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venerdì 28 novembre 2014

Ecco cosa ricorda quella Croce che viene nello spazio

Ecco cosa ricorda quella Croce che viene nello spazio  

di Luigi Santambrogio27-11-2014


La navicella spaziale russa
In attesa che l’Europa, come auspica Papa Francesco, ritrovi le sue radici cristiane (e dovrebbe averle già ripescate se dobbiamo credere alla stand ovation che il l’europarlamento ha riservato a Bergoglio) e l’Italia non perde le sue ultime foglie di cattolicesimo, godiamoci la bella immagine che ci viene dallo spazio. Quella che mostra i tre astronauti della Stazione spaziale internazionale volteggiare sorridenti in assenza di gravità, mentre sullo sfondo, con eccezionale nitidezza, appaiono alcune icone russe e un grande Crocefisso.
Una foto che vale più di tante discussioni sull’impossibile matrimonio tra scienza e fede, oppure sulla veronesiana dimostrazione dell’inesistenza di Dio o se convenga, o meno, ostentare i simboli della religione nei luoghi pubblici. Tre domande che trovano la loro risposta plastica e in tecnocolor in quella immagine che ritrae Samantha Cristoforetti, la prima astronauta donna italiana e i suoi compagni di volo, il comandante russo Anton Shkaplerov e lo statunitense Terry Virtis. E poi il grande crocefisso dorato e le cinque icone, tra queste la Madonna con il Bambino e il Cristo Pantocratore. 
Sulla navicella, la cosa più grande che l’umanità abbia mai costruito nell’orbita terrestre, tanto da essere visibile a occhio nudo dalla Terra, gli astronauti dovranno realizzare numerosi esperimenti per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana e di quella europea. Gran parte di queste verifiche riguarda malattie neurodegenerative, dell’invecchiamento e dell’immobilità. Alla Cristoforetti sono stati affidati gli studi sulla fisiologia umana, ma testerà anche il funzionamento di una stampante 3d per la produzione di prodotti in plastica nello spazio, una maglietta sensorizzata e una macchina a capsule per il caffè. Tutti gli astronauti dovranno infine lavorare alla manutenzione della Stazione, ormai quasi del tutto completata dopo circa 16 anni di cantiere in orbita a 400 chilometri dalla Terra. Gran lavoro, dunque, affidati a uomini e donne sui quali gli enti spaziali hanno investito la bella cifra di 100 miliardi di euro. Persone che quel posto in orbita se lo sono conquistato a prezzi di sacrifici, che sanno di ingegneria, fisica e medicina e che rappresentano il meglio dell’intelligenza tecnologica e scientifica delle nazioni coinvolte nel progetto dell’Iss. 
Gli astronauti nella navicella con il Crocifisso e le icone sacre
A guardare bene l’immagine, si vede che il Crocefisso e le icone russe sono piazzate in una nicchia di un non precisato marchingegno scientifico. E questo gli regala un surplus di valore. Nell’insolita location cosmica, non sono soltanto segni di una tradizione, ma rappresentano, in qualche modo, il senso e lo scopo ultimo della missione nello spazio. In quella navicella che fila nella spazio a 29 mila chilometri all’ora ricordano chi siamo e che il nostro destino rimanda  proprio alle stelle e al Cielo. Non solo reliquie di culto e devozione, ma presenza reale di un Altro che anche la scienza e la tecnologia riconoscono come il vero centro dell’universo e della storia umana. Perché da quella Croce sono scaturite anche tutte le meraviglie della civiltà europea e occidentale. 
Coincidenza, ma forse no: le sacre raffigurazioni sono in mostra nella sezione russa della stazione quasi a risarcimento di quel celebre episodio, entrato nella storia delle missioni spaziali, che nel 1961 ha come protagonista il cosmonauta sovietico Jurij Alekseevic Gagarin, il primo uomo sparato nello spazio. Nel suo collegamento con la base di Bajkonur, Gagarin esprime meraviglia e stupore davanti allo spettacolo dello spazio, e poi annuncia: «Non vedo nessun Dio quassù». Esultano nella base i generali del Cremlino, ma la cosa si rivelerà dopo alcuni decenni un gigantesco falso storico, una bugia politica architettata dai gerarchi comunisti. Queste parole non sono mai state pronunciate dal cosmonauta, non ve n’è traccia nelle registrazioni delle comunicazioni con la Soyuz. La bugia viene confermata anche da Valentin Vasil'evich Petrov, docente presso l'Accademia aeronautica militare, in un’intervista a Interfax-Religion nel 2006. Dice il professore: «Non è stato certamente Gagarin a dire questo, ma Krushchev! Questo è stato collegato con una sessione plenaria del Comitato Centrale che affrontava la questione della propaganda anti-religiosa. Krushchev in quel momento aveva impostato l'attività per tutte le organizzazioni del partito e del Komsomol (Gioventù Comunista) per accrescere tale propaganda. Ha detto: "Perché state aggrappati a Dio? Gagarin ha volato nello spazio e non ha visto Dio” Ma Gagarin non l’ha mai detto». 
Svelata la balla spaziale comunista e caduto l’impero sovietico, i simboli della fede religiosa tornano in orbita con Maksim Viktorovich Suraev, astronauta di 42 anni, colonnello delle Forze Armate ed eroe della Federazione Russa. Durante l'Expedition 19 del 2009, Suravev apre un blog sul sito dell'agenzia spaziale russa, dove, tra l’altro, scrive:??«Abbiamo quattro icone sacre nel segmento russo della stazione. Abbiamo anche i vangeli e una grande croce. Io ho un reliquiario della croce nella mia cabina. Me l'ha data un sacerdote di Bajkonur prima del lancio, raccontandomi quel che contiene è proprio un pezzo della croce originale su cui Gesù è stato crocifisso».
É il 1969 quando Buzz Aldrin consuma il pane e il vino della comunione sulla Luna, ma non riesce a trasmettere la solenne cerimonia a quanti attendevano a Cape Canaveral. Qualche minuto dopo la discesa di Neil Armstrong sulla superficie lunare, Buzz chiede a tutti un momento di silenzio.?Dopo qualche secondo, da Houston giunge la risposta lievemente preoccupata: «Buzz, entriamo in silenzio radio». Durante quei minuti di blac?kout il vicecomandante dell’Apollo 12 estrae da una speciale sporta un calice d’argento alto pochi centimetri, una microporzione di vino contenuta in una busta sotto vuoto e un’ostia, il kit che si era portato per una comunione da campo.?Come Gagarin, anche Buzz è vittima della politica. Il silenzio radio imposto dai controllori di Houston era motivato dal fatto che le esternazioni religiose degli astronauti del centro spaziale avevano già provocato grane non indifferenti all’amministrazione e al governo federale. 
Nel 1966, dopo che l’equipaggio dell’Apollo 8 aveva trasmesso alcuni passaggi della Genesi per santificare la loro orbita terrestre, Madalyn Murray O’Hair, presidente della Lega atea d’America, aveva querelato la Nasa affinché impedisse «atti religiosi nello spazio».?Ma quegli “atti religiosi”, a dispetto di atei e miscredenti, continuano, seppur senza un patrocinio ufficiale, per iniziativa di diversi astronauti seguaci di un pastore presbiteriano, il reverendo John Stout, impiegato al centro spaziale di Houston. Infine, tutti ricordano, nel maggio del 2011, il collegamento dalla Biblioteca vaticana di Papa Benedetto con la Stazione Spaziale Internazionale che ospitava anche gli italiani Paolo Nespoli e Roberto Vittori. Ratzinger dialoga con loro sulle corti del pianeta e il futuro dell’umanità per quasi venti minuti, interrogandoli e rispondendo alle loro domande. 
Non è la prima volta, dunque, che la Croce e il Vangelo accompagnano le passeggiate dell’uomo nel cosmo. Ma le nuovi immagini che oggi arrivano dall’Iss valgono, se possibile, di più. Senza parole ma con una forza straordinaria, attaccano il pensiero unico di questi tempi dove la laicità dello Stato è scambiata con un’etica atea e antipopolare. Ideologia totalitaria e intollerante che vorrebbe eliminare anche fisicamente la presenza del Crocefisso nelle scuole e nei luoghi pubblici, in  nome dei diritti umani, ma che affossa l’esperienza e la storia che li ha generati. Prima i Crocefissi da schiodare, poi toccherà ai campanili, alle cattedrali, ai monasteri, alle cappelle votive, da far sparire e abbattere. Già accade nei territori dove i cristiani sono perseguitati e messi a morte dai tagliagole islamici. E allora, quel Crocefisso e quelle icone che dallo spazio lievitano sopra la testa del mondo (anche di quella dei feroci killer del Califfato) sono la migliore assicurazione che il male non vincerà.

