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domenica 30 aprile 2017

L'amore

                                                                   L'amore

Un giorno un uomo si recò da un vecchio saggio per chiedergli consiglio. Disse che non amava più la sua sposa e che pensava di separarsi da lei.
Il saggio lo ascoltò, lo guardò negli occhi, e disse solamente una parola: "Amala" e tacque.
"Ma io non provo più nulla per lei".
"Amala", ripeté il saggio.
Di fronte allo sconcerto del visitatore, dopo un opportuno silenzio, il vecchio saggio aggiunse:
"Amare è una decisione, non solo un sentimento, amare è dedicarsi ed offrirsi, amare è un verbo e il frutto di questa azione è l'amore. L'amore è simile al lavoro di un giardiniere: egli strappa ciò che fa male, prepara il terreno, coltiva, innaffia e cura con pazienza. Affronta periodi di siccità, grandine, temporale, alluvione, ma non abbandona mai il suo giardino. Ama la tua compagna, accettala, valorizzala, rispettala, dalle affetto e tenerezza, ammirala e comprendila.
Questo è tutto; amala".

La vita senza amore potrebbe avere queste conseguenze:
L'intelligenza senza amore ti renderebbe insensibile.
La giustizia senza amore ti renderebbe ipocrita.
Il successo senza amore ti renderebbe arrogante.
La ricchezza senza amore ti renderebbe avaro.
La docilità senza amore ti renderebbe servile.
La bellezza senza amore ti renderebbe superbo.
L'autorità senza amore ti renderebbe tiranno.
Il lavoro senza amore ti renderebbe schiavo.
La preghiera senza amore ti renderebbe arido.
La fede senza amore ti renderebbe fanatico.
La croce senza amore si convertirebbe in tortura.
La vita senza amore non avrebbe alcun senso.
Nella vita l'amore è tutto

La semplicità

La semplicità  (di Alda Merini)
***

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, 
in forza appunto.

Io amo la semplicità che si accompagna con l'umiltà.
Mi piacciono i barboni.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l'anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c'è verità, lì c'è dolcezza, lì c'è sensibilità, lì c'è ancora amore.

sabato 29 aprile 2017

Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo

Non vi è niente di più bello che essere raggiunti,
 sorpresi dal Vangelo, da Cristo
***
 Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo. Benedetto XVI

giovedì 27 aprile 2017

Padre Romano Zago






Padre Romano Zago

Padre Zago
Padre Romano Zago è un frate Francescano del Brasile, divenuto famoso in tutto il mondo, per aver scoperto e divulgato una ricetta naturale “miracolosa” per guarire dal cancro. Di cosa si tratta?
Nulla di particolare, un semplicissimo frullato preparato con un po’ di miele, qualche cucchiaio di grappa e le foglie di una particolare pianta che cresce spontanea tra le foreste tropicali e le zone costiere del Brasile e di gran parte delle zone a clima caldo-temperato del Mondo. Sto parlando dell’Aloe Arborescens.
Il frate è un convinto sostenitore delle proprietà miracolose di questo preparato capace, secondo la sua testimonianza, di guarire dal cancro anche in fase avanzata e senza alcuna controindicazione.
Ma di preciso, chi è Padre Romano Zago?

Biografia

chi è padre romano zago?Padre Romano Zago è nato li 11/04/1932 a Lajeado, in Brasile. E’ un sacerdote di origine italiane, che fa parte dell’ordine dei frati Francescani. A soli 11 anni entra nel seminario Serafico “San Francesco” di Taquari dove porta a termine gli studi, diventando novizio nel 1952.
Padre Romano Zago studia filosofia a Daltro Filho e Teologia a Divinipolis, in Mato Grosso, dove viene poi ordinato sacerdote nell’ordine dei Frati Minori.
Successivamente viene nominato professore presso il seminario di Taquari e nel 1971 si laurea in lettereed inizia a insegnare lingue (Francese, Spagnolo, Portoghese e Latino) nelle varie case del suo ordine. Nel 1991 Padre Romano Zago si trasferisce in Israele, dove prosegue nell’insegnamento ai giovani.
Attualmente lavora e vive in Brasile, paese d’origine dov’è tornato al termine della sua missione in Terrasanta.

La scoperta di Padre Romano Zago

Nel suo libro “Di Cancro si può Guarire” il frate brasiliano racconta di aver fatto un importante scoperta, una scoperta capace di guarire dal cancro. Si tratta di un semplice frullato a base di tre 3 composti naturali: foglie di Aloe Arborescens, miele biologico e grappa.
Tutto qui.
In realtà, ci tiene a precisare che non è suo il merito della scoperta. Altri prima di lui avevano già ideato e utilizzato con successo questo preparato.
Il merito del frate è esclusivamente quello di aver divulgato questa ricetta in tutto il mondo, attraverso passaparola e soprattutto scrivendo e pubblicando il suo libro “Di cancro si può guarire”, dove oltre a illustrare con precisione il giusto metodo per la preparazione del frullato, riporta testimonianze di malati di tumore, guariti grazie al frullato a base di Aloe Arborescens, miele e grappa.
fiore di aloe arborescens
Aloe Arborescens in fiore
Una di queste testimonianze, che è anche quella dove Padre Romano Zago testa per la prima volta l’efficacia del preparato, è del sig. Giovanni Mariani, affetto da cancro alla prostata in stato avanzato e a cui i medici avevano dato una settimana di vita. Il frate racconta nel suo libro come, dopo poche settimane, il malato si sia ripreso completamente dalla sua malattia, tornado alla sua vita quotidiana più in salute che mai.
Il frate brasiliano ebbe poi altre occasioni per provare il frullato a base di Aloe, con ottimi risultati. Molte di queste si presentarono quando fu trasferito in Israele. Anche li Padre Romano Zago continuò la sua opera di divulgazione del preparando, curando numerosi pazienti affetti da cancro. In questi anni la ricerca di Padre Zago suscitò molto scalpore e venne anche pubblicata sulla rivista “Terra Santa” e su alcune riviste specializzate.
Rientrato in Brasile nel 1995, frate Zago continò a divulgare la sua ricetta a base di Aloe Arborescens, miele e grappa, cominciando a dedicarsi con maggiore costanza alla cura degli ammalati di cancro. Alla fine, convinto dal gran numero di guarigioni “miracolose”, decide di raccogliere la sua scoperta e la sua testimonianza nel libro “O cancer tem cura” (“Di cancro si può guarire”), con lo scopo di condividere con tutto il Mondo la sua ricetta.

Chi è il vero ideatore della ricettà a base di Aloe?

