CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


domenica 26 luglio 2015

AVVENTURIERI DELL'ETERNO, IL NUOVO LIBRO DI SOCCI

AVVENTURIERI DELL'ETERNO,
 IL NUOVO LIBRO DI SOCCI
Un viaggio alla ricerca dell'infinito che si è fatto uomo
di Antonio Socci
 
Ci sono volti, fra i cristiani, che in maniera straordinaria fanno trasparire la luce del Risorto e quindi la luce del Paradiso.
Sono stato colpito, per esempio, dal «mistero» di una foto (la stessa che si può vedere sulla copertina del libro) che mi è capitata tra le mani tempo fa.
Chi è quel giovane scarmigliato, biondo e barbuto? Cosa significa quel suo sorriso sereno, quello sguardo fermo e limpido?
Forse è un attore o un artista, anzi, probabilmente dalla camicia malconcia siamo romanticamente indotti a pensare che possa essere un guerrigliero o un avventuriero o un esploratore.
È una di quelle foto che sembrano immortalare un giovane eroe, un po' come quella celebre di Che Guevara, perché, si sa, «gli eroi son tutti giovani e belli»...
In effetti lui è un eroe, un audace avventuriero: cominciamo col dire che era spagnolo si chiamava Martín Martínez Pascual e - quando fu scattata questa istantanea - aveva venticinque anni.
Un altro «dettaglio»: era un prete cattolico che fu catturato dai miliziani repubblicani: non aveva nessuna colpa, se non quella di essere un sacerdote.
Il 18 agosto 1936 fu fucilato e la foto è stata scattata pochi istanti prima dell'esecuzione. Questo è l'aspetto affascinante...


FU UNO DEI TANTISSIMI MARTIRI
La carneficina perpetrata dalle forze repubblicane in Spagna negli anni Trenta, ai danni della Chiesa, fu di inusitata ferocia. Quell'odio non era motivato né dalla guerra civile - che scoppiò successivamente - né dall'obiettivo politico di instaurare un regime analogo a quello sovietico. Era un odio satanico, ebbe a dire il papa.
Mentre il 70 per cento delle chiese subirono devastazioni e profanazioni (a volte la distruzione totale), in odio alla fede cristiana furono catturati e massacrati senza alcun motivo, solo per l'appartenenza alla Chiesa, migliaia di inermi, preti, suore, religiosi, catechisti, famiglie cattoliche ed esponenti cristiani impegnati nelle parrocchie e nella società.
Solo in anni recenti la Chiesa stessa ha potuto capire l'enormità di quello che accadde in Spagna negli anni Trenta.
Giovanni Paolo II, in diverse riprese, beatificò 460 vittime di quella persecuzione, fra questi padre Martín, il 1° ottobre 1995. Fra il 2005 e il 2011 poi Benedetto XVI ne beatificò più di cinquecento. E altri 522 sono stati beatificati a Tarragona il 13 ottobre 2013 sotto il pontificato di Francesco.
Tuttavia si calcola che siano state circa diecimila le persone che furono martirizzate in odio alla fede e uno dei maggiori storici di quel periodo, monsignor Vicente Cárcel Ortí, ha spiegato bene (in un'interviusta a Tempi) le caratteristiche di questa tragedia: "Non si tratta di eroi, ma di persone normali che vivevano una fede per cui valeva la pena dare la vita. E fu una sorpresa anche per la Chiesa: molti pensavano che la fede popolare degli spagnoli fosse insufficiente, folcloristica e sentimentale. Invece, davanti alla prova, emerse la sua forza semplice e cristallina, prima snobbata dagli intellettuali. La cosa impressionante è che in ogni città, senza conoscersi né mettersi d'accordo, morirono tutti allo stesso modo: invitati ad abiurare in cambio della vita, rifiutarono e morirono pregando per i loro assassini e urlando: 'Viva Cristo Re'. Come accadeva anche in Messico o in Germania davanti alle SS di Hitler. Leggendo tutte le carte dei processi non si trova un solo caso di tradimento. Questo è miracoloso perché non è scontato che uno che ha fede non ceda o non tradisca".

PADRE MARTÍN
Ma torniamo a fissare lo sguardo su una di queste storie, appunto quella di padre Martín, il giovane della foto. Era nato l'11 novembre 1910, entrò in seminario e fu ordinato presbitero il 15 giugno 1935. Nel 1934 era entrato nella Società di sacerdoti operai diocesani del Sacro Cuore di Valdealgorfa (Teruel), nella diocesi di Saragozza.
Inviato al Collegio di San José, allo scatenarsi della persecuzione anticristiana padre Martín dovette entrare in clandestinità. Quando apprese che suo padre era stato catturato si presentò ai persecutori, sapendo bene cosa lo aspettava, e fu subito arrestato.
Insieme ad altri cinque sacerdoti e nove laici (catechisti e militanti cattolici) fu portato dai miliziani verso il cimitero del villaggio dove furono tutti messi in fila, di spalle, per la fucilazione. Solo Martín volle stare di fronte ai suoi carnefici guardandoli negli occhi.
Gli chiesero se prima di morire voleva fare qualche dichiarazione. Lui disse: «Voglio solo darvi la mia benedizione, in modo che Dio non consideri la pazzia che state per fare».
Il fotografo tedesco Hans Gutmann, più noto come Juan Guzmán (1911-1982), che era presente lì, con i miliziani, fece le sue istantanee proprio in quei drammatici momenti. Subito dopo puntarono i fucili su Martín e lui, appena prima della raffica, gridò: «Viva Cristo Re!».

Avrebbe potuto abiurare e salvare la sua giovane vita. Ma nemmeno per un attimo prese in considerazione questa possibilità.
Al contrario sembrava felice di poter rendere testimonianza a Gesù con la sua stessa vita, in segno di amore a Lui che dette la sua vita per salvare tutti.
Ma in quella foto c'è qualcosa di più, infatti il suo volto è sereno, i suoi occhi luminosi, il suo atteggiamento è fermo e pacato, la postura delle braccia esprime forza e poi quel sorriso straordinario, non ostentato, non beffardo, ma pieno di candore evangelico. Quasi lascia senza fiato perché fa trasparire una certezza vittoriosa.
Il mistero di questa foto sta proprio qui: è il volto di un venticinquenne pochi istanti prima della sua fucilazione. Com'è possibile che non mostri alcuna traccia di nervosismo o di odio, nessuna paura della fucilazione e della morte? Perché non ha nessun terrore?
Quegli occhi, quel sorriso sono già illuminati da ciò che lo aspetta di lì a qualche secondo. La vita vera, la realtà vera lo aspetta. E - a guardare il suo volto - deve essere bellissima.

I martiri spagnoli come padre Martín sono solo una piccola parte di quell'immane fiume di sangue cristiano che è stato versato nel XX secolo e si continua a versare nel XXI. In tutte le latitudini, sotto tutti i regimi e tutte le ideologie.
È la più grande persecuzione di tutta la storia cristiana e mostra come la Chiesa è stata chiamata a rivivere la Passione del Salvatore, in modo speciale, proprio nel nostro tempo.
Cosa che dà ai nostri anni un connotato apocalittico e mostra al mondo questa Chiesa dei martiri come il primo segno e la più chiara testimonianza dell'eternità.
(tratto da un capitolo del libro "Avventurieri dell'eterno" - ed. Rizzoli)