mercoledì 26 novembre 2014

Cosa serve per educare un figlio? Di certo non le prediche. I consigli di sant’Ambrogio e sant’Ignazio di Antiochia

Cosa serve per educare un figlio? Di certo non le prediche. I consigli di sant’Ambrogio e sant’Ignazio di Antiochia 

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novembre 14, 2014 Giovanni Fighera
sant-ambrogioDevo ringraziare una mia studentessa che nel diario, poco tempo fa, ha trascritto il consiglio che il grande sant’Ambrogio, vescovo di Milano, offre a tutti i papà e le mamme. Sono rimasto impressionato dalla bellezza e dall’essenzialità del suo pensiero tanto che l’ho fatto conoscere a tanti che hanno condiviso le mie impressioni. È davvero liberante, perché permette di sbarazzarsi del troppo e del vano, per usare un’espressione dantesca. Consente di andare al cuore della questione e di affidarsi. Qui sta la vera possibilità di libertà e di letizia anche di fronte alla preoccupazione per l’educazione dei figli.
Sentiamo allora sant’Ambrogio:
«L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.
Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro; siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.
Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare. Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna, e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è insopportabile una vita vissuta per niente.
Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere. E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato: e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene».
(Sette dialoghi con Ambrogio)
Aggiungiamo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia: «Si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è». Non sono le prediche a muovere gli altri. Può bastare un discorso per convincere un uomo, per sfrondare tutte le paure, per suscitare un impavido desiderio di giungere quanto prima alla meta? Forse, tutti noi capiamo che le parole sono insufficienti, di fronte alle difficoltà della vita, ma, poi, spesso ci accontentiamo di fare prediche, di tenere discorsi e ci stupiamo se l’interlocutore non apprende subito la lezione e non si muove.
Nei primi tre canti dell’Inferno Dante presenta la sua geniale pedagogia. Alla fine del canto II, dopo che Virgilio lo rassicura con il racconto delle tre donne benedette che nel Cielo si sono mosse per la sua salvezza, il viaggio non è ancora iniziato, ma Dante sembra essere convinto di intraprenderlo. Ma le sorprese non sono finite. Infatti, dinanzi all’epigrafe posta sulla porta dell’Inferno (incipit del canto III) ritornano le antiche paure. Le parole incise sono cupe, orride: «Per me si va ne la città dolente,/ per me si va ne l’etterno dolore,/ per me si va tra la perduta gente./ Giustizia mosse il mio alto fattore;/ fecemi la divina podestate,/ la somma sapïenza e ‘l primo amore./ Dinanzi a me non fuor cose create/ se non etterne, e io etterno duro./Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».
Di fronte alla paura di Dante, Virgilio lo prende per mano con lieto volto e lo introduce dentro «a le secrete cose». Un discorso non può avvincere e convincere, non è sufficiente neanche conoscere le ragioni e le motivazioni. Dante non avrebbe intrapreso il viaggio senza la compagnia e la guida lieta e rassicurante di Virgilio.
Il ragazzo e l’adulto hanno bisogno nel viaggio della vita di una compagnia e di una speranza (il lieto volto, che rappresenta la certezza che vale la pena intraprendere il viaggio, cha c’è una meta bella, che il destino è buono e positivo). Si cammina nel viaggio con una compagnia, con un maestro, un testimone della bellezza e della verità incontrate.

lunedì 24 novembre 2014

La donna più bella del mondo

La donna più bella del mondo

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Ania Goledzinowska

Maria è donna ed è anche madre che ci insegna a compiere i primi passi

di Ania Goledzinowska

Il mio passato è fatto di sesso e disordine, un passato vittima della mentalità contorta e del materialismo della società di oggi, un passato intriso delle sofferenze di una vita priva d’amore ma anche fatto di denaro sfruttamento e discriminazione. Ed è proprio da questo mio passato che intendo farvi riflettere sull’importante ruolo della donna di oggi. Io non ho avuto begli esempi, mio padre morto alcolizzato lascia una moglie e due figlie, mia madre cade in depressione e comincia a portare a casa diversi uomini che approfittano si di lei che di noi, me e mia sorella, che fino a quel momento eravamo totalmente ignare dei pericoli della vita.

Disperatamente, mia madre, cercava di colmare un vuoto credendo che il raggiungimento della sua felicità fosse anche quella degli altri, il suo era un amore egoista, una felicità finta e fine a se stessa che ben presto si rivelarono l’inganno di una falsa felicità e di un falso amore. Da lì cominciò a crescere dentro di me “Il male” un male che mentre crescevo pian piano divorava tutto ciò che il Signore mi aveva donato di bello, l’innocenza di una bambina, la speranza, la gioia, il mio diritto di figlia di avere un padre ed una madre e di essere custodita Per poter affrontare un giorno il futuro.

Odio e rancore riempivano il mio cuore di rabbia e mi facevano meditare vendetta e riscatto da questo mondo che mi ha fatto soffrire sin da piccola. Cominciai a disprezzare gli altri e ad usarli per avere ciò che mi era mancato: il danaro, la considerazione, il rispetto, un ruolo tra i grandi della società e l’amore. Il mio grido e la mia sfida al mondo di ieri lo leggo negli occhi e nei gesti di tantissime donne di oggi. Era il grido del pretendere senza dare. Ed ecco che quando sono riuscita ad ottenere con la mia mentalità contorta soldi, rispetto e considerazione il mio vuoto non era colmo, mi mancava una cosa, l’amore. Quello non si può comprare. L’agiatezza della mia vita invidiata da tanti era solo un palliativo, una conseguenza dei miei inganni e lasciava il medesimo vuoto come una fame che non si sazia. E volevo sempre di più, lo volevo disperatamente e volevo volare sempre più in alto con persone sempre più importanti. Giornalmente vendevo la mia anima al demonio pur di arrivare sempre più in cima circondata da fiumi di “amici” ma, in realtà, ero sempre più sola, sempre più disperata. E questa mia disperazione avrà squarciato il cielo fino a giungere a quel Paradiso che sapevo esistere ma che avevo cancellato dal mio cuore. 