Nessuno lo sa, nemmeno Padre Romano Zago.
Quello che il frate sa è che questa ricetta esiste da anni nella baraccopoli povera di Rio Grande. Un preparato in grado di guarire dal cancro e da molte altre malattie, per gente povera che non ha altro modo per curarsi, se non quello di attingere da ciò che la natura ha messo loro a disposizione.
Tramite un altro sacerdote Padre Romano Zago è venuto a conoscenza di questa ricetta “miracolosa”. Il frate in questione è Padre Arno Reckziegel, che l’anno prima aveva svolto servizio presso il villaggio di Noivado-Mar. Stabilmente a contatto con i malati aveva assistito di persona a incredibili guarigioni, anche di malati di cancro. Aveva così appreso della ricetta a base di foglie di Aloe Arborescens, miele e grappa, con cui questa gente si curava, senza far uso di medicinali, per loro troppo costosi.
E’ così che Padre Romano Zago viene a conoscenza della ricetta anti-cancro.
Da allora ebbe modo più e più volte di testare questo preparato, che con suo grande stupore ebbe quasi sempre successo, curando la maggior parte dei casi di tumore in cui si imbatté nei giorni e negli anni successivi

lunedì 24 aprile 2017

 COME CI RUBANO LA DIGNITA'
***
 
DA : Convegno -famiglia a grandezza naturale




La meravigliosa lettera di un’insegnante di sostegno.




La meravigliosa lettera di un’insegnante di sostegno.

 Ti lascerà senza parole.

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 Sono una mamma e una maestra di scuola primaria quest’anno sono stata nominata sul sostegno di una bimba grave, gravissima e …bellissima.
Bene: appena arrivo in classe la maestra prevalente mi avverte “Stai attenta alla madre che cercherà in tutti i modi di tirarti dentro alla sua sofferenza e poi è un po’ fissata con il fatto che la figlia può far tutto, capisce tutto ecc.” ed io …sto zitta.
Mi dice che dobbiamo andare a visitare un posto con la classe e che la mamma si è “fissata” col fatto che debba andarci anche la figlia… sto zitta ancora e intanto incrocio gli occhi della bimba che sono quelli della mia e dentro di me le parlo e le dico “stai tranquilla ti ci porto io” …lei sorride è bellissima…nessuna maestra però che ormai è con lei da tre anni mi dice quali siano le sue competenze o no, la diagnosi funzionale è troppo generica.

Usciamo e inizia la visita guidata. La bimba con la sedia a rotelle cerca di spingersi avanti per guardare i quadri, le tele, i dipinti ma la maestra di classe mi dice di tirarla indietro perchè leva il posto e la visuale a chi “capisce”…
Resisto e faccio come se non avessi sentito, la porto ovunque e le parlo e le spiego… la maestramiguarda di sbieco.
Torniamo in classe e mentre tutto il gruppo classe relaziona sull’uscita lei non ha un compito, un libro, niente… e io sono al mio primo giorno e non ho preparato niente.
Poco male mi organizzo, la coinvolgo e chiedo alla sua compagna di banco, una bimba carinissima, di farci sbirciare sul libro lei ci prova ma poi dice che non ha tempo deve lavorare con gli altri.
Merenda: da sola e gli altri in gruppo. Cambio pannolino da panico: i bidelli fanno a gara per non venire, ti cambio io amore, è un’ora che sei con la cacca. Parlo con la maestra dell’anno scorso che mi scarica addosso una serie di cattiverie sulla madre sulla famiglia e sul fatto che non si può lavorare con un handicap così grave.
Le chiedo se ha mai usato la CAA o la tecnologia e mi dice che loro del sostegno vengono da una laurea in scienze della formazione e che hanno sostenuto solo quattro esami troppo generici per poter sapere tutto…
RESISTO ANCORA.
Intanto sono completamente innamorata della mia bimba…in lei c’è la mia, la sofferenza della madre è la mia…Le risposte le ho da lei. Uno scricciolo accartocciato su se stesso che indica in modo corretto tutti i colori, le forme, le lettere, i numeri che risponde esattamente a tutte le mie domande con gridolini che capisco e interpreto bene.
Le ho dato mille baci e lei mi ha fatto mille carezze. Alla fine della giornata saluto e la maestra di classe mi dice “comunque sei molto portata ne avevamo bisogno”!

Mi giro e sulla porta dico “corro a casa c’è mia figlia completamente disabile che mi aspetta. GELO TOTALE.
Oggi sono arrivata con il mio Ipad e con l’aria di quella incavolata, loro, le maestre hanno cercato di recuperare ma io ho detto: “Sentite, io non sono la maestra di questa bimba, io sono una maestra di classe a supporto della classe, la bimba è di tutti, di tutta la classe quindi o si programma insieme o sono cavoli amari.
Se vedeste quello che vedo io in lei, se vedeste dentro questo corpo che non risponde una bimba come le altre desiderosa di scoprire di sapere di giocare di interagire allora questa classe sarebbe migliore, voi sareste delle persone migliori e il mondo sarebbe una favola.”
La mia bimba si è divertita un mondo con le applicazioni app…tutti i bimbi erano dietro di lei a cercare di capire cosa stesse usando… ho fatto un piccolo gruppo ricreativo e fuori dal suo banco ha potuto far merenda con altri bimbi… le ho portato un libro di favole e le ho detto in un orecchio di leggerlo quando non ci sono così non si sente sola. Ha diciotto ore e quando è senza di me…è sola a guardare il nulla.
Ora sono a casa e guardo mia figlia …e spero e prego che lei possa sopravvivere alle cattiverie e all’ignoranza della gente.
Una maestra e una mamma

domenica 23 aprile 2017

Il perdono della vedova copta sconvolge i musulmani

2-04-2017 Il perdono della vedova copta sconvolge i musulmani 
di Benedetta Frigerio
Martiri copti

Dodici secondi di silenzio sono quelli dove si è fatto spazio ad una presenza imponente come raramente accade in televisione. Dodici secondi che in una trasmissione tv ((QUI IL VIDEO)) paiono un’eternità ma nel senso letterale del termine. Perché è di questa natura, eterna, la sostanza dello squarcio di luce aperto dalla testimonianza di una cristiana copta intervistata da un’emittente araba che ha ammutolito il conduttore.

"VI PERDONO, CREDETEMI!" - In studio c’era Amr Adeeb, uno dei giornalisti musulmani più noti in Egitto, che ascoltava una sua collega inviata ad Alessandria mentre intervistava la moglie vedova Di Naseem Faheem, custode della cattedrale di Alessandria, in cui un attentato islamista ha ucciso i cristiani riuniti per celebrare la Messa la domenica delle Palme. Faheem aveva bloccato prima dell’entrata in Chiesa il kamikaze, che si era fatto quindi esplodere vicino a lui, riducendo così il numero delle vittime. La moglie intervistata sull’accaduto risponde letteralmente così: Non sono arrabbiata con chi ha compiuto questo gesto, voglio dirglielo: possa Dio perdonarti. Non sei nel giusto, figlio mio, credimi, non la pensi nel modo giusto. Credimi non sono arrabbiata. Lui ora non c’è più, è morto. E io chiedo a Dio di perdonarli e di aiutarli a ravvedersi. Pensateci! Pensateci! Credetemi, se ci pensassero capirebbero che non abbiamo fatto nulla di male a loro. Pensateci ancora, cosa state facendo, è giusto o sbagliato? Ripensateci ancora. Possa Dio perdonarvi e noi anche vi perdoniamo. Credetemi, vi perdono. Avete portato mio marito in un posto che non avrei mai potuto nemmeno sognare. Credetemi, sono orgogliosa di lui. E avrei voluto essere lì al suo fianco, credetemi, e ringrazio”.