sabato 18 luglio 2015

JOHN R. R. TOLKIEN: SUL MATRIMONIO E LA RELAZIONE FRA I SESSI

JOHN R. R. TOLKIEN: SUL MATRIMONIO E LA RELAZIONE FRA I SESSI  

***



5 mag 2012   •  
 


Da una lettera di John R. R. Tolkien al figlio Michael (6-8 marzo 1941)
Il rapporto tra uomo e donna può essere puramente fisico (in realtà, naturalmente, non è possibile: ma intendo dire che ci si può rifiutare di prendere in considerazione altre cose, a tutto svantaggio dell’anima (e del corpo) di entrambi); oppure «amichevole»; oppure si può essere «amanti» (impegnando e mescolando tutta la propria capacità affettiva e le energie della mente e del corpo in una complessa emozione fortemente caratterizzata e vivificata dal sesso). Questo nostro mondo è immorale. Lo spostamento dell’istinto sessuale è uno dei sintomi principali della Caduta. Il mondo è andato sempre peggio di epoca in epoca. Le varie forme sociali cambiano e ogni nuova moda comporta particolari pericoli: ma il «duro spirito della concupiscenza» ha percorso ogni strada e siede sogghignando in ogni casa, da quando Adamo è caduto. Lasceremo da parte le conseguenze «immorali». In queste tu non desideri essere trascinato. Alla rinuncia non sei portato. «Amicizia», allora? In questo mondo corrotto l’«amicizia », che dovrebbe essere possibile fra tutti gli esseri umani, è virtualmente impossibile tra uomo e donna. Il diavolo è infinitamente ingegnoso e il sesso è la sua arma preferita. È abilissimo nel catturarti usando mezzi generosi, romantici o teneri, tanto quanto mezzi più bassi e animali. Spesso si è tentato di instaurare questa «amicizia»: da una parte o dall’ altra quasi sempre fallisce. Più avanti nella vita, quando gli impulsi sessuali si calmano, forse è possibile. Può instaurarsi fra i santi. Alle persone normali capita solo raramente: due intelligenze che abbiano una vera affinità mentale e spirituale possono avere un corpo femminile e uno maschile e desiderare di realizzare un’«amicizia» indipendentemente dal sesso. Ma nessuno può farci conto. Uno dei due partner deluderà l’altro (o l’altra) innamorandosi. Ma di solito (di norma) un giovanotto non vuole davvero «amicizia», anche se lo afferma. Di solito è cosi per molti giovani. Un giovane vuole l’amore: innocentemente e tuttavia irresponsabilmente, forse. Allas! Allas! that ever love was sinne! come dice Chaucer. Quindi, nel caso di un giovane cristiano e consapevole che esiste il peccato, è bene sapere come comportarsi.
Nella nostra cultura occidentale la tradizione cavalleresca è ancora forte, benché, come prodotto della cristianità (e tuttavia tutta un’altra cosa dall’ etica cristiana) i tempi le siano ostili. Idealizza l’amore – e può essere una cosa positiva, perché comprende molto più che il piacere fisico e prescrive se non proprio la purezza, almeno la fedeltà, e quindi la negazione di sé, il «servizio», la cortesia, l’onore e il coraggio. Il suo punto debole è, naturalmente, la sua origine di divertimento artificiale praticato nelle corti, un modo di godere dell’amore in sé stesso, senza nessun riferimento (anzi negandone la validità) al matrimonio. Il suo centro non era Dio, ma divinità artificiose, l’Amore e la Dama. Tende tuttora a fare della Dama una specie di faro-guida o di divinità: un assioma ormai passato di moda. «La sua divinità» = la donna che ama = l’oggetto o la ragione di un nobile comportamento»: questo, naturalmente, è falso o nella migliore delle ipotesi è un autoinganno. Anche la donna è un essere umano caduto e anche la sua anima è in pericolo. Ma combinata e armonizzata con la religione (com’ era molto tempo fa, dando origine a quella devozione alla Nostra Signora che fu il modo scelto dal Signore per raffinare la natura e le emozioni maschili e anche di riscaldare e rendere più gradita la nostra religione così dura e così amara) la cavalleria può essere cosa molto nobile. Produce quello che io credo sia ancora considerato, dalle persone che si possono appena dire cristiane, come l’ideale più alto dell’amore tra uomo e donna. Tuttavia io penso che presenti dei pericoli. Non è completamente vera e non è perfettamente «teo­centrica ». Distoglie, e ha distolto in passato, gli occhi del giovane dalle donne così come sono veramente, compagne nelle avversità della vita e non stelle-guida. (Uno dei risultati è, osservando la realtà, che il giovane diventa cinico). Fa dimenticare i desideri, i bisogni, le tentazioni delle donne. Inculca la tesi esagerata dell’ «amore vero» come di un fuoco che viene dal di fuori, un’esaltazione permanente, che non prende in considerazione gli anni che passano, i figli che arrivano, la vita di tutti i giorni ed è svincolata dalla volontà e dagli obiettivi. (Uno dei risultati è quello di far cercare ai giovani un «amore» che li tenga sempre al caldo, riparati da un mondo freddo, senza che debbano sforzarsi in nessun modo; e gli inguaribilmente romantici vanno avanti a cercare questo amore a costo di affrontare lo squallore delle cause di divorzio).
Le donne, in realtà, non sono consapevoli di tutto questo, anche se possono usare il linguaggio dell’amore romantico, dato che è così connaturato al nostro idioma. L’impulso sessuale rende le donne (naturalmente più sono innocenti meno sono consapevoli) molto tolleranti e comprensive, a specialmente desiderose di essere così (o di sembrare così), e pronte a condividere ogni interesse, per quanto è loro possibile, dalle cravatte alla religione, del giovane da cui sono attratte. Il loro intento non è per forza quello di ingannare; si tratta di puro istinto; l’istinto di servire, di collaborare, generosamente, riscaldato dal desiderio e dal sangue giovane. Grazie a questo impulso, in effetti, spesso possono raggiungere una notevole perspicacia e una capacità di comprensione anche di cose che altrimenti sarebbero al di fuori della loro naturale portata: perché la loro caratteristica è quella di essere ricettive, stimolate, fertilizzate (non solo da un punto di vista fisico) dall’uomo. Ogni insegnante lo sa. Quanto rapidamente una donna intelligente può apprendere, afferrare le idee dell’insegnante, capire il suo punto di vista – e come (tranne rare eccezioni) – non possa andare oltre, quando si stacca dall’insegnante o quando smette di nutrire per lui un interesse personale. Eppure questa per le donne è la strada naturale che porta all’amore. Prima che la giovane donna riesca a capire dove si trova (e mentre il giovane romantico, se esiste, sta ancora sospirando), può innamorarsi. Che per lei, una giovane innocente e non corrotta, significa che desidera diventare la madre dei figli del giovane, anche se questo desiderio non le è ancora ben chiaro. E a questo punto molto può succedere, di doloroso e dannoso, se le cose vanno storte. In particolare, se il giovane voleva solo una stella-guida e una divinità temporanea (finché non ne scopre un’altra più brillante) e se stava solamente godendo la lusinga di una simpatia insaporita da un briciolo di sesso – tutto molto innocente, naturalmente, e lontano anni luce dalla « seduzione».
Nella vita (come nella letteratura) puoi incontrare donne che sono incostanti e anche donne dissolute: non mi riferisco al semplice flirtare, che è unicamente un allenamento in vista del vero combattimento, ma a quelle donne che sono troppo sciocche per prendere sul serio anche l’amore o così depravate da gioire della «conquista» o persino dell’infliggere dolore – ma queste sono eccezioni, anche se insegnamenti sbagliati, cattiva educazione e mode corrotte possono incoraggiare questi atteggiamenti. Ma sebbene la situazione attuale abbia cambiato l’atteggiamento femminile, e modificato quella che è considerata proprietà di comportamento, non ha tuttavia cambiato l’istinto naturale. Un uomo ha il suo lavoro, la carriera (e amici maschi), tutte cose che possano sopravvivere (e di solito è così se l’uomo ha qualche briciolo di buon senso) al naufragio di un amore. Una giovane donna, anche se è «economicamente indipendente», come si dice adesso (e che di solito significa in realtà economicamente dipendente da un datore di lavoro maschio invece che dal padre o da una famiglia) comincia quasi subito a pensare al corredo e a sognare una casa. Se si innamora seriamente, il naufragio può davvero essere disastroso. Comunque le donne in genere sono molto meno romantiche e più pratiche. Non lasciarti ingannare dal fatto che sono più «sentimentali» a parole – sempre a dire «caro» e così via. Loro non sognano una stella-guida. Possono idealizzare un normalissimo giovane vedendolo come un eroe; ma in realtà non hanno bisogno di tanto per innamorarsi e per amare. Se hanno qualche delusione è perché pensano di poter «cambiare» un uomo. Possono innamorarsi di un astuto cialtrone e continuare ad amarlo anche quando si accorgono di non riuscire a redimerlo. Sono, naturalmente, molto più realistiche circa i rapporti sessuali. A meno che non siano guastate da qualche pessima moda attuale, di solito non parlano «sporco» non perché siano più pulite degli uomini (non lo sono), ma perché non lo trovano divertente. Ne ho conosciute alcune che pretendevano di trovarlo divertente, ma era una pura pretesa. Può essere curioso, interessante (anche troppo interessante): ma è un interesse naturale, serio, ovvio; dov’è il divertimento?
Naturalmente devono stare ancora molto attente nei rapporti sessuali, per quanto riguarda la possibilità di concepire. Sbagli di questo tipo sono devastanti, fisicamente e socialmente (e matrimonialmente). Ma istintivamente, quando non sono corrotte, sono monogame. Gli uomini no … E’ inutile affermare il contrario. Gli uomini non lo sono, per natura. La monogamia (benché sia da tempo un’idea fondamentale fra quelle che abbiamo ereditato) per noi uomini non è che una parte di etica «rivelata», in linea con la fede, ma non con la carne. Ognuno di noi potrebbe tranquillamente generare, in trent’anni di piena virilità, qualche centinaio di bambini, e godere di questo fatto. Brigham Young (credo) era un uomo felice e pieno di salute. E’ un mondo corrotto, il nostro, e non c’è armonia tra i nostri corpi, la nostra mente e l’anima.
Tuttavia, la caratteristica di un mondo corrotto è che il meglio non si può ottenere attraverso il puro godimento, o quella che è chiamata la realizzazione di sé (che di solito è un modo elegante per definire l’autoindulgenza, nemica della realizzazione degli altri); ma attraverso la rinuncia, la sofferenza. La fede nel matrimonio cristiano implica questo: grande mortificazione. Per un cristiano non c’è alternativa. Il matrimonio può aiutarlo a santificare e a dirigere verso un giusto obiettivo i suoi impulsi sessuali; la sua grazia può aiutarlo nella battaglia; ma la battaglia resta. Il matrimonio non lo potrà soddisfare – come un affamato può essere soddisfatto da pasti regolari. Presenterà tante difficoltà per mantenere la purezza che si addice a quello stato e altrettante soddisfazioni. Nessun uomo che si sia sposato giovane, per quanto sinceramente innamorato di sua moglie, le è mai stato fedele per tutta la vita con la mente e con il corpo senza un deliberato e consapevole uso della sua volontà o senza negazione di sé. Queste cose non vengono quasi mai dette – nemmeno a quelle persone cresciute nella fede della Chiesa. Quelle che vivono al di fuori sembra che non ne abbiano mai sentito parlare. Quando l’innamoramento è passato o quando si è un po’ spento, pensano di aver fatto un errore e di dover ancora trovare la vera anima gemella. Per vera anima gemella troppo spesso si scambia la prima persona sessualmente attraente che si incontra. Qualcuno che forse davvero avrebbero fatto meglio a sposare, se solo… Da qui il divorzio, per risolvere quel «se solo». E naturalmente di solito hanno ragione: avevano fatto un errore. Solo un uomo molto saggio, arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare! Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non siano che i Suoi strumenti o la Sua manifestazione). E’ risaputo che in realtà i matrimoni felici sono più comuni dove la scelta del partner è più limitata, dall’ autorità dei genitori o della famiglia, finché esiste un’ etica sociale di responsabilità e fedeltà coniugale. Ma anche nei paesi dove la tradizione romantica ha tanto influenzato le consuetudini sociali da far credere alla gente che la scelta di un compagno riguardi esclusivamente il giovane, solo un raro colpo di fortuna fa sì che si incontrino un uomo e una donna «destinati» l’uno all’altra e in grado di interessare un grande e splendido amore. Questa possibilità ci incanta, ci prende alla gola: moltissime poesie e moltissimi racconti sono stati scritti su questo argomento, probabilmente più numerosi che le storie d’amore reali (e tuttavia le migliori di queste storie non parlano del matrimonio felice di questi grandi amanti, ma della loro tragica separazione; come se persino nella dimensione del racconto la grandezza e lo splendore, in questo mondo corrotto, si raggiungano attraverso il fallimento e la sofferenza). In questi grandi amori, spesso amori a prima vista, cogliamo la visione, suppongo, di quello che sarebbe stato il matrimonio in un mondo incorrotto. In questo mondo corrotto abbiamo come unica guida la prudenza e la saggezza (rare nella gioventù e inutili nella ma­turità), un cuore puro e forza di volontà. […]
La mia stessa storia è così fuori dal comune, così sbagliata e imprudente che mi riesce difficile consigliarti di essere cauto. Tuttavia, le eccezioni possono giustificare la norma; e i casi fuori dal comune non sono sempre buoni esempi per gli altri. Per quel che vale, ecco un po’ di autobiografia – sottolineando in questa occasione i punti dell’età e della situazione economica.
Mi sono innamorato di tua madre quando avevo circa diciotto anni. Profondamente, come si è dimostrato – anche se naturalmente difetti di carattere e di temperamento hanno fatto sì che spesso io sia sceso al di sotto dell’ideale che mi ero proposto. Tua madre era più vecchia di me e non era cattolica. Inoltre, purtroppo, avevo un tutore. E da un certo punto di vista questa fu una sfortuna; in un certo senso fu male per me. Queste cose assorbono molto e quasi ti esauriscono. Io ero un ragazzo intelligente alle prese con lo studio per una (indispensabile) borsa di studio per Oxford. La tensione combinata quasi mi portò sull’orlo di un brutto crollo nervoso. Feci fiasco agli esami e anche se (come anni dopo mi disse il mio preside) avrei potuto ottenere una buona borsa di studio, strappai con i denti una borsa di studio di 60 sterline per Exeter: quel tanto che bastava, insieme ad una borsa di studio della stessa cifra dalla scuola che lasciavo, per farcela (assistito dal mio caro vecchio tutore). Naturalmente, c’era un vantaggio, non considerato dal mio tutore. Ero intelligente, ma non diligente, né avevo una mentalità ristretta; il mio fallimento era dovuto in larga misura allo scarso studio (dei classici), ma non perché ero innamorato, bensì perché stavo studiando altre cose: il gotico e altro ancora. Avendo ricevuto un’ educazione romantica, presi seriamente quella che era una cosa da ragazzi e ne feci fonte di ispirazione e motivo del mio comportamento. Pur essendo un codardo fisicamente, nel giro di due stagioni, da timido coniglio disprezzato in una squadra di casa, passai a vestire i colori della squadra della scuola. L’amore mi fece fare tutto questo tipo di cose. Tuttavia, nacquero delle difficoltà: e io dovetti scegliere tra disobbedire e addolorare (o ingannare) un tutore che per me era stato come un padre, più di un padre vero, pur senza esserci stato obbligato, o lasciare cadere quella relazione finché non avessi compiuto i ventun anni. Non mi pento della mia decisione, anche se fu molto dura per la mia innamorata. Ma non era colpa mia. Lei era perfettamente libera e non aveva nessun obbligo nei miei confronti e io non avrei potuto recriminare (tranne che in base ad un irreale codice cavalleresco) se lei avesse sposato qualcun altro. Per quasi tre anni non vidi né scrissi al mio amore. Fu molto duro, doloroso e amaro, specialmente all’inizio. Le conseguenze non furono del tutto buone: caddi a capofitto nella pazzia e nella negligenza e sciupai molto tempo nel mio primo anno al College. Ma penso che niente avrebbe giustificato un matrimonio basato su un amore giovanile; e probabilmente nient’altro avrebbe potuto rafforzare abbastanza la volontà così da dare a questo amore (per quanto sincero e autentico) continuità. Nella notte del mio ventunesimo compleanno scrissi di nuovo a tua madre – il 3 gennaio 1913. L’8 gennaio andai da lei e ci fidanzammo, informando la sua esterrefatta famiglia. Mi rimboccai le maniche e lavorai molto (troppo tardi per salvare dal disastro la lode nel primo esame di baccellierato in lettere classiche), e poi l’anno successivo scoppiò la guerra, quando avevo ancora un anno da fare al College. In quei giorni i ragazzi si arruolavano e quelli che non lo facevano venivano biasimati pubblicamente. Era un brutto momento, specialmente per un giovane con troppa immaginazione e poco coraggio fisico. Niente laurea; niente soldi; fidanzato. Resistetti alla vergogna e alle allusioni sempre più esplicite dei miei parenti, passai le notti a studiare e superai con onore gli esami finali nel 1915. Mi precipitai ad arruolarmi: luglio 1915. Trovai insopportabile la situazione e mi sposai il 22 marzo del 1916. A maggio attraversavo la Manica (ho ancora i versi che scrissi per l’occasione) diretto alla carneficina della Somme.
Pensa a tua madre! Eppure neanche per un attimo adesso penso che abbia fatto più di quanto sarebbe stato lecito chiederle – non che questo le tolga merito. Io ero un giovanotto, con una laurea abbastanza buona, e portato a scrivere versi, con qualche sterlina, sempre meno, all’ anno (20-40), e nessuna prospettiva, secondo tenente a 7/6 al giorno in fanteria, dove le probabilità di sopravvivenza erano pochissime (come subalterno). Lei mi sposò nel 1916 e John nacque nel 1917 (la gravidanza iniziò e venne portata avanti durante l’anno della grande fame, il 1917, e della grande campagna degli U-Boat) proprio nel periodo della battaglia di Cambrai, quando la fine della guerra sembrava tanto lontana quanto sembra adesso. Io vendetti, e spesi per il mio bambino appena nato, le ultime scarse quote del Sudafrica, «il mio patrimonio ».
Al di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. […] Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera.
Tratto da: John R. R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani 2001.