Ed ecco che la Madonna mi ha chiamata attraverso Medjugorje e ad un’ingannatrice come me solo un inganno poteva portarla lì, un inganno sì ma d’amore. Maria è vergine è madre è donna, è il nostro esempio sin da piccole. Vergine, una parola che oggi fa quasi senso. Se sei vergine diventi come gli appestati, c’è qualcosa che non funziona nella tua psiche diventa quasi un disturbo comportamentale perché usarsi, pervertirsi è essere normali. I veri valori sono considerati un crimine quando non vengono oscurati da questo vivere di oggi dove all’educazione dei genitori si sostituisce quella dei film, dei mass media, delle pubblicità, delle riviste patinate. Veniamo educati da un mostro mediatico a comprare il detersivo per i piatti fatto con il limone vero mentre beviamo limonate che non hanno mai incontrato, manco per sbaglio, un limone. Così Il mostro ci presenta il sesso e c’e lo fa bere come amore. Il mostro esalta la donna ma poi la convince che è l’uomo che può fare da mamma, Il mostro le fa credere di lottare per i suoi diritti e poi la spoglia sui giornali vendendo il suo corpo insieme ad un oggetto. Il mostro la fa lottare per la vita e poi rende il grembo materno il posto più insicuro, oggi, per la vita stessa. Il mostro la invita ad esser madre e poi a dimenticarsi di esserlo presa dal lavoro e dalla carriera. La purezza di Maria nel fisico e nel cuore ha fatto di Lei la prescelta da Dio, era pura in tutti in sensi ed è proprio così che dovrebbe essere ogni ragazza di oggi, ogni ragazza che ha deciso di andare controcorrente come lo chiede Papa Francesco e come lo gridava San Giovanni Paolo II in quel suo “ non abbiate paura di aver coraggio”. Quel coraggio che ha avuto Maria nel fidarsi e nell’affidarsi con tutta se stessa a Dio. Maria sa ascoltare, sa accogliere, non si ferma alle apparenze va nel profondo. Nel profondo di un mistero che l’ha fatta portatrice di un grande miracolo per tutta l’umanità nessuno escluso anche me e te.

Dio ha un piano per tutti noi, un piano grande, ambizioso, vero se solo sappiamo coglierlo come ha fatto Maria. Vivere nella purezza ci rende speciali, preziose, ammirevoli, ricercate. Essere donne è una grande responsabilità oggi. La donna tiene unita la famiglia, si prende cura dei suoi cari e mette loro davanti a se stessa, una donna che ama la sua vita e il suo cuore mettendo a volte anche da parte la propria felicità. La donna genera la vita e nonostante tutti i tentativi di manipolazione nessuno può affermare il contrario, senza la donna non c’è vita, wow che miracolo. Maria era una donna bella, delicata, dedita al servizio e attenta ai bisogni degli altri. Il suo essere “serva” non è sottomissione ma umiltà nel rispetto degli altri che diventa il suo punto di forza. Nella sua umiltà diventa protagonista, è lei che comanda mettendo gli altri sul piedistallo attraverso la sua fedeltà, la sua capacità di amare di affidarsi e di mettersi all’ascolto della parola di Dio.

Maria è donna ed è anche madre ed è questo l’aspetto che mi ha sempre colpito di più quando sono arrivata in quella terra di grande preghiera. Io mi son subito sentita bambina tornata nell’abbraccio sicuro della mamma. Una Madre che ci insegna a compiere i primi passi che ci insegna ciò che è buono, giusto e bello e che ci mette in guardia davanti ai tanti pericoli che possiamo incontrare nella vita. Una Madre che ama e perdona, che non giudica, che è sempre pronta ad accogliere il proprio figlio smarrito che ritrovato viene amato come solo lei sa fare. Lei non impone mai ma invita “Cari figli, vi invito…” ci dice. Come ogni Madre ci ripete tante volte la stessa cosa come se fossimo dei bambini perché così si fa con i piccoli, senza tregua con amore e pazienza. Lei ripete “Ed ecco io sono qui con voi, Vi amo e vi voglio portare alla vera felicita, state costruendo un mondo senza Dio e per questo non siete felici”. Ha visto uccidere davanti ai suoi occhi il proprio figlio. Che dolore immenso e che grande dignità nell’affrontarlo e nel perdonare con la sua fede in Dio nella piena consapevolezza che non siamo esseri viventi vocati alla morte ma esseri mortali vocati alla vita eterna e nell'altrettanta piena consapevolezza che se Dio permette grandi sofferenze è solo per un bene più grande. Maria ha creduto in ciò che non vedeva per vedere in ciò in cui aveva creduto. Così, dopo anni, ho rivisto la mia mamma e quando ci siamo strette in un grande abbraccio è stato come se due cavi elettrici si fossero toccati per riaccendere la lampadina che era spenta. Una madre e una figlia diventavano nuovamente una cosa sola come lo è stato all'inizio. Io vi auguro di provare a vivere di nuovo questo grande mistero di amore, di perdono, di vita vera, di speranza, di verità, unità e resurrezione.




lunedì 17 novembre 2014

LA GOCCIA DI CHOPIN

LA GOCCIA DI CHOPIN
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“...Invece la vita è una cosa che sta al di là della musica di primo piano: è una nota sola dal principio alla fine, da quando si è fanciulli a quando si è vecchi.



Una nota sola.
Quando ci si accorge di questa nota non la si perde più, non si può più perderla, resta una fissazione. Ma è una fissazione che rende saggi, è la fissazione che fa il sapiente, è la fissazione che fa l’intelligente, è la fissazione che fa l’uomo: è il desiderio della felicità. Quella è la nota che dal principio alla fine domina e decide del significato di tutto il brano di Chopin; questa è la nota che decide dal principio alla fine cos’è la vita dell’uomo: è la sete di felicità.

Qualunque cosa ti piaccia, qualunque cosa ti attiri, qualunque cosa desideri, al momento ti fa lieto, ma dopo passa.
Ma c’è una nota che rimane intatta, pur con qualche leggera mutazione; dal principio alla fine rimane intatta nella sua profondità e nella sua semplicità assoluta, e – dicevo prima – nella sua univocità domina la vita: la sete di felicità.
Tutti gli artisti hanno, in qualche loro pezzo più bello degli altri, il genio di ricomporre e ripetere questa monotonia, che è più bella di qualsiasi variazione.

A un certo punto, se si segue la nota come fissazione, è come se non si riuscisse più a fiatare, perché si è come oberati, diventa un peso questa nota, tanto che a un certo punto la nota si ritrae e la musica di primo piano sembra averla vinta. Come dire: “Finalmente ci siamo! Finalmente siamo liberi!”. E scandite due, tre, quattro note, in fondo. Ma uno ha appena finito di pensare: “Siamo liberi da questa nota”, che quella nota riprende e finisce il pezzo. La sete di felicità, il destino di felicità si può per breve tempo obliterare, dimenticare, ma ritorna, come urgenza senza della quale l’uomo non può vivere: inizia e finisce il breve brano della nostra vita.

Così abbiamo fatto risentire questo brano di Chopin perché quella nota sia riconosciuta da voi in voi stessi:
perché l’io è un brano di musica fatto di quella nota, che ha a tema quella nota, anche se le cose che fanno impressione sono quelle più superficiali: il piacere immediato, il gusto immediato, la riuscita immediata, l’impressione immediata, la reazione, l’istintivo… Quella nota distrugge continuamente l’istinto e impedisce che ci si adagi e ci si fermi; impedisce che ti fermi, ti arresti, perché l’istintivo impietrisce: l’istintivo dell’amore, l’istintivo della bellezza, l’istintivo del gusto del lavoro, l’istintivo della riuscita ti fossilizza, ti impietrisce. È questa nota che sbriciola queste pietre e muove tutta la realtà del tempo della nostra vita, la muove come l’acqua del fiume muove i sassi e come il mare muove la sabbia.