LA STESSA ANSIA DI CRISTO - E’ così che di fronte a una donna che ha l’ansia del perdono e delle salvezza delle anime degli aguzzini del marito (la stessa ansia che aveva Cristo in croce) e che aspira alla stessa sorte, che Adeeb ha taciuto per dodici secondi. Dopodiché ha preso fiato e ha commentato di getto così: “I cristiani egiziani sono fatti d’acciaio!”. E ancora: “I cristiani egiziani da 100 anni sopportano atrocità e disastri, i cristiani egiziani amano profondamente questo paese. I cristiani egiziani sopportano di tutto per la salvezza di questa nazione”. Ma, soprattutto, ha esclamato il giornalista profondamente colpito: “Oh, ma quanto è grande la quantità di perdono che avete? Se i vostri nemici sapessero la quantità di perdono che avete per loro, non ci crederebbero”. Anche perché, ha ammesso il musulmano, “se fosse stato mio padre, non avrei mai potuto dirlo. Questa gente ha così tanto perdono…questa è la loro fede, la loro religione”. E, poi, quasi ammettendo che non può che esserci qualcosa di sovrannaturale Adeeb, come totalmente coinvolto dalle immagini viste e dalle parole sentite, continua: “Questa gente è fatta di una sostanza diversa! Possa Dio avere compassione di Naseem che è un eroe, un martire e un grande esempio per tutti noi, per tutti coloro che stanno seduti e criticano questo paese per come stanno andando le cose”. Infatti, constatando che questa è la vera forza del paese, ha sottolineato: “Il paese va avanti con la pazienza, con la perseveranza e la resistenza di questa grande donna e dei suoi figli, in cui vive ancora il loro padre, cresciuti per essere veri uomini!”. Anche uno dei figli a ridosso dell’attentato aveva ringraziato pubblicamente Dio per il dono di un padre martire, soprattutto per via della nascita imminente del figlio che avrebbe potuto ricevere così la testimonianza di fede di un nonno morto per Cristo.

COME I PRIMI MARTIRI - La potenza del martirio è esattamente identica a quella della crocifissione di Cristo e dei primi martiri morti con il sorriso sulla bocca e che 2000 anni fa convertì migliaia di persone. Non solo i nemici dei cristiani, non solo i musulmani oggi, ma ora persino i cattolici occidentali che, pur praticanti e convinti che esista il paradiso, sentono la coscienza della Chiesa copta come un richiamo poderoso alla propria debole fede e alla necessità di domandarla a Dio. Insieme al richiamo, la letizia per la speranza che la Chiesa sarà salvata dal sacrificio di questi fratelli.




AMORE

                      AMORE               
                          ***                    

L’intelligenza priva di amore, ti rende perverso.
La giustizia senza amore, ti rende spietato.
La diplomazia senza amore, ti rende ipocrita.
Il successo senza amore, ti rende arrogante.
La ricchezza senza amore, ti rende avaro.
La docilità senza amore, ti rende sottomesso.
La povertà senza amore, ti rende orgoglioso.
La bellezza senza amore, ti rende ridicolo.
L’autorità senza amore, ti rende tiranno.
Il lavoro senza amore, ti rende schiavo.
La semplicità senza amore, ti toglie valore.
La preghiera senza amore, ti rende introverso.
La legge senza amore, ti schiavizza.
La politica senza  amore, ti rende egoista.
La fede senza amore, ti rende fanatico.
La croce senza amore diventa tortura.

LA VITA SENZA AMORE... NON HA SENSO...

mercoledì 19 aprile 2017

Grazie al cristianesimo che diamo per scontato che ogni vita umana ha pari valore

Grazie al cristianesimo che diamo per scontato che
 ogni vita umana ha pari valore 
***
Il 14/11/16 su New Statesman, settimanale della sinistra britannica, è comparso l’articolo che qui sotto abbiamo tradotto. L’autore è Tom Holland, apprezzato storico e scrittore, ha introdotto così la sua testimonianza: «Mi ci è voluto molto tempo per realizzare che i miei costumi non sono greci o romani, ma in fondo, e con orgoglio, cristiani».

di Tom Holland
da: www.uccronline.it/.../
*storico e scrittore inglese
da NewStatesman, 14/09/16

Quando ero un ragazzo, la mia educazione come cristiano è stata sempre in balia dei miei entusiasmi. In primo luogo, ci sono stati i dinosauri. Ricordo vividamente il mio shock quando, durante il catechismo, ho aperto la Bibbia per bambini e ho trovato una illustrazione di Adamo ed Eva con vicino un brachiosauro. Avevo solo sei anni ma di una cosa era certo: nessun essere umano aveva mai visto un sauropode. Il fatto che l’insegnante sembrava non preoccuparsi di questo errore ha solo aggravato il mio senso di indignazione e sconcerto. Una debole ombra di dubbio, per la prima volta, era stata portata a scurire la mia fede cristiana.
Con il tempo, l’oscurità è aumentata. La mia ossessione verso i dinosauri si è evoluta senza soluzione di continuità in un’ossessione verso gli antichi imperi. Quando ho letto la Bibbia, il focus del mio fascino era attirato non dai figli d’Israele o da Gesù e dai suoi discepoli, ma dai loro avversari: gli egizianigli assirii romani. In modo simile, anche se vagamente ho continuato a credere in Dio, l’ho trovato infinitamente meno carismatico dei miei preferiti dèi dell’Olimpo: Apollo, Atena, Dioniso. Piuttosto che stabilire leggi hanno preferito divertirsi. E anche se risultavano vani, egoisti e crudeli, questo serviva solo per dotarli del fascino da rock star.
Con il tempo ho letto Edward Gibbon e altri grandi scrittori del secolo dei Lumi, ero più che pronto ad accettare la loro interpretazione della storia: il trionfo del cristianesimo aveva inaugurato un'”età della superstizione e della credulità”, e la modernità era stata fondata sul ripristino dei valori classici a lungo dimenticati. Il mio istinto infantile del pensare al Dio biblico come il nemico diretto della libertà e del divertimento venne finalmente razionalizzato. La sconfitta del paganesimo aveva inaugurato il regno di “nobodaddy” e di tutti i crociati, inquisitori e puritani prevaricatori. Il colore e l’eccitazione erano stati drenati dal mondo. «Tu hai conquistato, o pallido Galileo», ha scritto Swinburne, facendo eco al lamento apocrifa di Giuliano l’Apostata, l’ultimo imperatore pagano di Roma. «Il mondo è diventato grigio dal tuo respiro». Istintivamente, ho accettato tutto questo.
Non è una sorpresa il fatto che ho continuato a custodire l’antichità classica come il periodo che più mi ha spronato e ispirato. Gli anni che ho trascorso a scrivere libri storici sul mondo classico mi confermavano il fascino che provavo per Sparta e per Roma. Ho continuato a inseguire le miei fantasie come avevano sempre fatto, come un dinosauro. Eppure questi carnivori giganti, anche se meravigliosi, sono per loro natura terrificante. Più mi immergevo nello studio dell’antichità classica, tanto più la trovavo alienante ed inquietante. I valori di Leonida, che portarono le persone a praticare una forma particolarmente criminale di eugenetica e ad educare i loro piccoli ad uccidere di notte, non erano i miei valori. Né lo erano quelli di Cesare, conosciuto per aver ucciso un milione di Galli e soggiogato molte più persone. E’ stato scioccante non soltanto rilevare livelli estremi di insensibilità, ma anche la mancanza di valore intrinseco del povero o del debole nella civiltà classica. Così, la convinzione fondante dell’Illuminismo -cioè che non dobbiamo nulla alla fede in cui siamo nati- mi è sembrata sempre più insostenibile.
«Ogni uomo di buon senso», ha scritto Voltaire«ogni uomo d’onore, deve guardare alla setta cristiana con orrore». Piuttosto che riconoscere che i suoi principi etici arrivavano dal cristianesimo, ha preferito derivare essi da una serie di altre fonti, non solo letteratura classica, ma anche la filosofia cinese e i poteri della ragione. Eppure Voltaire, nella sua sollecitudine verso i deboli e gli oppressi, è stato segnato più durevolmente dal timbro dell’etica biblica di quanto volesse ammettere.
«Noi predichiamo Cristo crocifisso», ha dichiarato San Paolo, «scandalo per i giudei, stoltezza per i gentili». Aveva ragione. Nulla avrebbe potuto essere più in contrasto con le convinzioni profonde dei suoi contemporanei -ebrei, greci o romani-, dell’idea che un dio avrebbe scelto di subire torture e la morte di croce. Era così sconvolgente da apparire ripugnante. La familiarità con la crocifissione biblica ha offuscato la nostra capacità di riflettere su quanto sia irrompente e unica la divinità di Cristo. Nel mondo antico, il ruolo che gli dèi hanno rivendicato era governare l’universo, mantenere l’ordine ed infliggere una punizione. Non soffrire loro stessi.
Oggi, mentre la fede in Dio svanisce in tutto l’Occidente, i paesi che un tempo erano cristiani continuano a portare il timbro dei due millenni di rivoluzione che il cristianesimo ha rappresentato. E’ la ragione principale per cui, in linea di massima, la maggior parte di noi abitanti delle società post-cristiane, ancora diamo per scontato che sia più nobile soffrire che infliggere sofferenza. E’ grazie al cristianesimo che diamo per scontato che ogni vita umana ha pari valore. Guardando la mia etica e la mia moralità, ho imparato ad accettare che io non sono greco o romano, ma profondamente e orgogliosamente cristiano