SHARE THIS STORY

martedì 14 luglio 2015

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY
(5-13 LUGLIO 2015)

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SOCIETÀ CIVILE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Stadio León Condou della scuola San José, Asunción (Paraguay)
Sabato, 11 luglio 2015

[Multimedia]



Buon pomeriggio!

Io ho scritto questo testo in base alle domande che mi sono arrivate e che non sono tutte quelle che avete fatto voi, e così quello che manca lo completerò mentre parlo. In modo che, per quanto possibile, riesca a dare il mio pensiero sulle vostre riflessioni.

Sono contento di trovarmi con voi, rappresentanti della società civile, per condividere i sogni e gli ideali di un futuro migliore, e i problemi. Ringrazio Mons. Adalberto Martínez Flores, Segretario della Conferenza Episcopale del Paraguay, per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome di tutti. E ringrazio le sei persone che hanno parlato, presentando ciascuna un aspetto della vostra riflessione.

Vedervi tutti, ciascuno proveniente da un settore, da un’organizzazione di questa amata società paraguaiana, con le sue gioie, preoccupazioni, lotte e ricerche, mi porta a compiere un rendimento di grazie a Dio. Ossia, sembra che il Paraguay non sia morto, grazie a Dio. Perché un popolo che non mantiene vive le sue preoccupazioni, un popolo che vive nell’inerzia dell’accettazione passiva, è un popolo morto. Al contrario, vedo in voi la linfa di una vita che scorre e che vuole germinare. Questo sempre Dio lo benedice. Dio è sempre a favore di tutto ciò che aiuta a sollevare, a migliorare la vita dei suoi figli. Ci sono cose che vanno male, sì. Ci sono situazioni ingiuste, sì. Ma vedervi e sentirvi mi aiuta a rinnovare la speranza nel Signore, che continua ad agire in mezzo al suo popolo. Voi venite da diverse visioni, diverse situazioni e vari percorsi di ricerca, tutti insieme formate la cultura paraguaiana. Tutti siete necessari nella ricerca del bene comune. «Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate» (Enc. Laudato si’, 158), vedervi qui è un dono. E’ un dono perché nelle persone che hanno parlato ho visto la volontà per il bene della patria.

1. In riferimento alla prima domanda, mi è piaciuto sentire dalla bocca di un giovane la preoccupazione di far sì che la società sia un luogo di fraternità, di giustizia, di pace e dignità per tutti. La giovinezza è tempo di grandi ideali. A me viene spesso da dire che mi rattrista vedere un giovane pensionato. Quanto è importante che voi giovani – ed eccome se ci sono giovani qui in Paraguay! –che voi giovani comprendiate che la vera felicità passa attraverso la lotta per un Paese fraterno. Ed è bene che voi giovani notiate che la felicità e il piacere non sono sinonimi. Una cosa è la felicità e la gioia… e altra cosa è un piacere passeggero. La felicità costruisce, è solida, edifica. La felicità richiede impegno e dedizione. Voi siete molto preziosi per camminare nella vita come “anestetizzati”! Il Paraguay ha un’abbondante popolazione giovane ed è una grande ricchezza. Per questo motivo, penso che la prima cosa da fare è evitare che questa forza, questa luce che c’è nei vostri cuori si spenga, e contrastare la crescente mentalità che considera inutile e assurdo aspirare a cose che valgono la pena: “No… lascia perdere… su questo non c’è niente da fare…”. Invece, la mentalità che cerca di andare oltre è considerata come assurda. Giocarsela per qualcosa, giocarsela per qualcuno. Questa è la vocazione della gioventù! E non abbiate paura di dare tutto in campo. Giocate pulito, giocate mettendocela tutta. Non abbiate paura di dare il meglio di voi. Non cercate gli accordi previ per evitare la fatica, la lotta. Non corrompete l’arbitro!

Questo sì, questa lotta, non fatela da soli. Cercate di discutere, approfittate per ascoltare la vita, le storie, i racconti delle persone anziane e dei vostri nonni, perché lì c’è sapienza. Perdete molto tempo ad ascoltare tutte le cose buone che hanno da insegnarvi. Essi sono i custodi di quel patrimonio spirituale di fede e di valori che plasmano un popolo e rischiarano la strada. Trovate consolazione anche nella forza della preghiera, in Gesù. Nella sua presenza quotidiana e costante. Lui non delude. Gesù invita attraverso la memoria del vostro popolo, è il segreto perché il vostro cuore si mantenga sempre gioioso nella ricerca della fraternità, della giustizia, della pace e della dignità per tutti. Perché questo può essere un pericolo: “Sì, sì, io voglio fraternità, giustizia, pace, dignità…”, però può diventare un nominalismo. Semplici parole. No. La fraternità, la giustizia, la pace, la dignità o sono concrete o non servono. Sono di tutti i giorni. Si fanno tutti i giorni. Dunque, io chiedo a te, giovane: come questi ideali li costruisci giorno per giorno, nel concreto? Anche se sbagli, ti correggi e vai avanti; ma la concretezza. Vi confesso che a volte mi dà un po’ fastidio, o per dirlo in termini non così fini, un po’ il “cimurro”, ascoltare discorsi magniloquenti con tutte queste parole e quando uno conosce la persona che parla dice: Che bugiardo che sei! Per questo le parole da sole non servono. Se dici una parola, impegnati per quella parola! Lavoraci giorno per giorno, giorno per giorno. Sacrificati per quello. Impegnati!

Mi è piaciuta la poesia di Carlos Miguel Giménez, che Mons. Adalberto Martínez ha citato. Penso che riassuma bene quello che volevo dirvi: «[Sogno] un paradiso senza guerra tra fratelli, ricco di uomini sani di anima e cuore... e un Dio che benedice la sua nuova ascensione». Sì, è un sogno. E ci sono due garanzie: che il sogno al risveglio sia realtà di tutti i giorni, e che Dio sia riconosciuto come la garanzia della nostra dignità come uomini. Sì, Dio è la garanzia della nostra dignità di uomini.