Cristo è la risposta alla sete di felicità, perché è il Mistero di Dio che si è fatto uomo per farci capire; si è fatto uomo per mangiare insieme, mangiare e bere insieme, camminare insieme. Parlava come parlava qualsiasi altro, solo che c’era dentro qualcosa, c’era dentro una nota in quell’uomo…. “Nessuno ha mai parlato come quest’uomo”. Finché non ne poterono più e lo assassinarono. Ma lui risorse… e la nota finisce il pezzo. “

Luigi Giussani

Pensieri di S. Tommaso

Pensieri di San Tommaso d'Aquino
***
1. Portare gli uomini alla verità è il più grande beneficio che si può offrire agli altri.

2. La santità non consiste nel sapere molto, meditare molto, pensare molto. Il grande mistero della santità è amare molto.

3. Quanto più un essere si allontana da Dio, più si avvicina al nulla. Ma quanto più si avvicina a Dio, più si distanzia dal nulla.

4. Paziente non è colui che non vede il male, ma chi non si lascia dominare dalla tristezza.

5. Non toccare mai una ferita che non puoi curare.

6. La preghiera domenicale (Padre Nostro) è la più perfetta delle preghiere. In messa non solo chiediamo tutto ciò che possiamo desiderare correttamente, ma anche con l'ordine in cui è bene desiderarlo. Questa preghiera, quindi, non solo ci insegna a chiedere, ma ordina anche tutti i nostri affetti.

7. La speranza cristiana è attesa certa della felicità eterna.

8. La preghiera è necessaria non perché Dio conosca le nostre necessità, ma perché ci convinciamo della necessità che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere opportunamento il soccorso della salvezza.

9. Il bene di Cristo è comunicato a tutti i membri, e questa comunicazione avviene attraverso i sacramenti della Chiesa.

10. Non metterre in dubbio se è o meno verità, accetta con fede le parole del Signore, perché Egli, che è la verità, non mente.

ATTO D'AMORE i

ATTO D'AMORE 
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di Ada Negri

Non seppi dirti quant'io t'amo,
Dio nel quale credo,
Dio che sei la vita
vivente, e quella già vissuta e quella ch'è da viver più oltre: oltre i confini
dei mondi, e dove non esiste il tempo.
Non seppi; - ma a Te nulla occulto resta
di ciò che tace nel profondo. Ogni atto
di vita, in me, fu amore. Ed io credetti
fosse per l'uomo, o l'opera, o la patria
terrena, o i nati dal mio saldo ceppo,
o i fior, le piante, i frutti che dal sole
hanno sostanza, nutrimento e luce;
ma fu amore di Te, che in ogni cosa
e creatura sei presente. 
Ed ora
che ad uno ad uno caddero al mio fianco
i compagni di strada, e più sommesse
si fan le voci della terra,
il tuo Volto rifulge di splendor più forte
e la tua voce è cantico di gloria.
Or - Dio che sempre amai - t'amo sapendo
d'amarti; e l'ineffabile certezza
che tutto fu giustizia, anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male, tutto
per me Tu fosti e sei, mi fa tremante
d'una gioia più grande della morte.
Resta con me, poiché la sera scende
sulla mia casa, con misericordia
d'ombre e di stelle. Ch'io ti porga, al desco
umile, il poco pane e l'acqua pura
della mia povertà. Resta Tu solo
accanto a me tua serva; e nel silenzio
degli esseri, il mio cuore oda Te solo.

domenica 16 novembre 2014

 Amore  dono possesso
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"Il problema delle persone, soprattutto nell'amore, è che si vuole possedere l'altro. E quando, anziché il dono, c'è il desiderio di possesso, si inquina tutto. Molti matrimoni falliscono per questo. Perché, quando tu vuoi possedere, riduci automaticamente l'altro a un oggetto. Non è più una persona, un interlocutore, ma diventa un possesso. È il contrario dell'amore. L'amore è spento, a quel punto." (Raniero Cantalamessa, sacerdote, teologo e predicatore italiano dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini)

Il testamento spirituale di Santa Bernadette Soubirous

Il testamento spirituale di Santa Bernadette Soubirous 

***

Per l’indigenza di mamma e papà
per la rovina del mulino, per il vino della stanchezza,
per le pecore rognose: grazie, mio Dio!

Bocca di troppo da sfamare che ero;
per i bambini accuditi, per le pecore custodite, grazie!

Grazie o mio Dio, per il Procuratore,
per il Commissario, per i Gendarmi,
per le dure parole di Peyremale.

Per i giorni in cui siete venuta, Vergine Maria,
per quelli in cui non siete venuta,
non vi saprò rendere grazie altro che in Paradiso.

Ma per lo schiaffo ricevuto, per le beffe, per gli oltraggi,
per coloro che mi hanno presa per pazza,
per coloro che mi hanno presa per bugiarda,
per coloro che mi hanno presa per interessata.
GRAZIE, MADONNA!

Per l’ortografia che non ho mai saputa,
per la memoria che non ho mai avuta,
per la mia ignoranza e per la mia stupidità, grazie!

Grazie, grazie, perché se ci fosse stata sulla terra
una bambina più stupida di me, avreste scelto quella!

Per la mia madre morta lontano,
per la pena che ebbi quando mio padre,
invece di tendere le braccia alla sua piccola Bernadette,
mi chiamò Suor Maria Bernarda: grazie, Gesù!

Grazie per aver abbeverato di amarezza
questo cuore troppo tenero che mi avete dato.

Per Madre Giuseppina che mi ha proclamata:
“Buona a nulla”.
GRAZIE!

Per i sarcasmi della madre Maestra, la sua voce dura,
le sue ingiustizie, le sue ironie,
e per il pane della umiliazione, grazie!

Grazie per essere stata quella cui la Madre Teresa
Poteva dire: “Non me ne combinate mai abbastanza”.

Grazie per essere stata quella privilegiata
dai rimproveri, di cui le mie sorelle dicevano:
“Che fortuna non essere come Bernadette.
Grazie di essere stata Bernadette,
minacciata di prigione perché vi avevo vista,
Vergine Santa!

Guardata dalla gente come bestia rara;
quella Bernadette così meschina che a vederla si diceva:
“Non è che questa?!”.

Per questo corpo miserando che mi avete dato,
per questa malattia di fuoco e di fumo,
per le mie carni in putrefazione,
per le mie ossa cariate, per i miei sudori,
per la mia febbre, per i miei dolori sordi e acuti,
GRAZIE MIO DIO!

Per quest’anima che mi avete data, per il deserto della aridità interiore,
per la vostra notte e per i vostri baleni,
per i vostri silenzi e i vostri fulmini;
per tutto,
per Voi assente e presente, grazie! Grazie o Gesù!



scelta tra due soluzioni: l'assurdo e il mistero.

 scelta tra due soluzioni: l'assurdo e il mistero
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La sostanza della mia esperienza di filosofo è stata compiere la scelta tra due soluzioni: l'assurdo e il mistero.
Il mio collega Jean Paul Sartre ha scelto l'assurdo, io il mistero.
Tu chiederai qual è la differenza poiché anche il mistero sembra assurdo!  