lunedì 17 aprile 2017

La rivincita del Crocifisso

16-04-2017La rivincita del Crocifisso 
   ***   

di Giacomo Biffi*
Giacomo Biffi
Per gentile concessione di Edizioni Studio Domenicano pubblichiamo una riflessione del compianto cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) già Arcivescovo di Bologna. Sono due brani tratti da Biffi, La rivincita del Crocifisso, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, pp. 276 ss e 293 ss. Una riflessione sulla Pasqua e sulla Resurrezione sempre attuale. E' il nostro modo di augurare buona Pasqua a voi lettori della Nuova BQ.
Gesù è vivo o è morto? Sembra solo una questione «anagrafica», ma divide l’umanità e decide del nostro destino. Un giorno forse d’autunno dell’anno 60 il re Agrippa II, in visita al procuratore Porcio Festo che stava a Cesarea Marittima, si vide presentare un insolito prigioniero. Paolo di Tarso non aveva rubato, non aveva frodato, non aveva ucciso. Era in carcere solo perché qualche tempo prima aveva provocato un tumulto, discutendo con i giudei sotto i portici del tempio di Gerusalemme.
Avevano con lui alcune questioni – così tentava di spiegarsi quell’alto funzionario di Roma, che evidentemente non aveva troppa familiarità con i problemi teologici degli israeliti – relative alla loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita (At 25,19). Gesù – questo sconosciuto ebreo di Nazaret – è vivo o è morto? Agli occhi del procuratore romano era, come si vede, soltanto un problema anagrafico.
In realtà, questo è l’interrogativo che più profondamente spacca oggi ancora l’umanità.
Chi celebra la Pasqua cristiana – se sa per che cosa la celebra – per ciò stesso dichiara di essere convinto che il Crocifisso del Golgota è veramente, realmente, corporalmente vivo. Non c’è divisione più lacerante di questa e più gravida di conseguenze. 
Dalla tomba scoperchiata l’angelo biancovestito dà anche a noi la notizia sbalorditiva, come l’ha data alle donne quella mattina del 9 aprile dell’anno 30: Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui (Mc 16,6). È risorto, vale a dire ha ripreso a vivere con tutto il suo essere, anche con le sue membra corporee. Ha ripreso a vivere non tornando indietro – riprendendo la condizione di prima, propria dell’uomo che non ha ancora incontrato la morte – ma andando avanti, entrando cioè nella condizione che dopo l’ultimo giorno sarà anche la nostra, come professiamo nel Credo: «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».
La risurrezione di Cristo ha, per così dire, una duplice valenza: una duplice valenza, che va riconosciuta, va ben compresa e va rispettata. È un fatto effettivamente avvenuto, proprio come tutti i fatti di cronaca; ma è anche un evento che trascende la storia e si colloca sul piano delle realtà eterne, come causa inesauribile della salvezza umana. È perciò al tempo stesso «storica» e «sovrastorica»: è perciò oggetto di un assenso razionale e insieme di un atto di fede. Il sepolcro vuoto (che i soldati e le autorità non possono in alcun modo giustificare); gli incontri col Risorto documentati da innumerevoli testimoni (puntigliosamente elencati da san Paolo in 1 Cor 15,3-8); la stessa inspiegabile trasformazione degli apostoli, che prima sono avviliti, depressi, paurosi, e poi diventano esuberanti di coraggio, di fiducia incrollabile, di generosità fino al martirio: sono tutti dati certi che fondano la nostra convinta adesione e rendono ragionevole il credere.
Quando all’indomani della Pentecoste gli apostoli partono per annunciare il Vangelo a tutte le genti, su comando del loro Signore e Maestro, non hanno altra religione che quella ebraica, non riconoscono altro Dio che il Dio di Abramo, di Mosè e di Davide, non possiedono altro libro sacro (almeno inizialmente) che la Bibbia degli israeliti: tutti elementi teologici e cultuali che non li distinguevano dal resto della popolazione di Gerusalemme e della Giudea.
Che cosa allora era proprio, esclusivo, caratterizzante del Vangelo e della nuova realtà della Chiesa? Era il convincimento e l’annuncio pubblico che Gesù di Nazaret, il Crocifisso del Golgota, era risorto, era adesso vivo, era Signore. Questo è ciò che nel cristianesimo è ancora oggi proprio, esclusivo, caratterizzante. Occorre a questo punto persuadersi che il cristianesimo fin dal suo contenuto primordiale è qualcosa di unico, di decisivo, di imparagonabile.
Prima ancora che una religione, una morale, un culto, una filosofia, è un avvenimento: l’avvenimento della risurrezione di Gesù di Nazaret che si fa principio del rinnovamento degli uomini e delle cose. Perciò è intramontabile: le dottrine nascono, fanno fortuna, incantano per decenni e magari per secoli, poi decadono e muoiono. Il fatto cristiano resta, proprio perché è un fatto; e resta indipendentemente dall’accoglienza e dal numero delle adesioni che riceve.
Tutte le religioni – oggi si sente dire sempre più spesso – hanno un loro valore che è giusto riconoscere. E si può anche ammetterlo, purché non ci si dimentichi che la realtà cristiana in questo discorso non c’entra. Il cristianesimo, primariamente e per sé, non può essere ridotto a un sistema di convincimenti, di precetti, di riti che interpreta e regola i rapporti tra le creature e il Creatore.
Vale a dire, per quanto la frase possa apparire paradossale, primariamente e per sé, non può essere ridotto a “una religione”: collocarlo tra le religioni (anche soltanto per ragioni di sistemazione e di metodo, o per la buona intenzione di favorire il dialogo interreligioso), se non si chiarisce l’intrinseca ambiguità del collegamento o quanto meno il suo significato soltanto analogico, vuol dire travisarlo e precludersi ogni sua autentica comprensione.
Essendo assolutamente eterogeneo il cristianesimo non tollera di essere collocato “tra” le varie forme espressive dello spirito, esattamente come il Figlio di Dio nato da Maria, crocifisso e glorificato, non è assimilabile a nessun fondatore di religione e a nessun defunto personaggio della storia, classificarlo e collocarlo sarebbe fraintenderlo.
*Arcivescovo di Bologna (1928-2015)