2. La seconda domanda si riferiva al dialogo come mezzo per costruire un progetto di nazione che includa tutti. Il dialogo non è facile. C’è anche il dialogo-teatro, cioè rappresentiamo il dialogo, giochiamo al dialogo, e poi parliamo tra noi due, e quello rimane cancellato. Il dialogo è a carte scoperte. Se tu nel dialogo non dici realmente ciò che senti, ciò che pensi, e non ti impegni ad ascoltare l’altro e a correggere quello che pensi tu e a confrontarti, il dialogo non serve, è una verniciatura. Certo, è vero, che il dialogo non è facile, bisogna superare molte difficoltà e, a volte, sembra che noi ci impuntiamo a rendere le cose ancora più difficili. Perché ci sia dialogo è necessaria una base fondamentale, un’identità. Certo. Per esempio, io penso al dialogo nostro, il dialogo interreligioso, dove parliamo tra rappresentanti di diverse religioni. Ci riuniamo, a volte, per parlare… con i punti di vista, ma ciascuno parla a partire dalla propria identità. “Io sono buddista, io sono evangelico, io sono ortodosso, io sono cattolico”. Ciascuno si esprime, con la propria identità. Non negozia la propria identità. Vale a dire, perché ci sia dialogo è necessaria questa base fondamentale. E qual è l’identità in un Paese? Qui siamo parlando del dialogo sociale. L’amore per la patria? Prima la patria, poi i miei affari! Prima la patria. Questa è l’identità. Dunque io, a partire da questa identità, mi metto a dialogare. Se io mi metto a dialogare senza questa identità, il dialogo non serve. Inoltre, il dialogo presuppone, esige da noi la ricerca della cultura dell’incontro. Un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona, è necessaria. L’uniformità ci annulla, ci rende automi, La ricchezza della vita sta nella diversità. Per cui il punto di partenza non può essere: “Mi metto a dialogare, però quello sbaglia”. No, no, non possiamo presupporre che l’altro sbaglia. Io vado con il mio e ascolterò che cosa dice l’altro, in che cosa mi arricchisce l’altro, in che cosa l’altro mi fa rendere conto che sto sbagliando, e che cosa posso dare io all’altro. E’ un dare e ricevere, dare e ricevere, ma con il cuore aperto. Se c’è il presupposto che l’altro si sbaglia, è meglio andare a casa e non iniziare il dialogo. Non è così? Il dialogo è per il bene comune, e il bene comune si cerca a partire dalle nostre differenze, dando sempre la possibilità a nuove alternative. Vale a dire: cerca qualcosa di nuovo. Sempre, quando c’è vero dialogo, si finisce – permettetemi la parola, lo dico nobilmente – in un nuovo accordo, dove tutti ci siamo messi d’accordo su qualcosa. Ci sono differenze? Rimangono in disparte, di riserva. Ma su quel punto, o su quei punti su cui ci siamo messi d’accordo, ci impegniamo e li difendiamo. E’ un passo avanti. Questa è la cultura dell’incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta”. Vediamo come prendo la mia. Non, no, non dialoghi, non perder tempo. Se vai con questa intenzione non perdere tempo. E’ cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare a una soluzione migliore per tutti. Molte volte questa cultura dell’incontro si vede coinvolta nel conflitto. Cioè… Abbiamo appena visto un bel balletto. Tutto era coordinato, con un’orchestra che era una vera sinfonia di accordi. Tutto era perfetto. Tutto andava bene. Ma nel dialogo non sempre è così, non tutto è un balletto perfetto o un’orchestra sintonizzata. Nel dialogo si dà il conflitto. È logico e prevedibile. Perché se io penso in un modo e tu in un altro, e ci confrontiamo, si viene a creare un conflitto. Non dobbiamo temerlo! Non dobbiamo ignorare il conflitto. Al contrario, siamo invitati ad accettare il conflitto. Se non accettiamo il conflitto – “No, mi viene il mal di testo! Che lui vada a casa con la sua idea, e io rimango con la mia” – non possiamo mai dialogare. Questo significa: «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 227). Ci mettiamo a dialogare, c’è un conflitto, lo accetto, lo risolvo ed è un anello di un nuovo processo. E’ un principio che ci deve aiutare molto. «L’unità è superiore al conflitto» (ibid. 228). Il conflitto esiste. Bisogna accettarlo, bisogna cercare di risolverlo fin dove si può, ma con la prospettiva di raggiungere un’unità che non è uniformità, ma unità nella diversità. Un’unità che non rompe le differenze, ma che le vive in comunione attraverso la solidarietà e la comprensione. Cercando di capire le ragioni dell’altro, cercando di ascoltare la sua esperienza, i suoi desideri, possiamo vedere che in gran parte sono aspirazioni comuni. E questa è la base dell’incontro: siamo tutti fratelli, figli dello stesso Padre, di un Padre celeste, e ciascuno con la propria cultura, la propria lingua, le proprie tradizioni, ha molto da offrire alla comunità. Ora, sono disposto ad accettare questo? Se sono disposto ad accettarlo, e a dialogare così, allora mi siedo a dialogare; se non sono disposto, meglio non perdere tempo. Le autentiche culture non sono mai chiuse in sé stesse – muoiono, se si chiudono in sé stesse muoiono – ma sono chiamate ad incontrarsi con altre culture e creare nuove realtà. Quando studiamo la storia troviamo culture millenarie che adesso non ci sono più. Sono morte, per molte ragioni. Ma una di queste è l’essersi chiuse in sé stesse. Senza questo presupposto essenziale, senza questa base di fraternità sarà molto difficile giungere al dialogo. Se qualcuno considera che ci sono persone, culture, situazioni di seconda, terza o quarta categoria... qualcosa di sicuro andrà male, perché manca semplicemente il minimo, che è il riconoscimento della dignità dell’altro. Che non ci sono persone di prima, di seconda, di terza, di quarta categoria: sono allo stesso livello.

3. E questo mi dà lo spunto per rispondere all’inquietudine espressa nella terza domanda: accogliere il grido dei poveri per costruire una società più inclusiva. E’ curioso: l’egoista si esclude. Noi vogliamo includere. Ricordate la parabola del figlio prodigo: quel figlio che domandò l’eredità al padre, si prese tutti i soldi, li sprecò nella bella vita, e alla fine di un lungo tempo in cui aveva perso tutto, poiché aveva mal di stomaco per la fame, si ricordò di suo padre. E suo padre lo aspettava. E’ la figura di Dio, che ci aspetta sempre. E quando lo vede venire, lo abbraccia e fa festa. Invece, l’altro figlio, quello che era rimasto a casa, si arrabbia e si autoesclude: “Io con questa gente non mi metto, io mi sono comportato bene… Io ho una gran cultura, ho studiato nella tale università, appartengo a questa famiglia e a questa stirpe, e con questi non mi mischio…”. Non escludere nessuno, ma non autoescludersi, perché tutti abbiamo bisogno di tutti.

E un aspetto fondamentale per promuovere i poveri è anche nel modo in cui li vediamo. Non serve uno sguardo ideologico, che finisce per utilizzar e i poveri al servizio di altri interessi politici o personali (cfr ibid., 199). Le ideologie finiscono male, non servono. Le ideologie hanno una relazione o incompleta o malata o cattiva con il popolo. Le ideologie non si fanno carico del popolo. Per questo, osservate nel secolo passato, che fine hanno fatto le ideologie? Sono diventate dittature, sempre. Pensano per il popolo, non lasciano pensare il popolo. O come diceva quell’acuto critico dell’ideologia, quando gli dissero: “Sì, però questa gente ha buona volontà e cerca di fare delle cose per il popolo…”. “Sì, sì, tutto per il popolo, ma niente con il popolo!”. Queste sono le ideologie.

Per ricercare effettivamente il bene dei poveri, la prima cosa è avere una vera preoccupazione per la loro persona, apprezzarli per la loro bontà. Ma un reale apprezzamento richiede di essere disposti a imparare dai poveri. I poveri hanno molto da insegnarci in umanità, in bontà, in sacrificio, in solidarietà. E noi cristiani abbiamo inoltre un motivo in più per amare e servire i poveri: perché in loro abbiamo il volto, vediamo il volto e la carne di Cristo, che si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9).

I poveri sono la carne di Cristo. A me piace chiedere a qualcuno, quando confesso le persone – adesso non ho molte opportunità di confessare come avevo nella diocesi precedente – ma mi piace domandare: “Lei aiuta la gente?! – “Sì, sì, faccio l’elemosina” – “Ah! E, mi dica, quando fa l’elemosina, Lei tocca la mano a chi fa l’elemosina, o getta la moneta e fa così?”. Sono modi di fare. “Quando Lei fa quell’elemosina, guarda negli occhi la persona o guarda da un’altra parte?”. Questo è disprezzare il povero. Sono i poveri. Pensiamoci bene. E’ uno come me. Se sta passando un brutto momento per mille ragioni – economiche, politiche, sociali o personali –, io potrei essere al suo posto e potrei stare desiderando che qualcuno mi aiuti. E oltre a desiderare che qualcuno mi aiuti, se mi trovo in quel posto ho diritto ad essere rispettato. Rispettare il povero. Non usarlo come oggetto per lavare le nostre colpe. Imparare dai poveri, con quello che dicono, con le cose che hanno, con i valori che hanno. E noi cristiani abbiamo quel motivo: che sono la carne di Gesù.

Certamente, sono molto necessarie per un Paese la crescita economica e la creazione di ricchezza, e che questa arrivi a tutti i cittadini, senza che nessuno rimanga escluso. E questo è necessario. La creazione di questa ricchezza dev’essere sempre in funzione del bene comune, di tutti, e non di quello di pochi. E in questo bisogna essere molto chiari. «L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Le persone la cui vocazione è di aiutare lo sviluppo economico hanno il compito di assicurare che questo abbia sempre un volto umano. Lo sviluppo economico deve avere un volto umano. No all’economia senza volto! Nelle loro mani c’è la possibilità di offrire un lavoro a molte persone e dare così speranza a tante famiglie. Portare il pane a casa, offrire ai figli un tetto, offrire salute e educazione, sono aspetti essenziali della dignità umana, e gli imprenditori, i politici, gli economisti, devono lasciarsi interpellare da essi. Vi chiedo di non cedere ad un modello economico idolatrico che abbia bisogno di sacrificare vite umane sull’altare del denaro e del profitto. Nell’economia, nell’azienda, nella politica, la prima cosa è sempre la persona, e l’ambiente in cui vive.

Giustamente il Paraguay è noto in tutto il mondo per essere stato la terra dove iniziarono le “Riduzioni”, una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione sociale della storia. In esse, il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’era fame, non c’era disoccupazione, né analfabetismo né oppressione. Questa esperienza storica ci insegna che una società più umana è possibile anche oggi. Voi l’avete vissuta nelle vostre radici qui. E’ possibile. Quando c'è amore per l’uomo, e volontà di servirlo, è possibile creare le condizioni affinché tutti abbiano accesso a beni necessari, senza che nessuno sia escluso. Cercare in ogni caso le soluzioni con il dialogo.

Sulla quarta domanda, ho risposto parlando dell’economia tutta in funzione della persona e non in funzione del denaro. La signora, l’imprenditrice, parlava della poca validità di certe strade. E ne menzionava una che io avevo menzionato nella Evangelii gaudium, che è il populismo irresponsabile, non è così? E sembra che non producano effetti… E ci sono tante teorie… Come fare? Credo che in ciò che dico sull’economia dal volto umano si possa trovare l’ispirazione per rispondere a questa domanda.