No, l'assurdo è un muro impenetrabile contro cui ci si spiaccica in un suicidio.
Il mistero è una scala: si sale di gradino in gradino verso la luce, sperando.


- Jean Guitton -

Elkana ed Anna: veramente sposi - don Oreste Benzi

Elkana ed Anna: veramente sposi - don Oreste Benzi

Nella Bibbia c'è la storia di Elkana e Anna. 
Anna era sterile e chiedeva a Dio con tutta la sua fede, un figlio. 
La sterilità era sentita come una grande umiliazione. Elkana consola Anna con parole che riversano su di lei un amore perfetto: «Anna perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io migliore di dieci figli?» (l Sam 1,8). 
Che cosa occorre per essere un buon papà? È necessario essere un buon marito. E per essere un buon marito che cosa occorre? 
Avere nel proprio cuore solo la propria moglie. Neanche una scappatella? Neanche una! Elkana è proprio uno di questi mariti. 
E per essere una buona mamma che cosa occorre? Bisogna essere una buona moglie. E per essere una buona moglie è necessario curare il proprio marito! 
I figli non hanno bisogno dell'amore del papà verso di loro, non hanno bisogno dell'amore della mamma verso di loro, ma hanno bisogno dell'amore del papà verso la mamma e della mamma verso il papà! 
L'amore tra papà e mamma è la miglior medicina che previene ogni male psichico e cura anche i mali fisici dei figli.
Elkana e Anna avevano una fede semplice e profonda in Dio! 
Per Anna, Dio era un Padre, con il quale si sfogava in tutti i modi, ed era un rapporto basato sulla certezza assoluta che Dio li amava. 
La preghiera fatta insieme tra marito e moglie ha sempre un effetto equilibrante nello sviluppo dei figli. 
Ai vostri figli date il senso ultimo, definitivo della vita, non cresceteli in maniera atea!


- don Oreste Benzi -

Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radice in altri.

- Leone Tolstoi - 

Il nostro Dio è un Dio che veglia e non che sorveglia. 
Si sorveglia infatti in nome della legge, mentre si veglia in nome della tenerezza.

- Jacques Leclerc -

Noi cannibali e i Figli di Medea - Oriana Fallaci

*** 

Ti dileggiano con le parole retrogrado oscurantista reazionario e posando a neo illuministi, a progressisti, avanguardisti, ti buttano in faccia le solite banalità. Strillano che non si può imporre le mutande alla Scienza, che il Sapere non può essere imbrigliato, che il Progresso non può essere fermato, che i fatti sono più forti dei ragionamenti, che il mondo va avanti malgrado gli ottusi come te.
Come me. Con burattinesco sussiego dichiarano che l' embrione non è un essere umano: è una semplice proposta di essere umano anzi di essere vivente, un semplice grumo di cellule non pensanti. Con pagliaccesca sicurezza proclamano che non ha un' anima, che l' anima esiste se esiste il pensiero, che la sede del pensiero è il cervello, e il cervello incomincia a svilupparsi due settimane dopo che l' embrione si è attaccato all' utero materno. O che un feto incomincia a pensare solo all' ottavo o nono mese di gravidanza, che secondo San Tommaso d' Aquino fino al quarto mese siamo animali e quindi tanto vale proteggere gli embrioni degli scimpanzé.  E inutile obiettare che San Tommaso d' Aquino visse nel 1200, che di genetica se ne intendeva quanto io mi intendo di ciclismo e di pugilato. Inutile replicare che ripararsi dietro il sillogismo Cervello Pensiero Anima uguale Umano è una scemenza.
Un' offesa alla logica. Anche gli animali hanno un cervello, perbacco. 
Anche gli animali hanno un pensiero. Ergo, stando a quel sillogismo, anche loro dovrebbero avere un' anima ed essere considerati umani.  Inutile osservare, infine, che sulla formazione del cervello anima non sappiamo un bel nulla. Neanche ciò che si sapeva sull' atomo quando Enrico Fermi scisse quello dell' uranio 235 e scoprì che il suo nucleo misura un centomiliardesimo di millimetro eppure può disintegrare in un lampo città come Hiroshima e Nagasaki. E se l' infinitamente piccolo contenesse molto di più dell' infinitamente grande? E se il cervello anima dell' embrione misurasse ancor meno di un centomiliardesimo di millimetro e la miopia morale ( nonché intellettuale) non riuscisse a individuarlo? E se di conseguenza l' embrione pensasse, soffrisse come soffriamo noi quando Zarqawi ci taglia la testa col suo coltello halal?
 
Il fatto è che le loro affermazioni mai suffragate da prove sono teorie e basta, presunte certezze per convenienza e opportunismo spacciate come assolute certezze, punti di vista sbandierati nel presuntuoso miraggio di ricevere un Nobel al quale senza alcun pudore e senza alcun merito ambiscono fortissimamente. Sono un dogma che non vale più del mio. Anzi vale assai meno del mio che è privo di calcoli, di convenienze, di opportunismi. Qual è il mio? Bè, è quello che esprimo in "Lettera a un bambino mai nato" , libro che incomincia con queste parole: « Stanotte ho saputo che c' eri. Una goccia di vita scappata dal nulla » . È quello che ribadii nell' intervista al Foglio quando i neoilluministi e progressisti e avanguardisti approvavano la condanna a morte di Terri Schindler o se vuoi Terri Schiavo.  (Secondo loro, colpevole di non aver più un pensiero, di non aver più un' anima, di non poter assistere ogni domenica alla Messa che ha nome Partita di Calcio). Oh sì: a mia volta senza aver le prove che Fermi fornì sul nucleo dell' atomo, io credo che fin dal momento in cui lo spermatozoo feconda l' ovulo e la cellula primaria diventa due cellule poi quattro poi otto poi sedici insomma prende a moltiplicarsi, noi siamo ciò che saremo. 
Cioè esseri umani. Forse non ancora persone, visto che una persona è il risultato dell' essenza innata e delle esperienze acquisite dopo la nascita: ma di sicuro un essere umano.  L' embrione che sboccia nell' ovulo d' un pidocchio è un pidocchio.  L' embrione che sboccia nell' ovulo di un cane è un cane. (L' esempio del cane lo porta anche monsignor Sgreccia).  L' embrione che sboccia nell' ovulo di un elefante è un elefante.  L' embrione che sboccia nell' ovulo di un essere umano è un essere umano e non me ne importa nulla che stavolta la mia opinione coincida con quella della Chiesa Cattolica.  Con quella di Papa Wojtyla e di Papa Ratzinger, con quella del Cardinale Ruini, dei vescovi, degli arcivescovi, dei preti che si opposero al divorzio e all' aborto. (Anch' io detesto l' aborto e per il voto in favore dell' aborto ebbi strazianti dilemmi. Ma considero il divorzio una conquista della civiltà e per il divorzio mi battei con le unghie e coi denti).