domenica 16 aprile 2017

La certezza della gnosi e quella della fede bambina

La certezza della gnosi e quella della fede bambina
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È una catechesi di don Giacomo Tantardini. Una delle tante, che hanno commosso il cuore delle persone che hanno avuto la fortuna di ascoltarlo o di leggerne le stesure successive. E però questa era particolarmente cara al suo cuore. Perché l’ha tenuta a lungo sulla sua scrivania di 30giorni, in particolare negli ultimi mesi della sua vita. Come di cosa sulla quale tornare a posare gli occhi, di tanto in tanto, a cercare spunti di sviluppo nuovi e diversi. Ci è venuta in mente rileggendo il Notes che abbiamo pubblicato il 4 marzo, perché molte delle cose lì accennate (in particolare l’articolo di 30giorni cui si rimanda), sono qui ripetute in maniera diversa e commovente: cenni di giudizio e di conforto particolarmente attuali. La pubblichiamo quasi integralmente.





Roma, 16 febbraio 2011

Scuola di comunità su Il Senso Religioso
Angelus
Oggi volevo iniziare la prima premessa de Il Senso Religioso [L. Giussani, Il Senso Religioso, Jaca Book, Milano 1986]. Qui la cosa importante è la parola che viene usata: realismo. Prima premessa: realismo (pp.11-21). E qui c’è la frase di Alexis Carrel che tante volte chi ha letto questo libro, chi ha fatto incontri su questo libro, avrà ascoltato: «Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità» (p.11). L’osservazione permette di riconoscere la realtà che viene incontro. La prima evidenza è la realtà di cui l’uomo, innanzitutto con i suoi sensi, con l’osservazione, prende nota, si accorge. E ancora: «La nostra è un’epoca di ideologie, nella quale cioè invece che imparare dalla realtà in tutti i suoi dati […] si cerca di manipolare la realtà secondo le coerenze di uno schema fabbricato dall’intelletto» (p.11). All’inizio della seconda pagina, Giussani parla di «osservazione intera, appassionata, insistente del fatto, dell’avvenimento reale» (p.12). Il realismo consiste in questa «osservazione» della realtà «intera, appassionata, insistente».
Per aiutare a percepire cosa sia realismo (che è una parola che anche sui giornali si usa) mi è venuto in mente di raccontare… e lo spunto mi è stato dato soprattutto dalla catechesi di papa Benedetto su santa Giovanna d’Arco. Così che poi tenterò di rileggere alcuni brani di Péguy da Il mistero della carità di Giovanna d’Arco [Ch. Péguy, I Misteri, Jaca Book, Milano 1978]. Il Papa, parlando di Giovanna d’Arco cita Péguy: «Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, che aveva tanto affascinato il poeta Charles Péguy, è questo totale amore di Gesù, e del prossimo in Gesù e per Gesù».
Ma, prendendo spunto da quello che il Papa ha detto su santa Giovanna d’Arco, vorrei iniziare raccontando quella che, secondo me, potremmo indicare come una “svolta”, una “conversione”… Papa Benedetto, a Pavia, parlando di sant’Agostino, ha detto che nella vita di sant’Agostino ci sono come tre conversioni. E l’episodio di Giussani che adesso racconto mi sembra che si possa intendere come una svolta, come una conversione nella vita di Giussani. Si tratta, se non sbaglio, dell’ultimo incontro privato di Giussani con Giovanni Paolo II, quando il Papa diceva a Giussani che il pericolo per la fede era l’agnosticismo. Tante volte Giussani aveva definito l’agnosticismo: «Dio, se c’è, non c’entra». Questo è l’agnosticismo: anche se Dio ci fosse, non c’entra con la vita. Papa Giovanni Paolo II diceva che questo agnosticismo era il pericolo per la fede. Un Dio che non c’entra con la vita. E Giussani, nella libertà dei figli di Dio che della fede è una delle espressioni umanamente più affascinanti, ha risposto al Papa: «No, Santità. Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana». Eravamo nel ’91-’92. E, secondo me, questa intuizione ha come comportato per Giussani quella che, usando la parola di papa Benedetto per sant’Agostino, si può anche chiamare una conversione. E, usando un’altra parola, si può chiamare una svolta.
Tutto quello che Giussani ha comunicato è racchiuso nell’esperienza che lui stesso chiamava «il mio seminario». Tutta l’esperienza di fede che ha tentato nella semplicità di comunicare era già tutta racchiusa nella fede che la mamma e il papà (anche se non praticante) gli avevano trasmesso e che le vicende della sua giovinezza avevano per grazia così fatto fiorire. Quindi quando parlo di “conversione” non si tratta certamente di una aggiunta dall’esterno.
D’altra parte però l’interlocutore della critica di Giussani all’inizio è stato l’agnosticismo. Il senso religioso ha come interlocutore critico il Dio astratto dell’illuminismo. Ha come interlocutore della critica di Giussani l’agnosticismo e il laicismo. Negli ultimi quindici anni della sua vita è evidente che l’interlocutore è lo gnosticismo. Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo. E l’intervista dell’aprile ’92 sulla «persecuzione cruenta» nei confronti di «coloro che si muovono nella semplicità della Tradizione» può essere considerata il segno della svolta [L. Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia (introduzione del cardinale Joseph Ratzinger) Edit – Il Sabato, Roma 1993]. Ripeto, questo non ha aggiunto nulla all’esperienza della fede, che era tutta raccolta in quello che Giussani chiama «il mio seminario». «L’esperienza della fede del mio seminario». Ma chiaramente è come se fosse stata una svolta sull’interlocutore che contesta questa fede, sull’interlocutore che questa fede ha di fronte.
Con la parola agnosticismo, citando la frase di Cornelio Fabro, Giussani indicava la separazione tra la fede e la vita… Negli anni Ottanta Giussani ha fatto diverse conferenze nelle università per indicare come pericolo sia l’agnosticismo sia, all’interno della Chiesa, la riduzione protestante dell’avvenimento cristiano a parola [L. Giussani, La coscienza religiosa dell’uomo moderno, Jaca Book, Milano 1985]. E con la parola agnosticismo indicava, ripeto, «Dio, se c’è, non c’entra» e se non c’entra con la vita è come se non ci fosse…