Sulla quinta domanda, credo che la risposta si trova intorno a ciò che ho detto quando ho parlato delle culture. Ossia, c’è una cultura illuministica, che è una cultura ed è buona e va rispettata, certo. Oggi, ad esempio, in una parte del balletto è stata suonata una musica di una cultura illuministica e buona. Ma c’è un’altra cultura, che il medesimo valore, che è la cultura dei popoli, dei popoli originari, delle diverse etnie. Una cultura che oserei chiamare – ma nel senso buono – una cultura popolare. I popoli hanno la loro cultura e fanno la loro cultura. E’ importante questo lavoro per la cultura nel senso più ampio della parola. Non è cultura solamente aver studiato o poter godere di un concerto, o leggere un libro interessante, ma cultura è anche mille cose. Parlavate del tessuto di Ñandutí, per esempio: quello è cultura. Ed è cultura nata dal popolo. Per fare un esempio.

Ci sono due cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c’è anche il Presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: “Senta, il tale si trova sequestrato dall’esercito, faccia qualcosa!”. Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso, alle quali mi riferivo poco fa, era allontanare la gente, o con l’esilio o con la prigione, o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte… Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi… non ho sentito bene il nome.

E poi c’è un’altra cosa che pure per onestà voglio dire: un metodo che non dà libertà alle persone per assumere responsabilmente il loro compito di costruzione della società, ed è il ricatto. Il ricatto è sempre corruzione. “Se tu fai questo, ti facciamo questo, e così ti distruggiamo”. La corruzione è la tarma, è la cancrena di un popolo. Per esempio, nessun politico può svolgere il suo ruolo, il suo lavoro, se è ricattato da atteggiamenti di corruzione: “Dammi questo, dammi questo potere, dammi questo, se no ti faccio questo  e quello…”. Questo, che succede in tutti i popoli del mondo – perché questo succede – se un popolo vuole mantenere la propria dignità, deve eliminarlo. Sto parlando di un problema universale.

E concludo. Per me è una grande gioia vedere la quantità e la varietà delle associazioni che sono impegnate nella costruzione di un Paraguay sempre migliore e prospero, ma se non dialogate, non serve a nulla. Se praticate il ricatto, non serve a nulla. Questa moltitudine di gruppi e di persone sono come una sinfonia, ognuno con la sua peculiarità e la propria ricchezza, ma cercando l’armonia finale, l’armonia, e questo è ciò che conta. E non abbiate paura del conflitto, ma accettatelo e cercate vie di soluzione.

Amate la vostra patria, i vostri concittadini, e soprattutto amate i più poveri. Così sarete davanti al mondo una testimonianza che un altro modello di sviluppo è possibile. Sono convinto, per la vostra storia, che avete la più grande forza che esiste: la vostra umanità, la vostra fede, il vostro amore. Questo carattere del popolo paraguaiano che lo distingue in modo così ricco tra le nazioni del mondo.

Chiedo alla Vergine di Caacupé, nostra Madre, che abbia cura di voi, vi protegga e vi sostenga nei vostri sforzi. Che Dio vi benedica e pregate per me. Grazie!

[Dopo il canto]

Un consiglio, come congedo, prima della benedizione: il peggio che può capitare ad ognuno di voi quando uscite da qui è pensare: “Che buono quello che ha detto il Papa a tizio, caio, a quell’altro…”. Se qualcuno di voi ritiene di pensare così – perché il pensiero viene spesso, anche a me a volte viene, ma bisogna scacciarlo -, dica: “Il Papa a chi ha detto questo?” “A me”. Ciascuno, chiunque sia: “A me”.

E vi invito a pregare il nostro Padre comune, tutti insieme, ciascuno nella propria lingua:

Padre nostro…

venerdì 10 luglio 2015

PENSIERI DEL SANTO CURATO D'ARS

PENSIERI DEL SANTO CURATO D'ARS
***
 Quanto è grande il sacerdote!
Se egli si comprendesse, morirebbe...
Dio gli obbedisce: dice due parole e Nostro Signore scende dal cielo"

"Se avessimo fede, vedremmo Dio nascosto nel sacerdote
come una luce dietro il vetro, come il vino mescolato all'acqua"

"Quando il sacerdote è all'altare o sul pulpito, dobbiamo guardarlo come se fosse Dio stesso"

Santo Curato d'Ars
Figli miei, noi ci rendiamo conto di quanto potere possa avere un'anima pura sul buon Dio: ella ottiene da Lui tutto ciò che vuole.

 Santo Curato d'Ars
L'umiltà disarma la giustizia di Dio. Santo Curato d'Ars
I santi conoscevano se stessi meglio di quanto conoscessero gli altri: ecco perché erano umili. Santo Curato d'Ars
Si può essere santi da fare miracoli ma, se non si ha la carità, non si andrà in paradiso. Santo Curato d'Ars
Un'anima pura è con Dio come un bambino con la mamma: la accarezza, la bacia e sua madre gli restituisce le carezze e gli abbracci. Santo Curato d'Ars
Cent'anni senza prete e la gente finirà per adorare gli animali. Santo Curato d'Ars
Davanti ad una preghiera ben fatta i dispiaceri si sciolgono come neve al sole. Santo Curato d'Ars
ATTO DI AMORE

di S. Giovanni M. Vianney - Curato D'Ars

Ti amo, mio Dio, e il mio desiderio
é di amarti fino all’ultimo respiro della mia vita.

Ti amo, o Dio infinitamente amabile,
e preferisco morire amandoti,
piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.

Ti amo, Signore, e l’unica grazia che ti chiedo
è di amarti eternamente.

Ti amo, mio Dio, e desidero il cielo,
soltanto per avere la felicità di amarti perfettamente.

Mio Dio, se la mia lingua non può dire ad ogni istante: ti amo,
voglio che il mio cuore te lo ripeta ogni volta che respiro.

Ti amo, mio divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me,
e mi tieni quaggiù crocifisso con te.

Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti
e sapendo che ti amo.

• “Un’anima pura è animata dalle Tre Persone della SS. ma Trinità”: Il Padre contempla
le sue opere: “ecco dunque le mie creature”; Il Figlio, il prezzo del suo sangue “si
conosce la bellezza di un oggetto dal prezzo che ci è costato; lo Spirito Santo vi
abita come in un tempio”.

• “Non si può capire il potere che un’anima pura ha sul Buon Dio, ma Dio che fa la sua.

• “La nostra lingua dovrebbe essere usata solo per pregare e il nostro cuore solo per
amare”.

• “La preghiera è onnipotente presso Dio”.

• “Se capissimo quanto è dolce camminare sempre alla presenza di Dio, sentirci sotto il
suo sguardo, lasciarci condurre dalla sua mano, penseremmo sempre a Lui, non
potremmo fare altrimenti, sarebbe la nostra più grande gioia”

• “Un cristiano che avesse fede morirebbe d’amore”

• “Quelli che non hanno nessuna sofferenza da sopportare, sono come acque che
imputridiscono. Ma quelli che sopportano le sofferenze, sono come le acque che
scorrono veloci e sono ancora più limpide quando passano sulle rocce e cadono in
cascata”.

• “Le preghiere gradite al Buon Dio sono quelle che sgorgano dal profondo del cuore, con
grande rispetto e vero desiderio di piacere a Dio”.

• Le prove ci portano ai piedi della Croce e la Croce ci fa entrare in Cielo”.

• “L’anima che smette di pregare muore di fame”.

“La preghiera è il grido dell’angelo, il peccato è il grido della bestia”.

• “L’immagine di Dio si riflette in un’anima pura come il sole nell’acqua”.

• “La porta del Cielo è chiusa all’odio, alla cattiveria, al risentimento”

• “Quelli che serbano rancore sono infelici e isolati: ha la fronte corrugata, il cuore in
subbuglio, degli occhi che sembrano divorare tutto”

• “Il segno distintivo degli eletti è l’amore, come il segno dei dannati è l’odio”

• “La collera annienta la pace e distrugge la serenità delle famiglie. Semina a piene mani
divisione, inimicizie, odi”


• “Oh, figli miei, com’è triste! Tre quarti dei cristiani lavorano solo per soddisfare questo
cadavere (il corpo) che presto marcirà sotto terra (intenti solo al piacere del corpo).
Mancano di spirito e di buon senso!”

• “L’uomo creato per amare Dio, per possedere Dio, non lo ama e ha altrove i suoi affetti”

• “Colui che non prega si priva di ciò che è indispensabile per vivere”


• “Se all’inferno si potesse pregare, l’inferno non esisterebbe più”

“Non c’è niente che offenda il Buon Dio come la mancanza di fiducia nella sua
misericordia”


• E’ il nostro orgoglio che ci impedisce di diventare santi”.

• “Frugate continuamente nella coscienza degli altri – intromettendovi nelle loro vicende –
e trascurate di coltivare la vostra coscienza”

L’amor proprio è la patologia spirituale più pericolosa, che porta alla perdizione un gran
numero di anime; quel cercare sempre la stima di se stessi, il compiacimento degli altri
per quello che facciamo: quanto è dannoso per le nostre anime!”


• “Cristiani che sanno solo accusare gli altri, che non sopportano niente, sempre pronti a
rispondere a qualsiasi piccolo fraintendimento o disattenzione con parole aspre e
pungenti, sono cristiani solo di facciata, dentro sono vuoti di amore per il Signore e per il
prossimo”

• “L’invidioso vuole sempre salire, prevalere nell’imporre i suoi gusti, avere il
sopravvento sugli altri, il santo, al contrario, vuole sempre scendere, accetta e sopporta
tutto tacendo e perdonando”. “Così l’invidioso, il permaloso, il puntiglioso scende
sempre più nelle miserie, il santo, invece, sale sempre più verso la santità di Dio”.

• “Non c’è che Dio che conosce la gravità del peccato”

• “L’anima si trascina nel peccato come uno straccio trascinato nel fango. Nel peccato la nostra anima è rognosa, marcia. Fa pena. Noi commettiamo i peccati come si beve un bicchiere d’acqua, senza timori, né rimorsi.
Affondiamo in questo fango, vi marciamo come talpe, per mesi, per anni! Il peccato oscura la fede nelle anime come la nebbia spesso oscura il sole ai nostri occhi: vediamo che è giorno, ma non possiamo distinguere il sole. Una persona che è nel peccato è sempre triste. Anche se all’esterno ostenta allegria e felicità. E’ tutta una finzione, una sceneggiata. Non c’è niente che la possa appagare in    profondità. Questi poveri peccatori saranno dunque sempre infelici, in questo mondo e nell’altro”


• “Maria caccia il demonio che tiene in potere una persona per impedirle la conversione”
• “Rivolgiamoci a Maria con grande fiducia, e siamo sicuri che, per quanto siamo
miserabili, lei otterrà la grazia della nostra conversione”


• “La Santissima Vergine sta tra suo Figlio e noi. Quanto più siamo peccatori, tanto più
Ella sente tenerezza e compassione per noi”

• “Maria è così buona che non smette di mandare uno sguardo di compassione al
peccatore. Aspetta sempre che egli la invochi”


• “Se il peccatore invoca questa buona Madre, essa lo fa in qualche modo entrare dalla
finestra”



• “ Nel cuore della SS.ma Vergine, non c’è che misericordia”
“La preghiera è dolce amicizia con Dio, una familiarità stupefacente…”
“La mia tentazione è la disperazione”. La sua unione a Dio è nutrita dall’Eucaristia celebrata ed adorata, è veramente là che Dio viene a colmarlo.