- Fallaci Oriana -

sabato 15 novembre 2014

Vedevo davanti a me soltanto la perdizione,

   Vedevo davanti a me soltanto la perdizione
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"Era come se mi fosse successo questo: un giorno, non so quando, mi avevano messo in una barca e poi mi avevano allontanato da una riva qualsiasi a me sconosciuta e mi avevano indicato la direzione verso un'altra riva, avevano messo i remi nelle mie mani inesperte e mi avevano lasciato solo. Remavo come potevo e navigavo, ma, quanto più andavo verso il centro del fiume, tanto più rapida si faceva la corrente che mi portava lontano dalla meta e sempre più spesso incontravo dei rematori che, come me, erano trasportati dalla corrente. Vi erano rematori solitari che continuavano a remare; vi erano rematori che avevano gettato via i remi; vi erano grandi barche, bastimenti enormi pieni di gente; alcuni lottavano con la corrente; altri vi si abbandonavano, e quanto più avanzavo, tanto più, guardando in giù, in direzione di tutta la fiumana dei naviganti, io dimenticavo la direzione che mi era stata indicata. Proprio in mezzo alla fiumana, nel fitto delle barche e dei bastimenti che scendevano lungo la corrente, finii col perdere del tutto la direzione e gettai i remi. Da tutte le parti, con allegria e con giubilo intorno a me, con le vele o con i remi i navigatori venivano giù veloci seguendo la corrente, assicurando a me, e assicurandosi tra di loro, a vicenda, che non vi poteva essere un'altra direzione. Ed io credetti loro e navigai per un po' insieme con loro. E fui portato lontano, così lontano che sentii il rumore delle cateratte contro le quali dovevo andare a infrangermi e vidi le barche che vi si infrangevano ed io tornai in me. A lungo non riuscii a capire che cosa mi era successo. Vedevo davanti a me soltanto la perdizione, verso la quale correvo e di cui avevo paura, da nessuna parte vedevo scampo e non sapevo che fare. Ma avendo gettato uno sguardo indietro, vidi innumerevoli barche che senza interruzione, ostinatamente, fendevano la corrente, mi ricordai della riva, dei remi e della direzione, e cominciai a remare indietro per risalire la corrente verso la riva".
L. Tostoj - Confessione

martedì 11 novembre 2014

Andy Warhol, un cattolico celibe?


Andy Warhol, un cattolico celibe?

Non un dissoluto alla ricerca di fama e soldi



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 Thomas-Hawk-CC







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L'artista pop americano Andy Warhol (1928-1987) è noto alla stragrande maggioranza del pubblico per le sue sgargianti serigrafie di Marilyn Monroe e la sua rappresentazione dello spirito commerciale americano, come riflesso nella sua iconica lattina di zuppa Campbell. Ha iniziato la sua carriera come illustratore di successo di calzature da donna, ma il suo talento non riusciva a rimanere contenuto: ha raggiunto la fama in diversi ambiti artistici tra cui schizzo, pittura, incisione, fotografia, serigrafia, scultura e filmografia. Ha diretto e prodotto la rock band the Velvet Underground, istituendo così il punk rock come forma d'arte. Ha fondato Interview Magazine ed ha scritto numerosi libri.

Tuttavia, malgrado il suo crescente successo internazionale, Warhol era una figura enigmatica. Abbracciato dall'élite di Hollywood e dall'avanguardia per la sua bizzarra sensibilità artistica, evitava i riflettori e rifiutava sdegnosamente l'attenzione pubblica. Ritenuto da quasi tutti omosessuale, è rimasto celibe tanto che, stando a chi gli è stato vicino fino alla fine, al momento della morte era ancora vergine.

Warhol era un uomo profondamente schivo, inaccessibile, con molti segreti, tra cui la sua fede cattolica. Nato in una famiglia di immigrati slovacchi, era stato allevato nel rito ruteno, un rito orientale in comunione con Roma che utilizza la liturgia divina del rito orientale bizantino costantinopolitano.

Da ragazzo frequentava insieme alla famiglia la chiesa cattolica bizantina di San Giovanni Crisostomo di Pittsburgh. Quando è diventato adulto e si è trasferito a New York, Warhol si fermava quasi ogni giorno nella parrocchia di San Vincenzo Ferrer nell'Upper East Side di Manhattan. A volte assisteva alla Messa; temendo di essere riconosciuto, sedeva tranquillo vicino all'uscita della chiesa, perdendo spesso l'occasione di fare la Comunione per evitare di essere notato. Altri giorni si fermava nella chiesa a metà pomeriggio, accendendo una candela e trascorrendo un quarto d'ora in preghiera silenziosa.

Accanto al suo letto, Warhol aveva messo una chiesetta di gesso, con un crocifisso e un logoro libro di preghiere sul comodino. Sotto la sua maglietta bianca indossava una catenina con una croce, e in tasca portava un rosario.

Il cattolicesimo di Andy Warhol era evidente nella sua filantropia e nella sua pietà personale. Era un sostenitore generoso di numerose organizzazioni, inclusa una mensa gestita dalla Chiesa cattolica all'interno di una chiesa episcopale sulla 90ma Strada Est. Non soddisfatto di offrire solo un aiuto finanziario, era anche volontario alla mensa, servendo la zuppa e aiutando come poteva. Quando suo nipote ha annunciato che voleva diventare sacerdote cattolico, Warhol ha finanziato i suoi studi in seminario.

Nell'elogio funebre di Warhol, lo storico dell'arte britannico John Richardson ha affermato:

Vorrei ricordare un aspetto del suo carattere che nascondeva a tutti tranne che ai suoi amici più stretti: il suo aspetto spirituale. Quanti di voi lo hanno conosciuto in circostanze che erano l'antitesi dell'elemento spirituale potrebbero essere sorpresi dall'esistenza di questo aspetto, ma c'era, ed è fondamentale per la psiche dell'artista.

Anche se Andy era percepito – anche un po' a ragione – come un osservatore passivo che non ha mai imposto le proprie convinzioni ad altri, a volte poteva essere un proselitista efficace. Per quanto ne so, è stato responsabile di almeno una conversione.

Provava un notevole orgoglio nel finanziare la formazione di suo nipote al sacerdozio, e aiutava regolarmente in una mensa per i senzatetto e i poveri. Andy teneva nascoste queste attività. Conoscere la sua pietà segreta cambia inevitabilmente la nostra percezione di un artista che ha ingannato il mondo facendogli credere che le sue uniche ossessioni fossero il denaro, il successo e il glamour e che potesse essere freddo al punto dell'insensibilità. Non considerate mai Andy per ciò che sembrava...


Malgrado la segretezza con cui circondava la sua identità religiosa, Warhol spesso includeva immagini sacre nelle sue opere d'arte. La sua riproposizione dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, così come i suoi dipinti di Gesù Cristo e della Beata Vergine Maria, hanno aiutato a rendere popolari le opere classiche da cui traeva spunto.

Warhol ha iniziato a impiegare maggiormente gli elementi religiosi nella sua arte negli anni Ottanta. Sharon Matt Atkins, curatrice culturale di una mostra del 2010 dell'opera di Warhol al Brooklyn Museum, ha affermato che “dopo i 50 anni Warhol ha iniziato a riconsiderare la sua carriera. Iniziamo anche a vederlo riflettere sull'inevitabilità della propria morte”.

Secondo Joseph Ketner, curatore di una mostra al Milwaukee Art Museum, l'immagine di Cristo e dei discepoli lo ossessionava. Nell'ultimo anno della sua vita, infatti, Warhol ha dipinto più di 100 immagini che traevano ispirazione dal dipinto rinascimentale di Leonardo da Vinci sull'Ultima Cena. Tre rappresentazioni dell'Ultima Cena sono enormi. Un'altra opera, secondo la Atkins, giustappone un quartetto di immagini di Cristo a un trio di motociclette, un'aquila rossa in picchiata e un cartellino di un prezzo di 6.99 dollari, emblematico dell'irriverenza apparente di Warhol ma anche rivelatore della sua spiritualità interiore. Il dipinto più grande nella collezione religiosa comprende 112 ritratti di Cristo.