Per suggerire che cosa vuol dire la parola gnosticismo (o gnosi, anzi, meglio, falsa gnosi) vi leggo il salmo delle Lodi di questa mattina. Perché vorrei suggerire cosa significa gnosticismo in maniera esistenziale, così che possa essere di conforto e utile a tutti. È il salmo 76. Ne leggo solo alcuni versetti: «Nel giorno dell’angoscia io cerco il Signore, tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca; io rifiuto ogni conforto. Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Forse Dio ci respingerà per sempre, non sarà più benevolo con noi? È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? Può Dio aver dimenticato la misericordia, aver chiuso nell’ira il suo cuore? E ho detto “questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo”». Lo gnosticismo è il tentativo di fuggire da questo tormento. Il tentativo di fuggire dall’insicurezza in cui la vita cristiana vive. Il tentativo di fuggire da questo tormento e da questa insicurezza. Il famoso libro di Voegelin [Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, Rusconi, Milano 1990] dice che la nascita dei movimenti gnostici è il tentativo di fuggire da questa insicurezza «fabbricando» una «certezza vana e non pia»: sono le stesse parole di Giussani: «…si cerca di manipolare la realtà secondo le coerenze di uno schema fabbricato dall’intelletto» (p.11), ed è l’immagine che suggerisce il Concilio di Trento quando condanna il costruire in se stessi una certezza vana e non pia.
Questa certezza non pia si può esprimere con queste parole: la presenza c’è sempre. C’è un modo di affermare che la presenza c’è sempre, che la presenza c’è qui e ora, che è espressione di una certezza non pia. Per sfuggire al tormento di cui parla il salmo, per sfuggire a questa insicurezza… «Ricordo le gesta del Signore, ricordo le tue meraviglie di un tempo. Mi vado ripetendo le tue opere, considero tutte le tue gesta…» ma «questo è il mio tormento: “è mutata la destra dell’Altissimo”». Un tempo il Signore ha agito, ma adesso non si vede il Suo agire, adesso non si manifesta la Sua onnipotenza. Per sfuggire a questa mancanza (Péguy la chiama «indigenza di grazia») si costruisce un’idea. Si tenta di rendere idea la Sua presenza. Idea eterna la Sua presenza. Per sfuggire all’insicurezza del Suo storico manifestarsi si costruisce da noi una certezza non pia, stabilendo, decidendo in noi stessi, da noi stessi (… apud semetipsos statuere…) che la presenza c’è sempre. Per cui il poeta Giorgio Caproni, in una sua poesia, davanti a un prete che continuava a gridare: «Cristo è qui! È qui! / LUI! Qui fra noi! Adesso! / Anche se non si vede! / Anche se non si sente!”», commenta: «La voce era repellente». La gnosi, lo gnosticismo è il tentativo di rendere idea perenne, presente qui e ora, la presenza libera del Signore, il Suo libero manifestarsi.
Non so se sono riuscito a suggerire quello che avevo in cuore di suggerire. In termini, per così dire, positivi: la gnosi è il tentativo di costruire una certezza non pia che toglie, che evita l’unica posizione pia dell’uomo di fronte al Mistero che si rivela, e cioè l’abbandono del bambino che domanda, attende, riconosce. La gnosi è il tentativo di rendere la Sua presenza un’idea, in modo tale che la preghiera non sia l’unica posizione in cui la fede vive. E, ripeto, questo per evitare l’insicurezza, per evitare il tormento della domanda: in passato ha compiuto miracoli, ma oggi dove compie i miracoli? Per evitare questo tormento, ripeto la parola del salmo, per evitare questa insicurezza si afferma che c’è. Ma è l’uomo che stabilisce che c’è, che c’è sempre ed è l’uomo che deve convincersi che c’è, che c’è sempre. La certezza vana e non pia è una costruzione dell’uomo. Invece la certezza pia è l’abbandono del bambino. Perché il bambino è certissimo che la mamma c’è, quando piange perché la mamma non è vicina. Non piangerebbe, se non fosse certo che la mamma c’è. Ma è un’altra certezza, data, donata, non decisa da noi. E proprio perché sicuro che la mamma c’è, piange perché non è vicina. Invece una certezza costruita è letteralmente il contrario della certezza del bambino.
La certezza della fede è l’abbandono del bambino. Non piangerebbe se, senza possedere niente, senza costruire niente, non fosse sicuro che la mamma c’è. E non la chiamerebbe e non l’aspetterebbe. La preghiera come domanda che venga vicino e si manifesti, la preghiera come attesa che venga e si manifesti, la preghiera è il segno della certezza della fede. Come per il bambino che piange sicurissimo che la mamma c’è. Ma non la certezza costruita dall’uomo per evitare l’insicurezza del pianto e della domanda.
Da questo punto di vista leggo questo brano del Papa: «La verginità dell’anima è lo stato di grazia, valore supremo, per Giovanna più prezioso della vita: è un dono di Dio che va ricevuto e custodito con umiltà e fiducia. Uno dei testi più conosciuti del primo Processo riguarda proprio questo: “Interrogata se sappia d’essere nella grazia di Dio, risponde: Se non vi sono, Dio mi voglia mettere; se vi sono, Dio mi voglia custodire in essa”». Questa è la certezza del bambino. Non dice che è in grazia di Dio. Nessuno è certo della salvezza eterna, come certezza costruita da sé. Certezza non pia. Una certezza non pia (per usare l’espressione bellissima del Papa, una settimana fa, parlando dell’unità dei cristiani) è una certezza che non abita nella preghiera. Una certezza non pia è una certezza che non abita nella preghiera. Invece Giovanna d’Arco risponde «se non vi sono, Dio mi voglia mettere, e se vi sono, Dio mi voglia custodire in essa». Così Giovanna d’Arco, quando viene interrogata nel processo. Processo di cui il Papa dice cose bellissime: agli ecclesiastici che l’hanno interrogata «mancava la carità e l’umiltà di vedere in questa ragazza l’azione di Dio». «Vengono alla mente le parole di Gesù secondo le quali i misteri di Dio sono rivelati a chi ha il cuore dei piccoli, mentre rimangono nascosti ai dotti e ai sapienti che non hanno l’umiltà. Così, i giudici di Giovanna sono radicalmente incapaci di comprenderla, di vedere la bellezza della sua anima». Comunque Giovanna, prima di essere interrogata, prega così, ed è una preghiera bellissima: «Dolcissimo Dio [qui si rivolge a Gesù], in onore alla vostra santa Passione, vi chiedo, se voi mi amate [che cosa stupenda è questo «vi chiedo se voi mi amate …»] di rivelarmi come devo rispondere a questi uomini di Chiesa». «Vi chiedo se voi mi amate …»: la fede cristiana è un rapporto tra la libertà, la povera libertà dell’uomo, del bambino e la libertà del Signore. Se voi mi amate. «Da questo saprò che Tu mi ami, se non trionfa su di me il mio nemico» (Salmo 40). Non è la certezza a priori che mi ama. «Da questo», dice il salmo, «saprò che Tu mi ami, se non trionfa su di me il mio nemico». Non dice «se il mio nemico non mi fa cadere».«Quando cade, non è lasciato a terra, perché il Signore lo tiene per mano» (Sal 36).  E lo solleva. Ma dice «se non trionfa su di me il mio nemico». «Da questo saprò che tu mi ami» dice il salmo.