Dio e l’anima sono come due pezzi di ceri fusi insieme.
" Nostro Signore è sulla terra come una madre che porta il sua bambino in braccio.
Questo bambino è cattivo, dà calci alla madre, la morde, la graffia, ma la madre non ci fa nessun caso; ella sa che se lo molla, il bambino cade, non può camminare da solo. Ecco come è nostro Signore; Egli sopporta tutti i nostri maltrattamenti, sopporta tutte le nostre arroganze, ci perdona tutte le nostre sciocchezze, ha pietà di noi malgrado noi "
.
L’uomo è creato per amore e non può vivere senza amore.
"Le vostre colpe sono come un granello di sabbia rispetto alla grande montagna della misericordia di Dio" (S. Curato d'Ars)
Una persona orgogliosa crede che tutto quello che fa è fatto bene; ha sempre ragione; crede che il suo parere sia migliore di quello degli altri. (S. Curato d'Ars)
Non cercate di piacere a tutti, non cercate di piacere ad alcuno. Cercate piuttosto di piacere a Dio.(S. Curato d'Ars)
... Figli miei, se ci rendessimo conto del valore della santa Comunione, eviteremmo le più piccole colpe per avere la fortuna di farla più spesso.Conserveremmo la nostra anima sempre pura agli occhi di Dio..." (S. Curato d'Ars)
"Davanti ad una preghiera ben fatta i dispiaceri si sciolgono come neve al sole". (S. Curato d'Ars)
Mio Dio, se la mia lingua non può dire ad ogni istante: ti amo, voglio che il mio cuore te lo ripeta ogni volta che respiro. (S. Curato d'Ars)
Non sono né le lunghe né le belle preghiere che il buon Dio guarda, ma quelle che si fanno dal profondo del cuore, con un grande rispetto ed un vero desiderio di piacere a Dio. (S. Curato d'Ars)
Molti sono i cristiani, figli miei, che non sanno assolutamente perché sono al mondo… “Mio Dio, perché mi hai messo al mondo?”. “Per salvarti”. “E perché vuoi salvarmi?”. “Perché ti amo”.

(Pensieri del S. Curato d’Ars)
MEDITAZIONI
Dio contempla con amore un'anima pura, le concede tutto quello che essa chiede. E come potrebbe resistere ad un'anima che vive soltanto per Lui, per mezzo di Lui e in Lui? Essa lo cerca e Dio si mostra a lei; Lo chiama e Dio viene; è tutt'uno con Lui. Essa incatena la sua volontà.
Non si può capire il potere che un'anima pura ha sul buon Dio. Non è lei che fa la volontà di Dio, è Dio che fa la sua.
Un'anima pura ? come una bella perla. Finché è nascosta in una conchiglia in fondo al mare, nessuno pensa ad ammirarla, ma se la mostrate al sole, essa risplende e attira gli sguardi: cosí è dell'anima pura, nascosta adesso agli occhi del mondo, risplenderà un giorno dinanzi agli angeli, nel sole dell'eternità.
Quanto piú i giusti sono nell'innocenza, tanto piú riconoscono la loro povera miseria e praticano l'umiltà senza la quale non si può andare in cielo.
L'umiltà è come la catena del rosario; se la catena si rompe, i granelli se ne vanno; se cessa l'umiltà, tutte le virtú spariscono.
L'umiltà è come una bilancia: quanto piú ci si abbassa da un lato, tanto piú si è innalzati dall'altro.
Fu chiesto ad un santo qual era la prima virtú: «È l'umiltà», rispose - E la seconda? - «L'umiltà» - E la terza? - «L'umiltà».
L'umiltà disarma la giustizia di Dio.
Un'anima pura súscita l'ammirazione delle tre Persone della Santissima Trinità. Il Padre contempla la sua opera: «Ecco dunque la mia creatura…». Il Figlio, il prezzo del suo Sangue: si conosce la bellezza di un oggetto dal prezzo che è costato … Lo Spirito Santo vi abita come in un tempio.
Quanto piú ci si rende poveri per l'amore di Dio, tanto piú si è ricchi in realtà!
Non tutti coloro che si avvicinano [ai Sacramenti] sono santi, però i santi saranno sempre scelti tra coloro che li ricevono spesso.
I santi sono come tanti piccoli specchi nei quali Gesú Cristo si contempla.
Nei suoi apostoli [Gesú] contempla il suo zelo e il suo amore per la salvezza delle anime; nei martiri, contempla la sua pazienza, le sue sofferenze e la sua morte dolorosa; nei solitari, egli vede la sua vita oscura e nascosta; nelle vergini, ammira la sua purezza senza macchia, e in tutti i santi, la sua carità senza limiti, di modo che, ammirando le virtú dei santi, non facciamo altro che ammirare le virtú di Gesú Cristo.
Sí, con una preghiera fatta bene, possiamo comandare al cielo e alla terra; tutto ci obbedirà.
Se siete nell'impossibilità di pregare, nascondetevi dietro al vostro angelo, e incaricatelo di pregare al posto vostro.
Non dovremmo perdere la presenza di Dio, piú di quanto non perdiamo la respirazione.
La preghiera è per la nostra anima ciò che la pioggia è per la terra. Concimate una terra quanto volete, se manca la pioggia, tutto quello che farete non servirà a nulla.
Non c'è bisogno di pregare tanto per pregare bene. Si sa che il buon Dio è lí, nel santo Tabernacolo; gli si apre il cuore, ci si compiace della sua presenza. Questa è la migliore preghiera.
Quando prego, mi figuro Gesú mentre prega il Padre suo.
Il buon Dio ama essere importunato.
Bisogna pregare molto semplicemente e dire: Mio Dio, ecco un'anima ben povera che non ha niente, che non può nulla, fammi la grazia di amarti, di servirti e di conoscere che non so nulla.
Il buon Dio non ha bisogno di noi: se ci comanda di pregare, è perché Egli vuole la nostra felicità, e perché la nostra felicità può trovarsi soltanto là.
Quando siamo dinanzi al Santo Sacramento, invece di guardare attorno a noi, chiudiamo i nostri occhi e la nostra bocca, apriamo il nostro cuore, il buon Dio aprirà il suo, andremo a Lui, Egli verrà a noi, l'uno per chiedere e l'altro per ricevere; sarà come un soffio dall'uno all'altro.
Venite alla comunione, venite a Gesú, venite a vivere di Lui, al fine di vivere per Lui.
Tutti gli esseri della creazione hanno bisogno di nutrirsi per vivere; per questo il buon Dio ha fatto crescere gli alberi e le piante; è una bella tavola ben servita dove tutti gli animali vengono a prendere ognuno il cibo che gli conviene. Ma anche l'anima deve nutrirsi… Quando Dio volle dare un nutrimento alla nostra anima, per sostenerla nel pellegrinaggio della vita, Egli pose il suo sguardo sulla creazione e non trovò nulla che fosse degna di lei. Allora si ripiegò su sé stesso e decise di dare sé stesso… O anima mia, quanto sei grande, dal momento che soltanto Dio può appagarti.
«Tutto quello che chiederete al Padre nel nome mio, Egli ve lo concederà». Mai avremmo pensato di chiedere a Dio il suo proprio Figlio. Ma ciò che l'uomo non può dire o concepire, e che non avrebbe mai osato desiderare, Dio, nel suo amore, l'ha detto, l'ha concepito e l'ha adempiuto.

 .

mercoledì 8 luglio 2015

Cosa accomuna Einstein e padre Lemaitre?

Cosa accomuna Einstein e padre Lemaitre?

Quando il "Padre della relatività" si avvicinò gradualmente alle posizioni del sacerdote belga

***

Einstein Lemaitre Big Bang Creazione Genesi relatività incontri foto © Wikipedia





Metti il più noto scienziato e il sacerdote che per primo ha intuito l’espansione delle galassie ed il Big bang. Cosa hanno in comune Albert Einstein e padre George Eduard Lemaître? Lo spiega il giornalista e scrittore Francesco Agnoli, in Creazione ed evoluzione. Dalla geologia alla cosmologia. Stenone, Wallace e Lemaître (Cantagalli, 2015).
SI PIACCIONO E SI AMMIRANO
Quanto al più grande e autorevole dei fisici, Albert Einstein, il suo rapporto con Lemaître è complicato. I due, umanamente, si piacciono e si ammirano, ma inizialmente Einstein è un personaggio affermato e ascoltato, Lemaître quasi solo un suo sincero ammiratore. Che cerca di convincere con pochi risultati. 

IDEA ABOMINEVOLE
Agnoli ripercorre gli incontri che ci sono stati tra i due. Il primo avviene nel 1927: a Bruxelles, al V Congresso Solvay di Fisica, Lemaître espone al grande fisico tedesco l’idea dell’espansione dell’Universo. Ma Einstein crede, con Spinoza, in un Universo eterno e statico, “materia senza movimento”, e non approva affatto. Anzi, l’idea gli appare «abominevole».

A CONFRONTO SUL COSMO
Il secondo incontro si svolge a Pasadena, in California, nel 1932. Qui Einstein non ha più davanti a sé un giovane e sconosciuto scienziato, ma un uomo affermato, di cui parlano tutti i giornali del mondo. «I due passeggiavano per ore e ore, chiacchierando animatamente sotto gli sguardi curiosi di professori e studenti; il “Los Angeles Times” li descrisse con “espressioni serie sui volti, a suggerire che stessero discutendo dello stato attuale delle faccende cosmiche”. In realtà parlavano anche di altre cose che stavano accadendo in quei primi mesi del 1933, a cominciare dall’ascesa al potere in Germania di Adolf Hitler». 

SOMIGLIANZE CON LA GENESI
Fatto sta che questa volta Einstein ammette l’espansione dell’Universo, negata in precedenza, ma «preferisce non discutere dell’ipotesi dell’atomo primitivo, perché sospetta che a questo proposito il prete belga non sia scientificamente obiettivo». Einstein arriva  a dire all’amico: «Questa faccenda somiglia troppo alla Genesi, si vede bene che siete un prete».

