dicembre 1631, da una nobile e conosciuta famiglia, proveniente dalla vicina Franciacorta, zona collinare assai bella e famosa per i suoi pregiati vini rossi. Ancora giovanissimo, Francesco, dopo aver frequentato con grande passione il Collegio dei Nobili di Sant'Antonio, aperto a Brescia dai Gesuiti, decide a 16 anni di entrare nella Compagnia di Gesù. Da questo momento in poi, Francesco Lana, inizia un'intensa attività di studi e di ricerca in molteplici rami dello scibile umano, visitando e soggiornando in tante città italiane.

    Lo ricordiamo come insegnante di grammatica e retorica a Terni, dove scrive una piccola opera in onore del protettore della città, e quindi docente di filosofia nel convento di S. Maria delle Grazie a Brescia. Nel contempo la sua attività non si limita al campo letterario, anzi, come meglio si addiceva alle sue attitudini e inclinazioni, si dedica intensamente all'osservazione e approfondimento delle scienze e della matematica.

    Decide di intraprendere, dimostrando in tal modo un grande attaccamento alla terra dove è nato, una serie di lunghi viaggi che lo portano a conoscere e studiare le diverse realtà naturalistiche della sua provincia. In particolare, visita i laghi di Garda, Iseo e Idro, e le tre valli, Camonica, Sabbia e Trompia. Da queste esplorazioni nascerà, nel 1685, la "Storia naturale Bresciana", un grande trattato - che purtroppo è rimasto in forma di manoscritto - dove in una successione ordinata analizza e considera vari argomenti di carattere scientifico. Il lavoro di catalogazione, lo compie meditando attentamente sull'origine ultima delle cose che osserva, non nascondendo ai lettori, in questo senso, la sua grande fede e soprattutto il suo intimo desiderio di scorgere nel creato intero il disegno provvidenziale di Dio.

    È tuttavia con "Prodromo", un saggio di alcune invenzioni nuove, pubblicato a Brescia nel 1670, che il gesuita bresciano affronta lo studio delle scienze nella loro complessità, soffermandosi alla fine su un'intuizione geniale: Lana afferma, con grande sicurezza, che sarebbe possibile sollevarsi staticamente nell'atmosfera mediante grandi sfere di rame, dalle quali si fosse, con una pompa, estratta l'aria. L'idea così come scaturita dalla mente di Francesco Lana, in effetti, non è realizzabile perché quelle sfere hanno un peso superiore alla spinta da loro fornite. Tuttavia, e qui sta il grande merito dello scienziato gesuita bresciano, ha correttamente applicato alla navigazione aerea il "principio di Archimede", grazie al quale i nuotatori, come le navi, galleggiano nell'acqua. La chiama "nave volante", questa sua invenzione, dando così per primo l'idea del sollevarsi nell'aria per la differenza di peso specifico. Infatti, Francesco Lana capisce che un corpo si solleverebbe in volo, qualora fosse più leggero del volume d'aria che sposta.

    Questo stesso principio fu, molti anni più tardi, felicemente applicato all'aerostato. Esattamente il 5 Giugno 1783 con i fratelli Montgolfier l'uomo riesce per la prima volta a levarsi in volo, dopo numerosi tentativi falliti nel corso dei secoli, a partire dalle "macchine volanti" del grande italiano Leonardo da Vinci. Siamo di fronte ad un avvenimento di eccezionale importanza: il primo volo umano e questo grazie anche all'intuizione geniale del nostro padre Francesco Lana.

    La mongolfiera, o meglio l'aerostato, è perfezionato dai fratelli Montgolfier nel 1783, rese possibile al pallone di sollevarsi perché fu utilizzato uni un involucro più leggero e resistente.

    C'è chi sostiene, per esempio lo storico Giacinto Amati, che il bresciano non costruì in grande la sua "nave volante" per il pericolo insito in un'eventuale ascensione, mentre è certo che abbia materialmente realizzato una prima esperienza aerostatica con un piccolo modellino nel cortile dei Gesuiti a Firenze. Altrettanto degno di nota è il fatto che Francesco Lana probabilmente era poco propenso a costruire realmente questo veicolo, poiché temeva fortemente, come del resto afferma lui stesso in un capitolo del Prodromo, di vedere utilizzata la sua invenzione per scopi militari.

    Da subito nel mondo scientifico si diffonde la notizia di questa macchina, ne dà testimonianza, fin dal 1785, un'altro scienziato italiano, il napoletano Tiberio Cavallo, che in una lettera rende merito al Lana di essere l'unico scienziato nel mondo ad aver gettato, con la sua invenzione, solide basi sul volo umano. Fra gli stranieri invece il fisico inglese Cumberland, lo ritiene il padre indiscusso dell'aeronautica e l'inventore dei palloni aerostatici. Altrettanto chiaro è il parere del grande storico francese Lecornu, che nella sua magnifica opera "La Navigation Aerienne" scrive, tra le altre cose e con grande lealtà, che il matematico e gesuita italiano Francesco Lana: "[...] ha posto innegabilmente le basi della aeronautica...".

    Infine, gli anni della maturità ispirano a Francesco Lana un'altra opera letteraria "la Beltà Svelata", capolavoro di ascesi spirituale della letteratura secentesca, dove l'autore unisce la sua sincera ammirazione per il cosmo, con la sua profonda fede in Dio creatore.

    Il nostro padre Gesuita, forse per l'eccessiva mole di lavoro, alla quale si sottoponeva quotidianamente, muore a Brescia, a soli 56 anni nel 1687.

    Di lui, in occasione del terzo centenario dalla sua nascita scrivevano: "[...] Furon solo 56 anni di una nobile esistenza, non turbata da gravi avvenimenti, allietata e oppressa a un tempo dalle gioie e fatiche dell'indagine scientifica e della sua divulgazione...".

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