E il Papa continua, ed è questa la cosa che più mi ha colpito, dicendo che Gesù è visto da Giovanna «come il Re del Cielo e della Terra». Tanto è vero che nello stendardo di quando ha combattuto a Orléans, in quei mesi in cui ha guidato l’esercito francese, «Giovanna fece dipingere l’immagine di “Nostro Signore che tiene [in mano] il mondo». La gnosi è come svuotare il Padre Nostro della domanda che il Suo nome, che il Suo regno, che la Sua volontà sia fatta «come in cielo così in terra». Che il Suo nome, il Suo regno, la Sua volontà avvenga come in cielo, cioè nel cuore degli eletti, «così in terra». Non solo in cielo, non solo nell’eternità, ma anche «così in terra». «Così in terra» è un manifestarsi storico. «Così in terra» non si può costruire. «Così in terra» non si può possedere. «Così in terra», per usare le ultime parole pubbliche di Giussani, prima della morte, la vigilia di Natale del 2004 «è una scommessa affidata alla preghiera». Il «così in terra» non può essere costruito, è «una scommessa affidata alla preghiera». Per evitare la scommessa del «potere di Dio nel tempo» affidata alla preghiera si proclama gridando che Egli è qui ora. «La voce era repellente».
Anche il Curato d’Ars, indicando il tabernacolo, diceva «Egli è là», ma lo diceva piangendo. La differenza è tutta qui. Lo diceva piangendo di commozione. «Lacrimae confessionis/ Lacrime di riconoscimento», dice Agostino. La gnosi dice le parole cristiane, tutte le parole cristiane, ma non le dice da bambino. Non le dice da piccolo. Il bambino le dice tutto sospeso al rivelarsi di quella presenza. Anche il santo Curato d’Ars diceva «Egli è là» indicando il tabernacolo. E quando diceva «Egli è là», indicando il tabernacolo e piangendo di commozione, era evidente a tutti che non costruiva nulla. Non costruiva una certezza per evitare l’insicurezza della vita. Era evidente a tutti che riconosceva semplicemente. E domandava certissimo. Certissimo! Altrimenti non avrebbe domandato. Che domandava certissimo: «Se mi vuoi bene». «Dolcissimo Dio, in onore della vostra santa Passione, vi chiedo, se voi mi amate…». La gnosi è il tentativo di rendere il mistero della Sua presenza un’idea per poterla possedere. Un’idea che è sempre e non accade mai, come sono tutte le idee religiose, che sono sempre e non accadono mai.
Péguy nel Mistero della carità di Giovanna d’Arco credo sia l’autore cristiano, il fedele cristiano, che più ha intuito e descritto la tentazione gnostica, la grande eresia che fin dai tempi degli apostoli tenta di snaturare dall’interno la fede della Chiesa. Da questo punto di vista, credo che la cosa più bella che von Balthasar ha fatto è che ha iniziato la sua storia della teologia da Ireneo, il padre della Chiesa antignostico – che in qualche modo non paga un debito al platonismo e alla gnosi neoplatonica – e fa concludere tutto il cammino della teologia cattolica con Pèguy.
Adesso vi leggo alcuni versetti de Il mistero della carità di Giovanna d’Arco. Tutto Il mistero della carità di Giovanna d’Arco è un dialogo tra Giovanna d’Arco e la sua amica Hauviette, che è una fanciulla piccolina che non vive il tormento di Giovanna perché è così piccola che non vive la tristezza di Giovanna per il non manifestarsi della Sua grazia e della Sua presenza; perché è così piccola che le basta dire bene le preghiere del mattino e della sera, che le basta la semplicità della tradizione in cui è custodita. E un dialogo tra Giovanna d’Arco e Gervaise, la monaca anziana, che tentando di confortare e anche di correggere Giovanna, evidenzia ancora di più quello che per gratuita predilezione Giovanna aveva nel cuore.
Così prega santa Giovanna d’Arco: «O mio Dio, se solo si vedesse l’inizio del tuo regno. Se solo si vedesse sorgere il sole del tuo regno. Ma nulla, mai nulla. Ci hai mandato tuo Figlio, che amavi tanto, è venuto tuo Figlio, che ha tanto sofferto, ed è morto, e nulla, mai nulla. Se solo si vedesse spuntare il giorno del tuo regno.
[…]
E i malvagi soccombono alle tentazioni del male, di fare del male; di fare del male agli altri; e perdonami, mio Dio, di fare del male a te; ma i buoni, quelli che erano buoni, soccombono a una tentazione infinitamente peggiore: alla tentazione di credere di essere abbandonati da te. […] Se non ci sono ancora stati abbastanza santi e sante, mandacene altri, mandacene quanti ce ne vorrà; mandacene finché il nemico sia stanco. […] Faremo tutto quello che vorrai. Faremo tutto quello che vorranno. […] Siamo buoni cristiani, tu sai che siamo buoni cristiani. Allora come può essere che tanti buoni cristiani non facciano una buona cristianità. Bisogna che ci sia qualcosa che non va. […] Forse ci vorrebbe altro, mio Dio, tu sai tutto. Sai quello che ci manca. Ci vorrebbe forse qualcosa di nuovo, qualcosa di mai visto prima. Qualcosa che non fosse ancora mai stato fatto. Ma chi oserebbe dire, mio Dio, che ci possa essere ancora del nuovo dopo quattordici secoli di cristianità, dopo tante sante e tanti santi, dopo tutti i tuoi martiri, dopo la passione e la morte di tuo figlio».
[E qui si introduce la cosa che è il cuore di questo Mistero]: «Insomma quello che ci vorrebbe, mio Dio, ci vorrebbe che tu ci mandassi una santa … che riuscisse». E così finisce la vita terrena Giussani, parlando della scommessa del potere di Dio nel tempo affidata alla preghiera. Che riuscisse! Il riuscire di Dio nel tempo è scommessa affidata alla preghiera. «Ci vorrebbe che tu ci mandassi una santa … che riuscisse».
È chiaro che vivendo così non ci si sottrae alla tristezza. «È vero che la mia anima è nella tristezza. Ancora poco fa…». Accenna alla guerra. Accenna a due bambini che hanno perso i genitori durante la guerra, che piangono perché hanno fame.
«È vero che la mia anima è nella tristezza. Ancora poco fa…
Allora perché far finta, perché voler somigliare a tutti gli altri.
[…] Poco fa ho visto passare due bambini, due ragazzetti, due piccini che discendevano da soli quel sentiero laggiù. Dietro le betulle, dietro la siepe. Il più grande che tirava l’altro. Piangevano, gridavano: Ho fame, ho fame, ho fame … Li sentivo da qui. Li ho chiamati. Non volevo lasciare le pecore. Non mi avevano vista.