EINSTEIN CONTRO L'ATOMO PRIMITIVO
L’avversione di Einstein verso l’“atomo primitivo”, sottolinea Agnoli, ha, in parte, un’origine filosofica. Einstein, in questa fase della sua vita, è un ammiratore del filosofo ebreo Baruch de Spinoza, che nel XVII secolo aveva negato il carattere trascendente di Dio come Creatore, identificando Dio e Natura (il Deus sive natura, di cui aveva già parlato Giordano Bruno). Per Spinoza l’Universo è la totalità della realtà esistente, una «sostanza unica, perfetta, infinita e necessariamente esistente»; è nel contempo «sostanza pensante» e «sostanza estesa», «sostanza corporea» infinita ed eterna. 









"NO" A IDEE TROPPO BIBLICHE
A Einstein sembra che un Universo che nasce, dando origine al tempo, da un piccolo atomo originario, da un puntino di materia, sia difficilmente compatibile con un Universo necessario, eterno nel tempo e infinito nello spazio, e appaia piuttosto come qualcosa di creato, di contingente e finito (ovvero simile alla concezione biblica, da Spinoza contraddetta). Concetto negato assolutamente da Spinoza, il quale sosteneva che «non si dà nulla di contingente», essendo Dio e Natura coincidenti. A questi incontri tra Einstein e Lemaître seguono poi vari scambi epistolari.

APPLAUSI PER LA CREAZIONE
Il terzo incontro, d’interesse scientifico, sottolinea Agnoli, è del 1933. Lemaître spiega la sua ipotesi in presenza di Einstein, presso l’Osservatorio del monte Wilson in California. Alla fine dell’esposizione, Einstein si alza, applaude con convinzione ed «esclama che si tratta della più soddisfacente spiegazione della creazione che abbia mai sentito». I successivi incontri tra i due grandi scienziati saranno legati alle vicissitudini storiche. Con l’ascesa del nazismo, Einstein rinuncia alla cittadinanza tedesca. Il prete belga, per aiutarlo, organizza a Bruxelles, «con il sostegno della fondazione Franqui, una serie di conferenze scientifiche animate dal padre della relatività».

LA RELATIVITA' Di LEMAITRE
A sua volta Einstein ricambierà stima umana e scientifica, sostenendo la candidatura del sacerdote belga all’importante premio Franqui, conferito effettivamente a Lemaître nel 1934. Si deve notare, come ultima curiosità, un fatto: Lemaître è stato sin dal principio uno dei più accesi sostenitori della relatività di Einstein, in un momento in cui essa appariva oscura e incomprensibile per moltissimi. Tanto più che, sebbene Einstein non lo abbia compreso, proprio la relatività ha avuto un ruolo nelle intuizioni del belga. Ebbene, per ironia della sorte, mentre Einstein, come si è visto, respinge in un primo tempo le idee del collega, anche perché, per lui, troppo bibliche, contemporaneamente in Unione Sovietica sono le idee di Einstein a essere condannate per lo stesso motivo. 

COSI' L'URSS BACCHETTAVA EINSTEIN
Infatti in Unione Sovietica, «Stalin aveva fissato nel 1938, con lo scritto Il materialismo dialettico e il materialismo storico, le linee guida per la ricerca scientifica nel suo Paese. Ad Einstein in Urss veniva rimproverato il fatto che la sua teoria “generava un universo assurdo con un’origine ben definita, troppo simile al punto di vista religioso” che il pensiero sovietico era tanto smanioso di “estirpare dalla società”.

"STRANIERO IN UNA SOCIETA' DECADENTE"
Non aiutava certo il fatto che uno dei principali diffusori delle teorie di Einstein fosse un sacerdote, il già menzionato Georges Lemaître, uno “straniero corrotto appartenente a una società borghese decadente e agonizzante”». Quando Lemaître proporrà, oltre all’espansione dell’Universo, il modello del Big Bang, la condanna sovietica nei suoi confronti, come si è visto, diventerà ancora più radicale.
 

domenica 5 luglio 2015

La mediocrità dell’Europa di oggi, spiegata da Albert Camus nel 1955


La mediocrità dell’Europa di oggi, spiegata da Albert Camus nel 1955

***

Lo scrittore analizza un continente «borghese e individualista che pensa al proprio frigorifero». Le frontiere? «Esistono solo per i doganieri»
Se, invece, consideriamo che la nostra civiltà si costruisce intorno alla nozione di essere umano, questo punto di vista ci porta a una risposta completamente opposta. Perché probabilmente, e sottolineo probabilmente, è difficile trovare un'epoca in cui la quantità di persone emarginate sia elevata come oggi. Non direi tuttavia che questa nostra epoca sia particolarmente sdegnosa nei confronti dell'essere umano. Non c'è dubbio infatti che l'azione della coscienza collettiva e, in particolare, della coscienza dei diritti dell'uomo si sia estesa sempre di più negli ultimi secoli. È solo, però, che due guerre mondiali l'hanno un po' calpestata, e che quindi ora io credo che dobbiamo rispondere che sì, che da questo punto di vista la nostra civiltà è minacciata, e lo è nella misura in cui l'essere umano, che eravamo riusciti a mettere al centro della nostra riflessione, ora è umiliato un po' dovunque .

«La ragion tecnica, se messa al centro dell'Universo e considerata come il fattore più importante di una civiltà, finisce per provocare una sorta di perversione»
Quello che forse potremmo chiederci è se la riuscita della civiltà occidentale nel suo versante scientifico non sia anche in parte responsabile del suo contemporaneo scacco morale. Detto in altro modo: chiedersi se la fede assoluta, e in qualche modo cieca, nel potere della ragione razionalista, (diciamo la ragione cartesiana, per semplificare le cose, visto che è questa che è al centro del sapere contemporaneo), non sia in qualche modo responsabile del restringersi della sensibilità umana , una sensibilità che ha potuto, attraverso tappe che sarebbe lungo spiegare, portare poco a poco a questa degradazione dell'universo individuale. Il mondo della tecnica, di per sé, non è cattivo , e sono assolutamente contrario a tutti coloro che vorrebbero un ritorno alla civiltà dell'aratro. Ma la ragion tecnica, se messa al centro dell'Universo e considerata come il fattore più importante di una civiltà, finisce per provocare una sorta di perversione , sia nelle idee che nei costumi, che rischia di portarci allo scacco.

«La civiltà europea è prima di tutto una civiltà pluralista, è il luogo della diversità dei pensieri, delle opposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica»
La civiltà europea è prima di tutto una civiltà pluralista. E con questo intendo che è il luogo della diversità dei pensieri, delle opposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica infinita. La dialettica europea è quella che non approda a una sorta di ideologia che sia totalitaria, né ortodossa. Questo pluralismo che è sempre stato alla base della nozione europea di libertà, mi sembra l'apporto più grande della nostra civiltà. È questo che è effettivamente in pericolo oggi, ed è per preservarlo che bisogna assolutamente lottare. Il famoso detto, credo di Voltaire, che recitava «non la penso come voi, ma mi farei uccidere pur di difendere il vostro diritto di esprimere il vostro pensiero», è evidentemente uno dei grandi detti della civiltà europea. Non c'è dubbio che, sul piano della libertà intellettuale, questo principio sia sotto attacco e che, a parer mio, debba essere difeso.

«Le ideologie nelle quali viviamo immersi hanno cento anni di ritardo sulla storia. E questo ritardo è dovuto al fatto che sono portare ad accettare molto male le innovazioni»
Dal VI al XVIII secolo la popolazione europea non ha mai superato i 180 milioni di abitanti. Dal 1800 al 1914, invece, nel giro di appena un secolo e poco più, siamo passati da 180 milioni di abitanti a 460. L'avvento della massa è eclatante in questi numeri. Accompagnato dalla accelerazione della Storia, questo avvento ci ha portato in una situazione che supera nettamente le strutture intellettuali e razionali che ne hanno permesso l'esistenza. Oggi, il nostro problema è prima di tutto l'adattamento delle nostre intelligenze alle nuove realtà che ci fornisce il mondo. Le ideologie nelle quali viviamo immersi sono delle ideologie che hanno cento anni di ritardo sulla storia. E questo ritardo è dovuto al fatto che sono portare ad accettare molto male le innovazioni. Non c'è niente di più sicuro della propria verità che un'ideologia scaduta.
La “misura” non è nient'altro, per noi intellettuali, che la diabolica moderazione dei borghesi. Ma in realtà non lo è per niente. La misura non è il rifiuto della contraddizione, come non ne è la soluzione. La misura, nell'ellenismo, se non mi sbaglio, si è sempre basata sul riconoscimento della contraddizione e sulla decisione di non cambiare atteggiamento, qualsiasi cosa accada. Una formula di questo genere non è soltanto una formula razionale, umanista e amabile. Essa sottintende in realtà un eroismo. Essa ha delle possibilità di fornirci non tanto una soluzione, perché non è questo che ci attendiamo, ma un metodo per affrontare lo studio dei problemi che ci si pongono e per dirigerci verso un futuro sostenibile.

«L'Europa borghese ha messo la vita a un livello così basso che non ha alcuna chance di prolungare la propria storia: vegeta, e nessuna società può vegetare per molto tempo»
Proviamo ad applicare questo metodo all'Europa contemporanea. C'è un'Europa borghese e individualista, è quella che pensa al proprio frigorifero, ai propri ristoranti gastronomici, quella che dice «io non voto». È l'Europa borghese, e non sembra voler sopravvivere. Senza dubbio dice il contrario, ma ha messo la vita a un livello così basso che non ha alcuna chance di prolungare la propria storia, vegeta, e nessuna società può vegetare per molto tempo . Ma non vedo nulla in tutto ciò che rimandi alla visione classica della misura. Vedo solo un nichilismo individualista, quello che consiste soltanto nel dire: «noi non vogliamo ne del romanticismo né degli eccessi, noi non vogliamo vivere ai confini, alle frontiere, noi non vogliamo conoscere lo strazio». Ma se voi non volete vivere alle frontiere, né conoscere lo strazio, voi non vivrete e anche la vostra società non vivrà. La grande lezione, e lo dico perché mi oppongo formalmente all'ideologia delle democrazie popolari, la grande lezione che ci viene dall'Est, è esattamente il senso della partecipazione a uno sforzo comune, e non c'è alcuna ragione per la quale noi dovremmo rifiutare questo esempio.