È venerabile Marthe Robin, che visse 50 anni di sola Eucaristia. Una delle più grandi mistiche del '900

È venerabile Marthe Robin, che visse 50 anni di sola Eucaristia. Una delle più grandi mistiche del '900

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Papa Francesco ha autorizzato venerdì scorso il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, a promulgare i decreti sulle virtù eroiche di otto Servi di Dio. Tra questi nuovi venerabili, anche la mistica Marthe Robin, di cui presentiamo un ritratto.
di Cristina Siccardi
Marthe Robin nacque a Châteauneuf-de-Galaure (Drôme), nel sud-est della Francia, il 13 marzo 1902, era sestogenita di Joseph Robin e Amélie-Célestine Chosson, modesti contadini, che la fecero battezzare il 5 aprile a Saint-Bonnet-de-Galaure.
La sua vita, fino ai 16 anni, scorre serena nella campagna. Ma, nel mese di novembre del 1918, mentre erano in atto i festeggiamenti per l'armistizio tra Francia e Germania, Marthe cadde a terra e non riuscì più ad alzarsi: fu l'inizio della sua misteriosa patologia, che venne diagnosticata come encefalite letargica, ma alcuni la definiranno «coma mistico».
Il coma durò fino al marzo-aprile del 1921, poi Marthe tornò lentamente a camminare, a lavorare all'uncinetto e, con l'aiuto del bastone, a sorvegliare gli animali della fattoria. Dopo qualche mese, tornò a peggiorare, perdendo la deambulazione, accusando forti dolori alla schiena e avendo pesanti problemi alla vista.
Dal 3 ottobre del 1926 si aggrava: ha continue emorragie e non ritiene più nulla nello stomaco. Riceve l’estrema unzione. Ma, proprio quando le speranze sembravano ormai finite, Marthe riceve l'apparizione di santa Teresina di Lisieux che le rivela di non essere giunta alla fine della sua vita, ma di dover assumere una precisa missione nel mondo.
Da questo momento Marthe Robin diventa pegno d’amore immolato per Gesù. Dal 1928 la paralisi colpisce tutto il corpo. Per 50 anni consecutivi non mangerà più e non berrà più; le verranno inumidite le labbra con acqua o caffè e nutrirà soltanto più l’anima con l’Eucaristia; tuttavia l’Ostia  non veniva inghiottita, ma spariva letteralmente e inspiegabilmente tra le sue labbra e molte persone furono testimoni di questo inspiegabile fenomeno.
Il 2 febbraio 1929 perse anche l’uso delle mani e dovette imparare a scrivere servendosi della bocca.
Su di lei il filosofo cattolico Jean Guitton, accademico di Francia, scrisse il suo ultimo libro, Ritratto di Marthe Robin. Una mistica del nostro tempo (Paoline). Nell'Introduzione del libro di Jean-Jacques Antier (San Paolo) Guitton scrive: «Rassomigliava a una bambina, perfino nella voce. Era gaia più che gioiosa, la sua voce esile e bassa, il suo canto quello di un uccello. I suoi modi esprimevano l'essenza indefinibile della poesia». Inoltre: «Non aveva nessun talento, salvo, nella sua giovinezza, quello del ricamo. Al di là di qualsiasi cultura, al di là della povertà, si nutriva dell'aria, del tempo e dell'eternità. Perfino al di là del dolore. E tuttavia, subito presente a tutto e a tutti». «Mia moglie diceva: ''Altrove non ci sono che problemi, ma da lei non ci sono che soluzioni, perché si mette allo stesso tempo al centro del cielo e al centro della terra».
Nel 1930 Marthe vide Cristo, che le chiese: «Vuoi essere come me? ». Ed ella rispose: «Il mio io sei tu. La mia vita sia la riproduzione perfetta e incessante della tua vita». Il 1° ottobre, festa di santa Teresina di Lisieux, fu come una preparazione della passione in un vero tormento di sofferenze, di cui lascerà questa testimonianza: «Quanto mi avete fatto male. mio Dio! Vi amo! Abbiate pietà di me! ho male nell'anima, nel cuore, nel corpo; la mia povera testa sembra rotta. Non so più niente, se non soffrire. Sento in me una tale stanchezza; il dolore grida così forte. E non c'è nessuno, nessuno per aiutarmi! Sono all'estremo delle mie forze. Non finirà dunque mai il dolore quaggiù? Quando ha straziato il corpo e il cuore, strazia l'anima.
Oh, mio Amore crocifisso! Voi m'insegnate giorno per giorno a dimenticarmi. Mio Dio, vi amo; abbiate pietà di me! Quando verrò, Dio mio, nella terra dei viventi? Gesù, sostenetemi!
Ma io so. Per vincere bisogna saper soffrire. Il dolore è la leva che solleva la terra. [Perchè] il Dio che affligge è anche il Dio che consola.
Non è un peso, ma piuttosto un altare. Niente è più bello davanti a Dio che l'oblazione di se stessi quando si soffre.
Con tutta la mia anima dolente, con tutto il mio cuore straziato, il mio corpo torturato dalle sofferenze, gli occhi accecati dalle lacrime, bacio amorosamente la vostra mano, mio Dio».
Sempre nell’ottobre del 1930 Marthe riceve una nuova visione, questa volta di Cristo crocifisso. Egli prende le sue braccia paralizzate e gliele apre. Poi lei sente di nuovo: «Marthe, vuoi essere come me?». «Allora sentii un fuoco bruciante, talora esteriore, ma soprattutto interiore. Era un fuoco che usciva da Gesù. Esteriormente, lo vedevo come una luce che mi bruciava. Gesù mi chiese prima di tutto di offrire le mie mani. Mi sembrò che un dardo uscisse dal suo cuore e si dividesse in due raggi per trapassare uno la mano destra e l'altro la sinistra. Ma, nello stesso tempo, le mie mani erano trapassate, per così dire, dall'interno. Gesù m'invitò ancora a offrire i miei piedi. Lo feci all'istante, come, come per le mani, mettendo le gambe come Gesù sulla croce. Restarono in parte piegate, come quelle di Gesù. Come per le mani, un dardo, che partiva dal cuore di Gesù, dardo di fuoco dello stesso colore che per le mani, si divise in due a una certa distanza dal cuore di Gesù, pur restando unico nello sprigionarsi dal cuore. Quindi questo dardo era unico verso il cuore di Gesù e si divideva per colpire e attraversare nello stesso tempo i due piedi. La durata non si può precisare. Questo si verificò senza interruzioni ». In seguito riceverà anche le ferite della corona di spine.
Da quel giorno Marthe rivivrà ogni venerdì la passione di Gesù. Il Signore promise di inviarle un sacerdote illuminato per aiutarla a realizzare la missione alla quale era destinata: creare dei luoghi di preghiera e carità destinati a diffondersi in tutto il mondo. Venne, tra gli altri, a visitarla il giovane abate Finet, che Marthe riconosce per averlo visto nelle sue visioni. Insieme a lui realizzerà i Foyers de charité, tutt’oggi presenti in tutto il mondo.                                                                                            
Marthe aveva il dono del consiglio e quello di leggere nei cuori, grazie ai quali aiutò molte persone, laici e religiosi, a risolvere difficili questioni spirituali. Diede importanti consigli al Presidente de Gaulle, a cardinali, vescovi, filosofi e scienziati. Marthe riuscì a curare, attraverso l’intercessione della Madonna, molte persone. Quando ricevette le stigmate la gente iniziò ad arrivare numerosa da ogni parte della Francia per vederla. Talvolta incontrava più di 60 persone al giorno e nonostante le sue sofferenze manteneva la sua abituale giovialità e il suo sorriso mentre ascoltava, rasserenava, convertiva. Riceveva lettere da tutto il mondo, erano tutte richieste di aiuto da parte di persone di ogni età. Nel 1940, dopo un’offerta fatta al Signore, autorizzata da Padre Finet, sopraggiunse una quasi totale cecità, unita a una ipersensibilità alla luce che obbligava Marthe a vivere al buio. «Gesù mi ha chiesto gli occhi», diceva la mistica.
Jean Guitton andò da lei ben quaranta volte. Rimase colpito da questa umile contadina che malgrado non fosse mai uscita dalla sua fattoria sapeva illuminare e aiutare gente semplice e dotti uomini di cultura e di scienza.
Marthe aveva il dono della veggenza, conosceva le cose lontane e quelle future, aveva una infinita capacità di donare amore e prendere su di sé i mali altrui.
Vide per decenni, ogni settimana, la Madonna e tutti i venerdì, prima della fine della passione di Gesù che viveva sulla sua carne, la Santa Vergine le appariva ai piedi del divano. Inoltre versava lacrime di sangue ogni notte, una moltiplicazione misteriosa che accompagnerà la martire fino alla fine dei suoi giorni.
La morte la colse, completamente sola, il 6 febbraio 1981, il primo venerdì del mese. Venne trovata sdraiata per terra, in mezzo a tanti oggetti sparsi.
Dopo sette anni dalla sua morte iniziò il suo processo di beatificazione, conclusosi a livello diocesano nel 1996. 