[…]
Ho dato loro il mio pane: che bel vantaggio! Avranno fame stasera; avranno fame domani.
[…]
È sempre la salvezza che perde, è sempre la perdizione che vince. Tutto non è altro che ingratitudine, tutto non è altro che disperazione e perdizione
[…]
Sarà, mio Dio, che il sangue di tuo Figlio sia scorso invano; che sia scorso invano una volta, e tante volte.
Una volta, quella volta; e da allora tante volte.
Sarà, mio Dio, che il corpo di tuo Figlio sia stato sacrificato invano; che sia stato offerto invano una volta, e tante volte.
Una volta, quella volta; e da allora tante volte
Sarà detto che abbandonerai, che avrai abbandonato la cristianità dei tuoi figli.
[…] Sei tu che ci occorreresti e che si veda passare sulla terra l’impronta della tua mano.
L’hai fatto un tempo. L’hai fatto per altri popoli. Non lo farai per questo popolo di Francia.
Per altri popoli hai mandato dei santi. Hai mandato perfino dei guerrieri.
Noi siamo peccatori, ma siamo cristiani lo stesso. Siamo del popolo cristiano.
[…]
È una cosa spaventosa che ci sia qualcuno che ha su di sé la maledizione di Gesù e che se ne va come un vincitore su tutte le vie del mondo.
[…]
Ecco che da quasi cinquant’anni, Hauviette, i buoni agricoltori pregano il buon Dio per il bene delle messi; ecco che da più di otto anni io fin da piccola lo prego con tutte le mie forze per il bene delle messi. Madama Gervaise è in convento: lei deve sapere perché il buon Dio non esaudisce le buone preghiere». Hauviette le dice, ed è bellissimo anche questo, che non spetta a noi chiedere la ragione.
«Ma voi, giudei, foste i suoi fratelli nella sua famiglia stessa [anche qui è bellissimo! È Péguy che ha difeso l’ebreo Dreyfus]. Fratelli della sua razza e della medesima stirpe [una delle cose che la gnosi deve svuotare è la storicità dell’Antico Testamento. Basta leggere i salmi. Basta leggere il salmo delle Lodi di questa mattina. Deve svuotare la storicità di Israele. Israele ha creduto in Dio perché Dio li ha liberati, non perché hanno affermato da se stessi che c’era Dio. Hanno creduto in Dio perché li ha liberati. In quel Dio hanno creduto. Per questo]. Su voi stessi egli versò delle lacrime uniche. […] Voi [giudei] avete visto il colore dei suoi occhi; avete udito il suono delle sue parole. Della medesima stirpe in eterno […]. Voi avete udito il suono stesso della sua voce. [Qui è bellissimo!] Come dei fratelli minori vi siete rifugiati nel calore, nel tepore del suo sguardo. […] Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente. Se tu fossi qui, Dio, non andrebbe così, tuttavia. Le cose non sarebbero mai andate così».
Allora Madama Gervaise in visione risponde: «Egli è qui. È qui come il primo giorno…».
Ripeto che c’è un modo di dire che Egli è qui che, se non abita nella preghiera, se è una costruzione nostra, diventa una bestemmia diabolica. Continua Madame Gervaise: «Lo so, io, che tutto questo non basta. Ho pensato che tu fossi infelice, anche tu, ed è per questo che sono venuta subito. […] Ci sono passata anch’io. I santi e le sante, tutte le sante e tutti i santi ci sono passati. È la condizione stessa, è la dura condizione, è la dura legge, è il duro tirocinio della santità. Ci sono passata, anch’io, io indegna come sono. Tu ci passi a tua volta. A ognuno la sua volta. A ognuno la sua ora. […] Non sei la prima. Non sarai l’ultima.
[…]
Mio Dio, i tuoi santi dovrebbero vivere sempre. Se ne vanno troppo presto, sempre troppo presto. Li richiami sempre troppo presto. E ne hai pure abbastanza per te. Nei hai ben abbastanza nella tua casa [in paradiso]. E noi ne manchiamo. Noialtri ne manchiamo. Ne sentiamo la mancanza. Ne sentiamo tanto la mancanza. Ne manchiamo sempre. Loro riuscivano. E noi siamo delle povere donne che non riescono».
Madama Gervaise dice a Giovanna di non essere orgogliosa. È chiaro che, vivendo in questa domanda e in questa attesa del «così in terra», vivendo sospesi al miracolo, si può essere accusati di essere orgogliosi. Nella seconda parte di questo Mistero Madama Gervaise dice a Giovanna d’Arco di guardarsi dalla tentazione di essere orgogliosa.
Voglio finire con una frase di Giussani, che mi sembra riassuma tutto quello che volevo dire: «È una cosa nuova e noi non ne siamo capaci [è una cosa nuova. È sempre un nuovo inizio la Sua presenza]. La coscienza dell’avvenimento si identifica per me col pregare. Per dire “è avvenuto” [per dire: “Egli è qui”] mi metto in ginocchio a recitare: Salve Regina, Ave Regina coelorum, Ave Domina Angelorum, Iesu dulcis memoria. Non è una cosa sentimentale! L’essenziale della creatura di fronte al Creatore è la preghiera». Per dire «Egli è qui», per dire «è avvenuto» dice Giussani «mi metto in ginocchio a recitare Salve Regina…». Péguy diceva che la Salve Regina vale più di tutta la Summa teologica di san Tommaso e san Tommaso sarebbe stato più che d’accordo, tanto è vero che voleva bruciare tutti i suoi scritti come paglia di fronte all’iniziale esperienza del rivelarsi del Signore.
La Salve Regina è la preghiera in cui è più evidente questo domandare che si manifesti. «Orsù, dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi».
Così Iesu dulcis memoria, dove sono così evidenti le distinzioni per esempio tra il dolce ricordare e il Suo farsi presente, il Suo farsi vicino nel presente.
E così finisco citando questa frase di sant’Ambrogio. «Spero nella tua parola / hoc est in adventum tuum/ cioè nel tuo venire./ Ut venias / Così che tu venga / et suscipias peccatores / e prenda in braccio noi peccatori». Non si può essere presi in braccio da un’idea. Si può essere presi in braccio solo da una presenza quando viene, quando si fa vicina.
Ma l’unica cosa che volevo dire è che lo gnosticismo è evitare che la fede e la vita abitino nella preghiera. È evitare l’unica condizione per entrare nel regno dei cieli, quella del bambino, del piccolo, che è così sicuro della presenza della mamma, che quando non la vede si mette a piangere. E così sicuro della presenza della mamma, che quando non la vede si mette a piangere, che quando non la vede domanda che venga vicino e lo prenda in braccio. È proprio il contrario di quello che taluni rimproverano. È proprio la domanda, le lacrime che domandano di essere presi in braccio, il segno della certezza della fede.  È la certezza del bambino, che è così sicuro della mamma, che può piangere quando la mamma non è vicina e non lo prende in braccio.