«I diritti dell'uomo sono un valore che dobbiamo assolutamente difendere, ma ciò non significa che dobbiamo negare l'esistenza dei doveri»
Da questo punto di vista, io non approvo in alcun modo l'Europa borghese. Ma voglio far mia, al contrario, una posizione che è questa che segue: «noi conosciamo l'estremo, noi l'abbiamo vissuto, noi lo rivivremo quando sarà necessario e possiamo dire di averlo vissuto perché abbiamo attraversato dei momenti che ci hanno permesso di conoscerlo». C'è stato un grande movimento di solidarietà nazionale francese, e ce n'è uno di solidarietà nazionale greca, e sono basati sulla sofferenza. Ma questa solidarietà noi la possiamo ritrovare sempre, non soltanto nei momenti di sofferenza. Se noi riflettessimo abbastanza sulla nostra esperienza sono sicuro che comprenderemmo meglio questa nozione di misura concepita come la conciliazione delle contraddizioni e, in modo particolare nel settore sociale e politico, come la conciliazioni dei diritti e dei doveri dell'individuo. La posizione dell'Europa borghese, infatti, arriva a rivendicare soltanto i diritti dell'uomo. I diritti dell'uomo sono un valore che dobbiamo assolutamente difendere, ma ciò non significa che dobbiamo negare l'esistenza dei doveri. E viceversa. I doveri dell'uomo di cui ci si vanta all'Est non sono dei doveri che noi accetteremo se significano la negazione di tutto ciò che costituisce il diritto dell'uomo ad essere ciò che è.

«La tendenza all'equilibrio deve essere uno sforzo e un coraggio permanente. La società che saprà avere questo coraggio è la vera società del futuro»
La misura è sempre qualcosa che che si trova tra due estremi e lotta contro questi due estremi; è per questo che sono d'accordo con voi nello stimare che il principio classico della misura implica la nozione di lotta continua, di una lotta creatrice di ogni individuo per trovare il suo equilibrio tra tutte le forze che lo circondano ed è certamente su questo concetto che potremo basare la soluzione occidentale della crisi. […] La tendenza all'equilibrio deve essere uno sforzo e un coraggio permanente. La società che saprà avere questo coraggio è la vera società del futuro. Una società di questo tipo, d'altronde, si incomincia a veder nascere in tante parti del mondo ed è proprio per questo che non riesco a dirmi pessimista. La speranza c'è. Ci è stata data dall'ellenismo che l'ha definita per la prima volta e che ce ne ha fornito gli esempi più vividi attraverso i secoli. Noi, oggi, possiamo sperare che questi semi daranno i loro frutti ancora una volta e ci aiuteranno a trovare la soluzione ai nostri problemi.

«L'Europa ha bisogno di respirare, di trovar sollievo, ha bisogno di idee che non siano provinciali come invece sono, oggi, tutte le nostre idee»
Anch'io, come voi, sono convinto che in questo momento l'Europa sia costretta da una miriade di lacci che non le permettono di respirare. In un momento come questo, in cui Atene è a 6 ore da Parigi, in cui andiamo a Roma in 3 ore, in cui le frontiere esistono soltanto per i doganieri e chi è sottoposto alla loro giurisdizione, eppure viviamo in uno stato feudale. L'Europa, che ha concepito tutte le ideologie che oggi dominano il mondo e che oggi se le vede ritornare contro, incarnate come sono in paesi più grandi e industrialmente più potenti, questa Europa che ha avuto il potere e la capacità di concepire queste ideologie ora può avere il potere e la capacità di inventarsi le nozioni che ci permetteranno di gestire o di equilibrare queste ideologie. Insomma, l'Europa ha bisogno di respirare, di trovar sollievo, ha bisogno di idee che non siano provinciali come invece sono, oggi, tutte le nostre idee. Le idee parigine sono delle idee provinciali; le idee ateniesi lo sono ugualmente, ed è in questo senso che stiamo vivendo la più grande difficoltà, perché non riusciamo a mischiare abbastanza tra loro le nostre idee per fare sì che si fecondino vicendevolmente i valori erranti, che ora sono isolati nei nostri rispettivi paesi. Ebbene, io credo che sia questo l'ideale al quale tutti noi dobbiamo tendere, che noi dobbiamo difendere, per il quale noi dobbiamo fare tutto ciò che ci è possibile, perché questo ideale noi non lo raggiungeremo tutto d'un colpo.

«La parola «sovranità» è da tempo immemore che mette i bastoni tra tutte le ruote della storia internazionale. E continuerà a farlo»
Prima avete pronunciato una parola decisiva, è la parola «sovranità». Questa parola, «sovranità», è da tempo immemore che mette i bastoni tra tutte le ruote della storia internazionale. E continuerà a farlo. Le ferite della guerra appena conclusa sono troppo fresche perché possiamo sperare che delle collettività nazionali facciano questo sforzo di cui sarebbero capaci soltanto degli individui superiori e che consiste nel dominare i propri risentimenti. Noi ci troviamo psicologicamente davanti a degli ostacoli che rendono questa realizzazione difficile. Detto questo, io la penso come voi, dobbiamo lottare per arrivare a superare questi ostacoli e fare l'Europa, un'Europa in cui Parigi, Roma, Atene e Berlino siano i centri nervosi di un “impero di mezzo” che in qualche modo possa giocare un ruolo nella storia di domani .

«Dobbiamo fare l'Europa, un'Europa in cui Parigi, Roma, Atene e Berlino siano i centri nervosi di un “impero di mezzo” che in qualche modo possa giocare un ruolo nella storia di domani»
Schematizzando un po' grossolanamente le cose, direi che oggi l'Occidente pretende di fare passare la libertà davanti alla giustizia, mentre l'Oriente invece pretende di far passare la giustizia davanti alla libertà . Non è questo il momento di capire se la libertà regni nell'Occidente e se la giustizia regni in Oriente, ci basterà registrare le pulsioni delle due società. È anche possibile che la giustizia, brandendo la bomba atomica e la libertà, brandendone un'altra, si distruggeranno a vicenda su un confine che è facilmente prevedibile. In questo caso, confesso di non avere abbastanza immaginazione per sapere cosa potrebbe mai seguire a una terza guerra mondiale atomica. E da parte mia considero come dei criminali quei capi di Stato che lasciano credere ai loro popoli che si possa immaginare un futuro dopo una guerra del genere.Tuttavia, si una tale guerra atomica, un tale suicidio non avrà luogo, noi ci troveremo sempre davanti alle due statue della libertà e della giustizia che si affronteranno testa a testa. Io credo che in questo momento il rapporto di forza sia in equilibrio, l'abbondanza di popolazione a Oriente è compensata, a Occidente, da un perfezione sempre più spinta della tecnica . Quindi credo che la storia, a cui tanta gente dà fiducia, alla fine confermerà questa fiducia e che, alla fine, giocheranno un ruolo importante proprio il valore della misura e della contraddizione. Perché questo valore si inscrive nella natura umana, e nella stessa natura della storia. Ci arriveremo, come ci sono già arrivate un certo numero di intelligenze europee: sapere che la libertà ha un limite, e che la giustizia anche ha un limite, che il limite della libertà si trova nella giustizia, ovvero nell'esistenza dell'altro e nel riconoscimento dell'altro, come il limite della giustizia si trova nella libertà, ovvero nel diritto di ogni persona ad esistere per quella che è all'interno di una collettività.

«C'è un'enorme differenza tra un abitante di Perpignan e uno di Roubaix. Ma ciò non ha impedito agli abitanti di Roubaix e di Perpignan di eleggere un governo comune»
L'armonia è una cosa eccellente, ma sfortunatamente non è sempre possibile. Possiamo dire, per esempio, che il matrimonio è un'istituzione eccellente, ma a condizione che i due interessati siano entrambi d'accordo. Ma succede anche che non lo siano e che il matrimonio diventi, in questi casi, una catastrofe Se noi dunque contiamo sulla sola buona volontà dei popoli europei, che certamente è necessaria per avanzare, dobbiamo sapere che questa non sarà sufficiente. Servono delle istituzioni. La vostra obiezione all'esistenza di queste istituzioni, che sarebbero ovviamente delle istituzioni comuni, è che la differenza di costumi e di modi di vivere dei popoli europei le renderebbero impossibili. Io non sono d'accordo, e vi porto l'esempio della Francia. Un marsigliese è certamente più simile a un napoletano che un abitante di Brest. C'è un'enorme differenza tra un abitante di Perpignan e uno di Roubaix. Ma ciò non ha impedito agli abitanti di Roubaix e di Perpignan di eleggere un governo comune, che sia questo un buon governo o uno cattivo.
Io credo che la scoperta dell'irrazionalità da parte della scienza contemporanea sia un progresso. Lo è perché se la scienza contemporanea arrivasse a dimostrare il determinismo totale, quello che gli corrisponderebbe, dal punto di vista delle strutture della di potere della nostra civiltà, sarebbe una forma di totalitarismo. […] Per quanto riguarda il razionalismo cartesiano, di cui ho parlato prima, esso fa parte della nostra civiltà. Ma io credo che proprio a causa dell'interpretazione che ne abbiamo fatto, della nozione dell'individuo che ci abbiamo costruito sopra, questo razionalismo cartesiano sia alla base di una certa degenerazione della società occidentale. Intendiamoci, non si tratta di una critica a Cartesio in se stesso. I filosofi restano delle grandi personalità e dei grandi uomini, ma quello che prendiamo da loro non è la parte migliore, è sempre la peggiore.

«Una delle debolezze della civiltà occidentale, in ogni caso, è proprio la costituzione di un individuo separato dalla comunità, dell'individuo considerato come il Tutto»
Una delle debolezze della civiltà occidentale, in ogni caso, è proprio la costituzione di un individuo separato dalla comunità, dell'individuo considerato come il Tutto. Per riassumere quello che ho già detto prima, forse un po' malamente, credo che la società occidentale stia oggi morendo per un eccessivo individualismo, mentre quella orientale non sia neppure ancora nata a causa del contrario, ovvero di un eccessivo collettivismo. Il mondo progredirà nella misura in cui noi saremo capaci di riportare il nostro individualismo verso una nozione più chiara dei doveri verso la comunità e, parallelamente, se il collettivismo orientale vedrà sorgere al proprio interno i primi fermenti della libertà individuale .

«La libertà senza limiti è quella che esercitano i tiranni: Hitler era un uomo relativamente libero, ma era il solo ad esserlo in tutto il suo impero»
La libertà in cui credo è una libertà limitata. Perché la libertà senza limiti è il contrario della libertà. La libertà senza limiti è quella che esercitano i tiranni: Hitler era un uomo relativamente libero, ma era il solo ad esserlo in tutto il suo impero. Se vogliamo esercitare una reale libertà, questa non si può esercitare soltanto nell'interesse dell'individuo che la esercita. La libertà ha avuto sempre come limite la libertà degli altri. Perché una libertà che comportasse soltanto doveri non sarebbe una vera libertà, sarebbe un'onnipotenza, una tirannide. Mentre una libertà che ha sia diritti che doveri è una libertà che ha un contenuto e in cui possiamo vivere. Il resto, ovvero una libertà che non ha limiti, non può sopravvivere, o, al limite, sopravvive grazie alla morte degli altri. La libertà limitata è l'unica che permette di vivere sia coloro che la esercitano sia coloro verso la quale è esercitata.
CAMUS