giovedì 6 novembre 2014

Il potere senza volto, di Pier Paolo Pasolini

Il potere senza volto, di Pier Paolo Pasolini
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«Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell’intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile – o, per dir meglio, visibile – nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono stato distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere.
Scrivo “Potere” con la P maiuscola – cosa che Maurizio Ferrara accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) – solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale).
Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare.
L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere  ha  anche  “omologato”  culturalmente  l’Italia: si tratta dunque  di  un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre. La strategia della tensione è una spia, anche se sostanzialmente anacronistica, di tutto questo.
Maurizio Ferrara, nell’articolo citato (come del resto Ferrarotti, in « Paese Sera », 14-6-1974) mi accusa di estetismo. E tende con questo a escludermi, a recludermi. Va bene: la mia può essere l’ottica di un « artista », cioè, come vuole la buona borghesia, di un matto. Ma il fatto per esempio che due rappresentanti del vecchio Potere (che servono però ora, in realtà, benché interlocutoriamente, il Potere nuovo) si siano ricattati a vicenda a proposito dei finanziamenti ai Partiti e del caso Montesi, può essere anche una buona ragione per fare impazzire: cioè screditare talmente una classe dirigente e una società davanti agli occhi di un uomo, da fargli perdere il senso dell’opportunità e dei limiti, gettandolo in un vero e proprio stato di «anomia». Va detto inoltre che l’ottica dei pazzi è da prendersi in seria considerazione: a meno che non si voglia essere progrediti in tutto fuorché sul problema dei pazzi, limitandosi comodamente a rimuoverli.
Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo lombrosiano (come rozzamente insinua Ferrara), ma perché conoscono la semiologia. Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza.
Per tornare così all’inizio del nostro discorso, mi sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico, più un certo quantitativo – completamente convenzionalizzato e estremamente povero – di linguaggio verbale.
È a un tale livello di comunicazione linguistica che si manifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani; b) la loro completa omologazione a un unico modello.
Dunque: decidere di farsi crescere i capelli fin sulle spalle, oppure tagliarsi i capelli e farsi crescere i baffi (in una citazione protonovecentesca); decidere di mettersi una benda in testa oppure di calcarsi una scopoletta sugli occhi; decidere se sognare una Ferrari o una Porsche; seguire attentamente i programmi televisivi; conoscere i titoli di qualche best-seller; vestirsi con pantaloni e magliette prepotentemente alla moda; avere rapporti ossessivi con ragazze tenute accanto esornativamente, ma, nel tempo stesso, con la pretesa che siano «libere» ecc. ecc. ecc.: tutti questi sono atti culturali.
Ora, tutti gli Italiani giovani compiono questi identici atti, hanno questo stesso linguaggio fisico, sono interscambiabili; cosa vecchia come il mondo, se limitata a una classe sociale, a una categoria: ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico sono interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno potrà più distinguere, dal suo corpo, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968.
I problemi di un intellettuale appartenente all’intelligencija sono diversi da quelli di un partito e di un uomo politico, anche se magari l’ideologia è la stessa. Vorrei che i miei attuali contraddittori di sinistra comprendessero che io sono in grado di rendermi conto che, nel caso che lo Sviluppo subisse un arresto e si avesse una recessione, se i Partiti di Sinistra non appoggiassero il Potere vigente, l’Italia semplicemente si sfascerebbe; se invece lo Sviluppo continuasse così com’è cominciato, sarebbe indubbiamente realistico il cosiddetto «compromesso storico», unico modo per cercare di correggere quello Sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nel suo rapporto al CC del partito comunista (cfr. «l’Unità », 4-6-1974). Tuttavia, come a Maurizio Ferrara non competono le «facce», a me non compete questa manovra di pratica politica. Anzi, io ho, se mai, il dovere di esercitare su essa la mia critica, donchisciottescamente e magari anche estremisticamente. Quali sono dunque i miei problemi?
Eccone per esempio uno. Nell’articolo che ha suscitato questa polemica («Corriere della sera», 10-6-1974) dicevo che i responsabili reali delle stragi di Milano e di Brescia sono il governo e la polizia italiana: perché se governo e polizia avessero voluto, tali stragi non ci sarebbero state. È un luogo comune. Ebbene, a questo punto mi farò definitivamente ridere dietro dicendo che responsabili di queste stragi siamo anche noi progressisti, antifascisti, uomini di sinistra. Infatti in tutti questi anni non abbiamo fatto nulla:
1) perché parlare di « Strage di Stato » non divenisse un luogo comune, e tutto si fermasse lì;
2) (e più grave) non abbiamo fatto nulla perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione più tranquilla era la coscienza.

In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione.
Ma non potevamo distinguerli dagli altri (non dico dagli altri estremisti: ma da tutti gli altri). È questa la nostra spaventosa giustificazione.
Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo distinguere, tra tutti quelli che si erano ammassati nella sua cella, Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare la cosa più orribile e a sopportare il più disumano dolore.
Pensate (se ne avete la forza) a quel ragazzo o a quei ragazzi che sono andati a mettere le bombe nella piazza dì Brescia. Non c’era da alzarsi e da andare a prosternarsi davanti a loro? Ma erano giovani con capelli lunghi, oppure con baffetti tipo primo Novecento, avevano in testa bende oppure scopolette calate sugli occhi, erano pallidi e presuntuosi, il loro problema era vestirsi alla moda tutti allo stesso modo, avere Porsche o Ferrari, oppure motociclette da guidare come piccoli idioti arcangeli con dietro le ragazze ornamentali, si, ma moderne, e a favore del divorzio, della liberazione della donna, e in generale dello sviluppo… Erano insomma giovani come tutti gli altri: niente li distingueva in alcun modo. Anche se avessimo voluto non avremmo potuto andare a prosternarci davanti a loro. Perché il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico.
Il suo fine è la riorganizzazione e I’omologazione brutalmente totalitaria del mondo.